Omelia ai Secondi Vespri in occasione della Giornata della vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa (Venezia / Basilica S. Marco, 6 febbraio 2022)
06-02-2022

Secondi Vespri in occasione della Giornata della vita consacrata e dei Giubilei di professione religiosa

(Venezia / Basilica S. Marco, 6 febbraio 2022)

Omelia del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Fratelli e sorelle,

anche in questo cammino sinodale, la Chiesa riconosce la molteplicità delle vocazioni ed insieme si eleva il canto verso la Santissima Trinità.

Vorrei con voi rileggere brevemente il Vangelo di oggi perché è un racconto di vocazione ed oggi, in qualche modo non tanto con nostalgia ma con la volontà di dire testimonianza, siete invitate e siete invitati a ritornare a quel giorno, all’inizio della vostra vita religiosa; l’inizio non è solo un “prima” che precede un “dopo”, l’inizio è anche e sempre ciò che contiene tutto, poiché là c’è il seme e nel seme c’è la pianta e la pianta dipende da quel seme.

Rileggiamo, allora, il Vangelo di oggi per ritornare all’inizio della vocazione e per viverla nell’oggi. Cogliamo alcuni elementi: Gesù è in mezzo alla folla, entra nel quotidiano, vi sono pescatori, garzoni, barche, cassette di pesce vuote e lì Gesù, come se niente fosse, inizia ad annunciare la Parola, discostandosi un poco dalla riva perché tutti lo vedessero e lo sentissero.

La Chiesa deve superare la tentazione dell’afasia: bisogna dire Gesù e bisogna dirlo con la vita e con la parola. Gesù non ha annunciato il Regno di Dio semplicemente dando dei buoni esempi ma ha chiamato le folle ed ha parlato, ha rivelato con la vita e con la parola il mistero che lo lega al Padre, la volontà di riunire tutti nella Chiesa come in una famiglia, la famiglia di Dio.

Gesù entra nel quotidiano, annuncia la Parola e poi, come se non esistesse soluzione di continuità, dà un comando: “Simone, prendi il largo e getta le reti… Vieni fuori Lazzaro, io te lo comando, esci da questa tomba… Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue… Ti sono rimessi i tuoi peccati…”.

Gesù è la parola creatrice, annuncia e realizza quello che annuncia ma dà anche dei comandi e dà un comando anche ad una persona (Pietro) che, dai Vangeli, sappiamo che aveva un carattere particolare. Quante volte Pietro si sentirà redarguire da Gesù!

Il suo carattere era piuttosto veemente; di sicuro era competente nel suo lavoro ma con il carattere che aveva, probabilmente, si era inimicato tante persone… Eppure si sente dare un ordine che per lui, secondo il buon senso e la conoscenza umana, è un comando sbagliato; non si va a pescare di giorno ma di notte e poi lui veniva da una notte di pesca infruttuosa… Ma c’è il comando di Gesù – siamo all’inizio della vocazione di Pietro – che lo obbliga ad andare contro la sua valutazione umana: “Sulla tua parola getterò le reti”.

La vocazione è sempre un’esperienza forte che ci lascia diversi da come ci ha trovati ed è un’esperienza forte che noi dobbiamo portare e vivere nella nostra quotidianità.

All’inizio della vocazione di Pietro c’è un andare oltre la propria valutazione umana per fidarsi di quel comando, di quella parola, di quell’uomo. Dopo quell’esperienza Pietro è un altro uomo e compie un gesto che forse solo una persona irruente ed impulsiva poteva compiere; si getta in ginocchio davanti al Signore e dice: “Allontanati da me perché sono peccatore”. Questa frase ci dice molto di quello che Pietro aveva nel cuore quando ha obbedito, obtorto collo, al comando di Gesù.

La vocazione è espropriarci del nostro uomo vecchio, del nostro io, della nostra autoreferenzialità. San Benedetto dice che un religioso è in grado di guidare gli altri religiosi quando ha superato, tra le altre cose, quell’autoreferenzialità che non conosce età e, se c’è, c’è nel bambino e nell’anziano.

Le vocazioni, però, attraggono e una vocazione genuina pone delle domande tanto che, insieme a Pietro, si uniscono Giacomo e Giovanni.

Mi viene in mente una figura di religioso che vive in un’epoca difficile della Chiesa (l’undicesimo secolo): Bernardo di Chiaravalle, che passa da un’idea e tipologia religiosa ad un’altra idea e, quando entra in monastero, porta con sé decine di parenti ed amici. È qualcosa che ci deve interpellare: una vocazione gioiosa, forte, saggia, matura dal punto di vista umano (la grazia suppone la natura, non dimentichiamocelo!).

Ci sono le virtù umane, che sono importanti in comunità, ci sono le virtù teologali, le virtù soprannaturali, ma ci sono anche le virtù umane: curiamole e prendiamoci a cuore la nostra umanità perché è il primo rapporto che abbiamo con gli altri.

Abbiamo bisogno di ritornare all’essenziale. E, allora, riprendendo l’omelia di Papa Francesco in questi giorni, richiamo alla vostra attenzione, e a quella delle vostre comunità, due domande. La prima: da chi ci lasciamo principalmente muovere, dallo Spirito Santo o dallo spirito del mondo? Lo spirito del mondo non è fuori del convento o dell’istituto, è dentro di noi. Seconda domanda: che cosa muove i nostri giorni, che cosa ci spinge ad andare avanti, lo  Spirito Santo o la passione del momento? Là dove è il tuo tesoro, là è il tuo cuore.

Esorto tutte le comunità ad impegnarsi con le loro forze nel Cammino sinodale che riguarda tutte le Chiese che sono in Italia e che in questa prima tappa coincide anche con il cammino del Sinodo generale della Chiesa; è l’inizio della prima tappa. E lo spirito sinodale non vuol dire: troviamo un compromesso. Vuol dire facciamo insieme ciò che lo Spirito Santo attende da noi.

Un‘ultima cosa, infine: adesso rinnoverete i vostri voti ed io vi esorto a fare questo gesto così importante guardandolo attraverso una domanda che diventa anche una sorta di esame di coscienza: non tanto cosa faccio “contro” la povertà, la castità e l’obbedienza ma cosa potrei fare e non faccio.