Omelia al mandato dei catechisti (28 settembre 2002)
 Basilica di San Marco sabato 28 settembre 2002
28-09-2002

EUCARISTIA PER IL XXV MANDATO AGLI EVANGELIZZATORI E AI CATECHISTI 1977 – 2002
XXVI Domenica del Tempo Ordinario
Ex 18, 25-28; Fil 2, 1-11; Mt 21, 28-32
OMELIA DEL PATRIARCA S. E. MONS. ANGELO SCOLA

1. «Se c’è una consolazione in Cristo» (Fil 2, 1). En Christoi (in Cristo). La bruciante e geniale formula in cui Paolo concentra l?esperienza cristiana – vivere è esistere in Gesù Cristo ? esprime bene la ragione della gioia che pervade questa nostra assemblea.
Quest?anno ricorre il XXV anniversario della celebrazione del Mandato, iniziata per volontà del venerato Patriarca Luciani, morto esattamente 24 anni fa. Nella Chiesa che è in Venezia il ricordo della Sua figura è legato in modo speciale al gesto che stiamo celebrando, scaturito dalla sua instancabile passione a comunicare il fascino dell?en Christoi, cioè di una esistenza tutta spesa per Cristo. Con i preliminari del Suo processo di beatificazione, si profila ancor meglio il valore del Suo ministero e del Suo insegnamento. La Vostra fedele e nutrita presenza in questa Basilica rende evidente la bontà della strada da Lui aperta per la nostra Chiesa venticinque anni fa e confermata anche in seguito. Nel Radiomessaggio del 27 agosto 1978 Papa Luciani affermava: «Se tutti i figli della Chiesa sapranno essere instancabili missionari del Vangelo, una nuova fioritura di santità e di rinnovamento sorgerà nel mondo, assetato di amore e di verità».
L?espressione paolina in Cristo non vuole tanto indicare Gesù come esempio da imitare. La sua intenzione profonda non è anzitutto morale. Esistere in Cristo dice piuttosto l?origine e lo sviluppo, gratuito e soprannaturale, della vita cristiana. Noi siamo stati afferrati dall?evento della morte e risurrezione del Figlio di Dio fattosi carne e la nostra persona, investita dalla Sua potenza, ?conclama Cristo? in tutto il suo essere ed il suo operare.
La partecipazione attiva ai Sacramenti, soprattutto all?Eucaristia e alla Riconciliazione – ambito naturale dell?ascolto della Parola di Dio – genera la comunità cristiana, grembo materno che si prende stabilmente cura della nostra persona. Da questa comunità ogni cristiano è mandato in tutti gli ambienti dell?umana avventura: dalla famiglia al quartiere, dalla scuola e dall?università alla bottega, alla fabbrica e all?ufficio, dal mondo dell?economia e della cultura a quello della politica. Ogni uomo, allora, incontrando i cristiani, persone segnate dall?in Cristo, può sperimentare i tratti di novità e di speranza di cui Paolo parla ai Filippesi: la consolazione, l?amore, la comunanza di spirito, la compassione (cfr. Fil 2, 1).
Ogni iniziativa di evangelizzazione e di catechesi, espressione della missione del cristiano, scaturisce da questa comunione vissuta in una comunità ben identificata ed identificabile, che continuamente regge, sorregge e corregge la nostra libertà di redenti. D?altra parte, generare e far maturare comunità cristiane che siano espressione suprema e tangibile della vita in Cristo è lo scopo stesso dell?evangelizzazione.

2. Per sviluppare questa vitalità missionaria la comunità cristiana ? mi riferisco a comunità ben precise come la parrocchia, le associazioni, i movimenti ed i gruppi – richiede ad ogni suo membro, cioè ad ognuno di noi, due condizioni.
La prima ci viene suggerita dal passaggio evangelico dell?odierna liturgia. Sentendo questa parabola, siamo giustamente portati a pensare alle nostre incoerenze, al fatto che, tante volte, se a parole diciamo il nostro sì al Signore, nei fatti lo ritrattiamo. Non è questo, però, il nucleo dell?insegnamento della parabola. Gesù mette l?accento sul figlio che, avendo prima detto di no, poi si pente e finisce per andare a lavorare nella vigna. Il messaggio evangelico in questo caso ci dice che l?esistenza in Cristo è definita ultimamente dalla possiibilità di ritorno al Padre, cioè di riconciliazione. La fragilità ed il peccato che tendono a segnare ogni nostro gesto sono investite da un fiotto di misericordia che ci dispone al cambiamento e alla conversione.
Per questo siamo invitati a vivere continuamente in un atteggiamento di confessione. Riconoscere il proprio limite nell?abbraccio della comunione è l?asse portante del metodo di vita cristiana. Se la comunità cristiana è il luogo in cui sono perdonato e imparo a perdonare, allora la speranza definisce veramente l?esistere in Cristo e dall?esperienza della riconciliazione scaturisce la possibilità di sperare per sé e per tutti.
Il contenuto primario del Mandato, quindi, è anzitutto la cura della tua vita cristiana. «Veglia su te stesso» raccomanda il grande Padre della Chiesa Basilio. Vivi immerso nella comunione della Chiesa, lasciati riconciliare con Dio e coi fratelli, sconfiggi lo scetticismo che minaccia i nostri rapporti, rendi ragione della speranza che è in te.

