Omelia ai primi vespri della II Domenica di Pasqua (Convegno ecclesiale Aquileia 2 / Grado, 14 aprile 2012)
20-04-2012

Convegno ecclesiale ‘Aquileia 2’

 

Celebrazione dei primi vespri della II domenica di Pasqua

Meditazione del Patriarca mons. Francesco Moraglia (Rm 5, 10-11)

 

Basilica di S. Eufemia – Grado (14 aprile 2012)

 

 

 

 

Il nostro convenire ci porta a guardare, nella preghiera dei primi vespri della domenica, al Risorto che sempre precede la sua Chiesa e che è il vero evangelizzatore, anche oggi, delle nostre terre.

 

 

Soffermiamoci brevemente sulla lettura che abbiamo appena ascoltato. Per tre volte Paolo ripete il termine ‘riconciliazione’ / ‘riconciliati’. Chiediamoci: da chi siamo stati riconciliati? In che cosa consiste la riconciliazione? Siamo stati riconciliati dal Crocifisso. Siamo riconciliati nella croce.

 

 

Quindi la riconciliazione – in un certo senso il compimento dell’evangelizzazione – non è il risultato di una mediazione umana. Gesù non ci ha salvati attraverso un miracolo, ci ha salvati attraverso il dono totale di sé. Non c’è evangelizzazione che prescinda da questa realtà cristiana.

 

 

In questo tempo pasquale, al centro di questo secondo Convegno di Aquileia, riecheggia il richiamo alla croce: la croce di Aquileia. La nuova evangelizzazione non può prescindere dal discepolo che si dona e dalla comunità ecclesiale che, col discepolo, riscopre la gioia del dono di sé: ‘Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo” (Gv 12, 24).

 

 

Fa parte della nuova evangelizzazione riscoprire / riappropriarsi del significato e dei contenuti delle parole cristiane. Il testo della lettera ai Romani dice: ‘Siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte” (Rm 5, 10). Sì, attraverso la morte! Mentre la cultura secolarizzata rimuove la morte, la esorcizza in mille modi, la irride oppure tutt’al più l’accetta con atteggiamento cinico, stoico’

 

 

Invece il cristiano sa di essere salvato da una morte. Non da un omicidio, non sarebbe sufficiente. Non da un’ingiustizia ma dal dono totale di sé. L’amore di Cristo si traduce storicamente nella croce.

 

 

Nell’evento di Cristo la morte per il cristiano assume un significato nuovo. La morte non è più solo una fine, un termine, ma è addirittura il fine in cui ognuno di noi è invitato a consegnare se stesso. Noi siamo salvati dalla consegna che Cristo fa di sé al Padre. La morte, se accettata, è atto pieno di libertà.

 

 

La cultura si esprime nel linguaggio: morte, risurrezione, riconciliazione e dono di sé, vero fondamento di ogni evangelizzazione.

 

 

Vorrei riprendere l’immagine evocata ieri: i pozzi dei nostri padri a cui dobbiamo tornare ad abbeverarci con ogni fratello anche non ortodosso, non eticamente a posto’ Sono grato per questa bella immagine.

 

 

Il mio pensiero è corso subito al pozzo paradigmatico per il cristiano: il pozzo di Sicar, il pozzo di Giacobbe, il pozzo di Gesù, il pozzo della Samaritana.

 

 

Gesù giunge a Sicar stanco, nell’ora più calda del giorno, ma ha tempo per incontrare gli altri. E incontra una donna. Qui Gesù ci offre il metodo del dialogo, del confronto, dell’annuncio. Qui Gesù è, insieme, Carità e Verità. Gesù non è prevenuto: parla con una donna, parla con una Samaritana!

 

 

E Gesù non teme di parlare con verità. ‘Hai detto bene: io non ho marito’ Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito” (Gv 4, 17-18). E prima di annunciare il nuovo culto in spirito e verità dice ad una Samaritana che la salvezza viene dai Giudei.

 

 

Quindi Gesù ci indica un metodo e prende per mano la Samaritana, la fa incontrare con se stessa, con la verità della sua vita. Le indica, le fa percorrere una strada dove la verità e la carità non sono alternative ma si sostengono in un cammino di vera evangelizzazione. Noi parliamo qui ad Aquileia 2 della nuova evangelizzazione.

 

 

Ritorna – dobbiamo ribadirlo in questo tempo pasquale, in questi primi vespri dell’ottava di Pasqua, domenica ‘in albis’ e della divina misericordia – la logica della lavanda dei piedi. La carità che si china, ma domanda la rimozione della sporcizia. Pietro dovrà superare la logica del rispetto umano e del politicamente corretto di fronte alla carità e alla verità del gesto di Cristo.

 

 

La lavanda dei piedi è gesto di umiltà e di carità ma, anche, esigenza di verità in vista della comunione col corpo dato e col sangue effuso.

 

 

Il pozzo di Giacobbe, il Cenacolo, la morte per la risurrezione illuminano il nostro cammino di appassionati evangelizzatori di queste terre.