Omelia alla celebrazione del Venerdì Santo (21 aprile 2000)
 
21-04-2000

1. Stiamo celebrando il mistero della passione e morte del Signore.
Il fatto che sia Dio, con la sua parola, a proclamarlo è un evento immenso che dovrebbe prenderci, coinvolgerci, trascinarci nel fuoco di quella parola.
Quando è Dio che parla, Egli fa ciò che dice. La sua parola è viva, contiene gli eventi che proclama, supera il tempo e non conosce i limiti del luogo: Dio è fuori del tempo e non è sottoposto al limite del luogo.

La Parola di Dio ci convoca con la potenza stessa di colui che porta ad essere attori. Per questo la Parola di Dio è il giudizio attuale del mondo: perché se tu le spalanchi il cuore e, come puoi, partecipi, è la salvezza di Cristo che entra in te; se tu rimani ascoltatore estraneo, sei giudicato dal tuo stesso rifiuto.

2. Le Sante Scritture hanno proclamato gli eventi della morte di Gesù.
Egli affronta la morte liberamente: fin dal suo arresto, nell’orto degli Ulivi, potrebbe sottrarvisi, ma non lo vuole. Lui deve proclamare davanti alla città santa e ai capi religiosi e politici la sua qualità di Figlio di Dio, dando così forza di verità a tutto quanto ha detto e ha fatto.
I suoi nemici pensano di eliminarlo, ma lui impone con la forza suprema della morte liberamente accettata, la sua personale verità e quella della sua missione.

“Chi cercate?”, chiede alla masnada che è venuta ad arrestarlo; essi rispondono: “Gesù di Nazaret”. “Sono io”, egli dice.
A Pilato, imbarazzatissimo, che gli chiede: “Ma allora, tu sei Re?”, lui risponde con la forza imbattibile dei miti: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.
Bisognava che Gesù rendesse questa testimonianza circa la sua identità in Gerusalemme, la città santa, davanti all’Impero Romano e al suo popolo con i suoi capi.

Questa testimonianza lo porterà in croce e sarà scritta sulla stessa croce in greco, in latino e in ebraico: “Gesù di Nazaret, Re dei Giudei”. La croce sarà così l’innalzamento di Gesù e una luce che illuminerà tutto quello che ha detto e ha fatto.

Gesù muore solo. Ma non è solo, perché le poche donne, sua Madre e Giovanni sono la Chiesa: la sua morte genera la moltitudine dei salvati, per la grazia dei sacramenti e dello Spirito Santo che sgorgano dal suo costato squarciato.

3. Dopo la proclamazione della passione di Gesù, la Chiesa prega per tutti e per tutte le situazioni: questa preghiera è l’immagine vera della croce di Gesù. Lui aveva detto. “Quando sarò innalzato, attirerò tutti a me”.
E’ infatti dalla croce di Cristo che scende ogni grazia di salvezza. In lui siamo tutti giustificati per grazia. In questo momento io penso, non solo alle situazioni evocate dalle preghiere che diremo, ma a tutte le situazioni di povertà, di violenza, alle popolazioni colpite da calamità naturali, a tante persone, uomini e donne, umiliate e offese, ferite dal dolore nel cuore e nel corpo.
Su tutte scenda salvatrice la grazia di Cristo crocifisso.

4. Infine nella liturgia di oggi c’è una pagina misteriosa e grandiosa, per certi versi incomprensibile e di suprema bellezza: la pagina del pianto di Dio. Dio piange sulla croce di Gesù: non piange su Gesù morto, piange su di noi.
Ecco le sue parole:

“Popolo mio, che male ti ho fatto?
In che ti ho provocato? Dammi risposta.
Io ti ho guidato fuori dall’Egitto,
e tu hai preparato la Croce al tuo Salvatore.
Perché ti ho guidato quarant’anni nel deserto,
ti ho sfamato con manna,
ti ho introdotto in paese fecondo,
tu hai preparato la croce al tuo Salvatore.
Che altro avrei dovuto fare e non ti ho fatto?
Io ti ho piantato, mia scelta e florida vigna,
ma tu mi sei divenuta aspra e amara:
poiché mi hai spento la sete con aceto,
e hai piantato una lancia nel petto del tuo Salvatore.
Io per te ho flagellato l’Egitto e i suoi primogeniti,
e tu mi hai consegnato per essere flagellato.
Io ti ho guidato fuori dall’Egitto
E ho sommerso il Faraone nel Mar Rosso,
e tu mi hai consegnato ai capi dei sacerdoti.
Io ho aperto davanti a te il mare,
e tu mi hai aperto con la lancia il costato.
Io ti ho fatto strada con la nube,
e tu mi hai condotto al pretorio di Pilato.
Io ti ho nutrito con la manna nel deserto,
e tu mi hai colpito con schiaffi e flagelli.
Io ti ho dissetato dalla rupe con acqua di salvezza,
e tu mi hai dissetato con fiele e aceto.
Io per te ho colpito i re dei Cananei,
e tu hai colpito il mio capo con la canna.
Io ti ho posto in mano uno scettro regale,
e tu hai posto sul mio capo una corona di spine.
Io ti ho esaltato con grande potenza,
e tu mi hai sospeso al patibolo della croce”.
(dalla liturgia del Venerdì Santo)
Questo pianto di Dio è un mistero.
Certo una risposta va data: ciascuno la deve dare; qui è in gioco una responsabilità personale che non può essere elusa.

L’inizio della nostra risposta è un grande grazie per l’amore con cui Dio Padre ci ha amato – fino a darci il Figlio, e a darcelo nella morte in croce – e poi forse dobbiamo raccoglierci nel silenzio: adorando, tacendo e, se Dio ce ne farà dono, anche noi piangendo.