Omelia al funerale di don Vincenzo Agnoletto (25 ottobre 2003)
25-10-2003

AI FUNERALI DI DON VINCENZO AGNOLETTO
San Pietro Ap. Di Favaro Veneto, 25 ottobre 2003
(Is 25, 6.7-9; Rm 14, 7-12; Mc 15, 33-39; 16, 1-6)

Venerato e caro Patriarca, confratelli presbiteri, diaconi,fratelli e sorelle nel Signore,

domenica, 12 ottobre, Don Vincenzo, seduto in presbiterio, ha partecipato alla celebrazione del quarantennio della Parrocchia di S. Pietro di Favaro, nata e cresciuta intorno alla sua forza spirituale di pastore zelante: fra fatiche e stenti, in situazioni che oggi diremmo ‘eroiche’, da lui vissute con la semplice naturalezza del discepoli di Gesù, il Maestro povero, che non aveva un sasso su cui posare il capo. Del resto la precarietà e l’umiltà sono state la sigla di tutta la sua vita. All’ordinazione presbiterale era arrivato un po’ più anziano dei suoi compagni proprio a causa della salute piuttosto malandata.
Domenica 12, alla preghiera dei fedeli, molte voci ‘ alcune erano di bambini – si sono alzate a pregare per la sua salute con affettuosa solidarietà. Don Vincenzo era evidentemente prostrato, senza forze, ma via via il suo volto si aprìva al sorriso, come ravvivato dalla stretta calorosa dei suoi figli, che gli volevano bene: il sorriso mite di chi nella vita aveva sofferto fin da fanciullo – ahimè, prestissimo orfano – mirabilmente condotto da Dio verso una vita che si può riassumere nell’icona del buon pastore; un sorriso, quello di domenica, in cui c’era il presentimento della fine.
Don Vincenzo è stato veramente ‘il sacramento’ del buon pastore fra la sua gente. Dopo alcuni anni di lavoro come cappellano a S. Donato di Murano, egli era stato mandato nella sua parrocchia natale di S. Andrea di Favaro. E in questa zona è sempre rimasto, accompagnando il costituirsi delle nuova parrocchia di S. Pietro a partire dal 1963. Via via ha costruito la chiesa, la canonica, tutte le opere parrocchiali: sorretto, nelle difficoltà, anche molto gravi per la povertà comune in quegli anni, dalla solidarietà della sua gente, che non lo ha mai lasciato solo. E’ straordinaria la storia di questa comunità, cresciuta spiritualmente e materialmente, proprio mattone su mattone, sulla fede forte d’un prete povero e sull’amore laborioso della sua comunità.
Un uomo di poche parole, era don Vincenzo, laboriosissimo anche nella precarietà della sua salute espressione della più bella tradizione del presbiterio veneziano: un prete vicino alla gente, che ne condivide le gioie, i dolori e le angustie.
Oggi, mentre inizia ‘il giorno del Signore’ che per tanti anni lo ha visto solerte nella sua chiesa, impegnato nelle celebrazioni domenicali e nel ministero della riconciliazione, noi lo consegnamo alla ‘domenica senza tramonto’.

E’ tempo però che ci volgiamo ad ascoltare la parola del Signore: essa fonda la nostra sicura speranza.

La prima lettura (Is 25,6.7-9), tratta dal profeta Isaia, ci raffigura la vita futura come una festa che il Padre prepara per i suoi figli: in essa non ci sarà più la morte, Dio anzi asciugherà ogni lacrima sul nostro volto. Gesù ci parla spesso di questa festa e ci dice addirittura che, in quel giorno, il Padre stesso si cingerà il grembiule e ci servirà. Come fanno le mamme coi loro figli, a mensa. Perché noi siamo realmente figli di Dio. Adesso questa nostra vita divina non appare. Ma quando apparirà, sarà evidente la nostra somiglianza al Padre e a Gesù, suo figlio e nostro fratello. Così noi entreremo a pieno diritto nella famiglia dei figli di Dio. Don Vincenzo ha fatto il grande passaggio: la nostra preghiera intercede per lui. Noi speriamo che egli, essendo vissuto da vero figlio di Dio, obbediente al Padre, ora ne goda pienamente la felicità.