3. Spalancarsi ogni mattina ex novo a tutti, come il Padre fa con ciascuno di noi, questa prima condizione richiesta al cristiano dalla comunità, ci introduce naturalmente nella seconda. Chi è capace di speranza nei rapporti si trova lanciato missionariamente a tutto campo.
Il mandato che oggi vi viene affidato è quello di testimoniare in prima persona, nella trama normale dei rapporti e delle situazioni di ogni giorno, la novità dell?esistenza che si vive nelle nostre comunità cristiane, fonte di riconciliazione e di speranza per ogni uomo.
La catechesi, l?evangelizzazione – in una parola l?educazione cristiana – sono un incontro di libertà in cui Gesù Cristo si documenta sensibilmente attraverso l?umanità rinnovata del testimone. In questo senso non c?è comunicazione della fede che non avenga da persona a persona, da esperienza a esperienza. E questo implica che ogni gesto di comunicazione sia innanzitutto evento di cambiamento di colui che comunica. Dobbiamo dire che annunciare il Vangelo significa ultimamente essere dei testimoni che, con timore e tremore, fanno eco all’invito del loro Signore: Vieni e seguimi! Ma solo se viviamo organicamente inseriti in una comunità cristiana ben individuata troviamo la forza di rivolgere questo invito con umiltà ma con convinzione, perché solo nella comunità cristiana si rende evidente che tale invito non è alla mia persona ma a quella del Signore presente nella Sua Chiesa.
Il testimone evangelizzatore, infatti, è uno che si espone in prima persona, immedesimandosi a Colui «che non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio», ma ha accettato di esinanirsi sul palo ignominioso della croce per la nostra salvezza (cfr. Fil 2, 1-11).

4. Vi suggerisco due elementi utili per verificare se i nostri incontri di catechesi, i nostri gruppi di ascolto, le nostre iniziative comunicano l?esperienza cristiana nella sua vera natura, così come l’abbiamo sinteticamente descritta.
Anzitutto, un gesto di evangelizzazione, un gruppi di ascolto, è autentico se è aperto e capace di incontrare l?altro in qualunque momento, qualunque sia la sua posizione. Chiunque, giungendo anche inaspettato ad un incontro di cristiani, deve sentirsi immediatamente a casa sua, perché percepisce di essere in un ambito umanamente completo. Questo richiede che ogni incontro – di catechesi e di ascolto della Parola – nel suo stesso attuarsi provochi al cambiamento la persona di chi annuncia e di chi ascolta.
In secondo luogo nessuna riunione può essere intesa come un puro momento di preparazione ad una vita che verrà dopo. Al contrario, in analogia all?Eucaristia, ogni incontro è veramente ecclesiale se è da subito un avvenimento di salvezza che dilata il cuore e produce letizia: «Quando due o tre saranno riuniti nel mio nome io sarò in mezzo a loro». Non a caso i Vescovi del Triveneto hanno ricordato, nella recente Nota sull?Iniziazione cristiana, che «la fede aumenta e si rafforza mentre viene comunicata». E la grande tradizione scolastica affermava acutamente che la verità non è definitivamente conosciuta fin che non è comunicata.

5. All?inizio di questo nuovo anno pastorale, attraverso di Voi qui riuniti con il Patriarca, tutto il popolo di Dio che è in Venezia riceve dal Suo Signore un invito tenero e forte: «Figlio, va oggi a lavorare nella mia vigna» (Mt 21, 28). Queste parole ci ridanno letizia. E la letizia speranza.
Agostino, commentando il versetto del Salmo che dice: «Signore, sia su di noi la tua grazia, perché in te speriamo» (Sal 32, 22), afferma: «Sia la Tua misericordia, o Signore, su di noi; non ci può infatti ingannare la speranza, perché in Te abbiamo sperato» (Enarrationes in Ps. 32, I, 22). Carissimi figli, chi, come noi, spera nel Signore, non si inganna. Amen.