Omelia alla Messa dei defunti (2 novembre 2002)
 Basilica di San Marco, 2 novembre 2002
02-11-2002

Fratelli e sorelle carissimi,

siamo qui, nella basilica di San Marco, per ricordare i nostri cari defunti. In questa liturgia eucaristica facciamo memoria in particolare dei Patriarchi defunti e di quanti, sacerdoti e laici, hanno servito il Signore nella nostra Cattedrale. Lo facciamo celebrando il memoriale della Pasqua del Signore Gesù.
Ricordare i nostri fratelli defunti in questa chiesa madre, insieme al nostro Patriarca, ci fa sentire una famiglia, legata dal vincolo della fede e dell’amore; una comunità che spera, sicura che un giorno la comunione di vita che ci unisce, ora invisibile nella sua realtà profonda, sarà visibile: e noi ci ritroveremo tutti, tanto più felici, quanto più piena sarà la presenza di Dio in noi.
Ancora: ricordare i nostri fratelli defunti nell’Eucaristia, memoriale della Pasqua di Gesù, significa credere che, chi muore nel Signore, con lui risorgerà. Battezzati nella Pasqua di Cristo, nutriti del suo corpo risorto mediante l’Eucaristia, condotti dalla sua Parola nella grazia dello Spirito Santo, noi risorgeremo con Lui per una vita senza fine: una vita che, però, è già in noi, anche se ancora non appare.

La Parola di Dio che è stata proclamata ci apre alla certezza della vita al di là della morte.

1. La prima lettura tratta dal libro della Sapienza, ci assicura che le anime dei giusti sono nelle mani di Dio e che nessun tormento le toccherà.
Nei salmi noi preghiamo: ‘Non chiamare in giudizio il tuo servo, o Signore, perché nessun vivente davanti a te è giusto’ (142,2). Sappiamo bene che ‘giusti’, cioè santi e partecipi della vita in Cristo, noi diventiamo soltanto grazie al sangue della Croce di Gesù. Se quindi siamo nella mani di Dio, sicuri da ogni tormento, è solo perché siamo stati ‘graziati’ dalla Croce di Gesù e diventati, in Lui, figli di Dio. Per questo, anche se passiamo come Gesù, attraverso le sofferenze e le prove della vita, la nostra sorte è al sicuro, con Lui, in una pienezza di felicità senza fine.

2. La seconda lettura è tratta dal libro dell’Apocalisse, il breviario della speranza cristiana. In esso, con un linguaggio fatto di simboli, la parola di Dio ci annunzia una vita nuova, in una Gerusalemme tutta nuova e santa, che scende come dono dal cielo, bella come una sposa che va incontro al suo sposo. Dio dimorerà in essa e tergerà ogni lacrima dai nostri occhi: allora non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, perché tutte queste cose sono passate.
Davanti a queste parole, noi siamo portati a pensare a qualcosa che accadrà soltanto dopo la nostra morte.
In realtà, come ci avverte S. Giovanni nella sua prima lettera: ‘noi siamo già figli di Dio’ (cfr 1 Gv 3,1-2); noi, comunità dei credenti, siamo già la Gerusalemme nuova. Però ciò che noi siamo, ora è ancora velato nella fede. Quando i veli cadranno, apparirà che noi siamo già, anche se in modo imperfetto, la santa Gerusalemme, rivestita della grazia del sangue di Cristo, pronta per la festa delle nozze dell’Agnello. In una parola: la Grazia che è stata infusa in noi nel Battesimo e cresce in noi, ogni giorno trasformandoci ad immagine di Cristo, è già la vita divina presente in noi; la Chiesa in cui noi viviamo è già la celeste Gerusalemme. Questo però ora è ancora velato nella fede e noi intravediamo la realtà solo oscuramente. Ma quando, con la nostra morte ‘in Cristo’, i veli cadranno, apparirà ciò che noi effettivamente siamo: rivestiti di Cristo, da lui preparati per la festa delle nozze eterne, avvolti dalla gloria dei figli di Dio.

3. La terza lettura proclama sui nostri morti e sulla nostra vita l’evangelo delle Beatitudini: la bella notizia data a chi ha sofferto e soffre con cuore onesto che su di lui, sul suo capo, si posa la mano dolce del Padre che dice: ‘Beato!’.
‘Ma perché beato se piango, se sono povero in mezzo all’esibizione della ricchezza; se sono mite e perciò calpestato, misericordioso e schernito dagli arroganti, operatore di pace mentre tutti gridano alla guerra’Perché beato?’
Beato perché Gesù, il crocifisso glorificato, è stato un povero, un mite, un puro di cuore , un misericordioso, un operatore di giustizia e di pace. Gesù è stato anche sempre incompreso e malvagiamente perseguitato. In tutto questo Gesù, si è totalmente consegnato al Padre, abbandonandosi nelle sue mani. E’ lui che copre tutti i poveri, gli afflitti, i misericordiosi, i puri di cuori, gli operatori di pace, i perseguitati: Lui con infinita tenerezza conduce la loro libertà al Padre che, guardandoli, vede in loro le sembianze del Figlio e, spalancando le braccia e stringendoli a sé, dice loro: ‘Beati!’.

Fra questi ci siamo anche noi, pur con le nostre miserie e la nostra buona volontà, rivestiti di infinita grazia; ci sono anche i nostri morti, noi lo speriamo. E mentre preghiamo per loro perché, qualora fossero ancora bisognosi di purificazione, il sangue di Cristo li purifichi nella sua assoluta gratuità, ritorniamo stasera alle nostre case col cuore pieno di speranza, pregando: ‘Benedetto sei tu, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato il mistero del Regno dei cieli’ (Mt 11,25).

‘O Padre, guarda a quanti soffrono e piangono e non trovano un consolatore; guarda a quanti camminano su strade lontane da te perché ignorano che tu solo puoi saziare la loro sete’ Guarda questo nostro tempo così violento e senza saggezza e manda sugli uomini un raggio della tua luce che mostri sul volto del Crocifisso il riflesso del tuo amore. Tocca il cuore di chi cammina lontano da te e posa la tua mano anche sul suo capo e dì anche a lui: ‘Beato!’.

O Padre infinitamente buono, donaci di sperare: per noi, per i nostri morti, per tutti gli uomini, perché tu sei il Padre di tutti e vuoi che tutti siano salvi e giungano alla conoscenza della verità (1 Tim 2,4).