Nelle parole dell’apostolo Paolo, ascoltate nella seconda lettura (Rm 14,7-12), noi abbiamo riconosciuto l’interpretazione più bella della vita di Don Vincenzo: un uomo umile, che non è vissuto per se stesso, ma per il Signore. E se è vissuto e ha sofferto per il Signore, è anche morto per lui e in lui. Proprio per questo noi crediamo che la sua morte, associata a quella di Cristo, non è la fine, ma l’ingresso nella pienezza di vita del Risorto.

Il Vangelo (Mc,15,33-39;16,1-6) ha proclamato la Pasqua del Signore, la sua morte e la sua risurrezione, come eventi compiuti una volta per sempre in Gesù; eventi che devono andare a compimento anche in noi. Come dice l’apostolo Paolo: ‘Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa’ (Col 1,24). Se la nostra morte è comunione con la morte di Cristo, allora la speranza della nostra risurrezione è sicura.

La Pasqua di Gesù è nell’Eucaristia. Don Vincenzo per cinquantaquattro anni l’ha celebrata ogni giorno: adorando, intercedendo e riparando. Egli ha protetto la sua comunità con l’Eucaristia: davanti al Padre l’ha avvolta col sangue salvatore di Cristo. Questo pastore d’anime mite e fedele, che amava stare nell’ombra anche nelle cose grandi che andava facendo, ha offerto nella sua ultima malattia la sua vita al Signore, come la sua Messa più solenne davanti a Dio, per la sua comunità.

Tra poco affideremo al sepolcro il corpo morto di Don Vincenzo, come Giuseppe d’Arimatea e le donne hanno consegnato al sepolcro il corpo morto di Gesù. Ma dal sepolcro Gesù è risorto. Noi crediamo che, con Lui, anche i morti nella fede risorgeranno. Don Vincenzo risorgerà. Giorno verrà in cui ci ritroveremo tutti, stretti nelle braccia di quel Padre, che ci vuole salvi e partecipi della sua stessa vita.

Ora è tempo di proseguire nella celebrazione dell’Eucaristia. Noi crediamo nelle parole di Gesù che ha promesso il paradiso a chi crede in Lui: ‘Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se è morto , vivrà, e chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno’ (Gv 11,25-26). Noi speriamo che per la vita integra e generosa di questo pastore buono, che non ha mai cercato la gloria degli uomini, ma sempre il compimento del suo dovere davanti a Dio, sia già nelle braccia del Padre. Siamo però anche convinti che nessuno può ritenersi giusto davanti al divino Giudice, e per questo eleviamo per don Vincenzo la preghiera fervida del nostro suffragio, che vuole essere anche ringraziamento a Dio per il dono grande del suo ministero in mezzo a noi.

La Santa Madre di Dio, S. Vincenzo e S. Pietro accompagnino don Vincenzo a Gesù, e Gesù lo conduca al Padre.
Gli vengano incontro quanti egli, nel suo lungo ministero, ha accompagnato al grande passaggio da questa all’altra vita. Tutti insieme intercedano per noi e ottengano per questa parrocchia la perseveranza nella fede che per tanti anni egli ha instancabilmente predicato. Ci ottengano dal Padre anche ciò che nel quarantennale della fondazione della parrocchia, abbiamo chiesto al Signore insieme a Don Vincenzo: che cioè in questa parrocchia non si inaridisca la sorgente delle vocazioni sacerdotali e religiose, di cui la nostra Chiesa di Venezia ha tanto bisogno.

A Don Andrea che gli è stato figlio affettuoso in questi ultimi anni e lo ha accompagnato ora per ora al grande passaggio, ai parenti, a quanti lo hanno assistito e a coloro che hanno collaborato con lui nella dura fatica di costruire una parrocchia, vada la riconoscenza della nostra Chiesa di Venezia, del Cardinale Patriarca e dell’intero presbiterio.