Omelia ai Giubilei sacerdotali (Venezia, 31 maggio 2006)
31-05-2006

La visita della Vergine Maria ad Elisabetta
Festa dei Giubilei 31 maggio 2006

Anche quest’anno ci ritroviamo, alla fine dell’anno pastorale, per celebrare la festa dei Giubilei del nostro presbiterio. Sono grato al Patriarca che, ancora una volta, in questo giorno così significativo per tutti, mi offre l’opportunità di concelebrare con voi, che avete collaborato con me negli anni del mio servizio episcopale a Venezia, condividendo gioie e fatiche.
Sono presenti anche i due diaconi che presto riceveranno l’Ordinazione presbiterale e gli alunni di Teologia del nostro Seminario: una presenza cara al cuore di tutti, che diventa invito a pregare, oggi e nel mese consacrato al Sacro Cuore, il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe. La Santa Madre di Gesù che, a Cana, ha interceduto presso il Figlio per i due giovani sposi, gli presenti anche le nostre fiduciose preghiere.

Nel Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, è stato proclamato il mistero della Visita di Maria ad Elisabetta, che tutti dicevano sterile e che, invece, era prossima a diventare madre.
Maria portava già in grembo il Figlio di Dio fatto uomo. E noi vediamo ‘la figlia di Sion’ percorrere in fretta la strada che dalla Galilea sale in Giudea, tutta raccolta sul suo mistero, consegnata totalmente a Dio come nel giorno dell’Annunciazione. E pensiamo che l’Arca dell’Alleanza, sulla quale talora Dio scendeva avvolto nella nube, era soltanto un pallido annunzio di quanto ormai era avvenuto in Maria, nel cui grembo ‘il Verbo si fece carne e incominciò ad abitare in mezzo a noi’ (Gv 1,14).
A ben pensarci, l’incontro di Maria con Elisabetta segna uno dei vertici della storia della salvezza: l’Antico Testamento, di cui Elisabetta porta in grembo l’ultimo dei profeti (Lc 16,16), si incontra con Colui che è, nella sua stessa realtà divina e umana, l’Alleanza in persona. Così tutto quanto era stato scritto nella Legge di Mosé, nei Profeti e nei Salmi va a compimento: Giovanni Battista sussulta di gioia nel grembo della madre ed ella, piena di Spirito Santo, proclama la prima beatitudine del Vangelo: ‘Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo’E beata colei che ha creduto all’adempimento delle parole del Signore’. L’invito a gioire, rivolto dal profeta Sofonia a Israele (3,14-18), risuonato nella prima lettura, trova qui la sua risposta: per questo Giovanni Battista sussulta nel grembo della madre.
Maria non dice una parola, ma scioglie il suo cuore in un canto di benedizione. Essa riprende espressioni dell’Antico Testamento, il quale, ancora una volta, va a compimento nel mistero che a Maria è stato donato per grazia infinita: il Figlio di Dio si è fatto uomo e in Lui si compie il piano divino di salvezza.
Maria non paventa la sua piccolezza, perché proprio su di essa si è piegato l’Amore che gratuitamente salva: un Amore che attraversa tutta la storia, sconfiggendo chi orgogliosamente si innalza, mentre si abbassa a sollevare gli umili.
Così, nel Verbo incarnato, ancora nascosto nel grembo della Madre, trova vera luce il mistero dell’uomo e la storia viene orientata al suo compimento. E nasce la speranza nel mondo.

Un mistero, questo della Visitazione, che ci appartiene, perché nel ‘grembo’ della nostra fede, in noi, c’è il Signore. Lui stesso ci ha detto che vive in noi; ‘Io in loro e tu in me’, dice rivolto al Padre (Gv 17,23). Ancora: noi siamo i tralci di Lui che è la vite. Proprio per questo, in forza della nostra Ordinazione, siamo abilitati ad agire ‘in persona Christi’: a fare l’Eucaristia, a celebrare i Sacramenti, a predicare la sua Parola, che è lieta notizia di salvezza per tutti gli uomini.
Anche il nostro ministero, quindi, proprio perché testimonianza resa al Risorto che vive e agisce in noi mediante il dinamismo sacramentale che ha penetrato la nostra vita, è adempimento delle promesse di Dio, cioè luogo di incontro sanante col Signore Gesù, il Salvatore.
Di fronte a questo mistero che assolutamente ci supera, ma che ci è stato donato per grazia, noi dobbiamo avere l’atteggiamento di Maria. Quando l’angelo le portò l’annunzio sconvolgente della chiamata alla maternità divina, ella non si schermì avanzando i suoi progetti e la sua indegnità, ma semplicemente ‘si consegnò’: ‘Eccomi, sono la serva del Signore si compia in me la sua Parola’.
Dobbiamo chiedere al Signore il dono d’una fede che ci consegni totalmente a Dio, sicuri che né morte né vita potranno mai separarci dall’Amore di Dio, dalla ‘agape’ di cui ci ha parlato il Papa nella sua prima enciclica, quell’Amore che, superando ogni nostra piccolezza, discende su di noi e ci innalza, facendoci strumento della sue grandi opere di salvezza.

Il cuore del mistero che oggi celebriamo è Gesù, invisibile ma già operante e signore della storia. Maria lo custodisce nel suo grembo, Giovanni Battista sobbalza di gioia alla sua venuta, Elisabetta proclama a gran voce l’opera mirabile di Dio che ha scelto Maria che nel suo corpo e nella sua fede, porta Colui ‘per mezzo del quale e in vista del quale’ il Padre ha creato il mondo.
Gesù di Nazaret, crocifisso e risorto, deve essere il cuore anche della nostra vita, come ha recentemente ricordato il Papa ai vescovi italiani, raccolti nella loro Assemblea annuale: ‘Al centro della nostra vita sta con tutta evidenza la relazione a Cristo, l’unione intima con Lui, la partecipazione alla missione che Egli ha ricevuto dal Padre. Il mistero del nostro sacerdozio consiste in quella identificazione con Lui in virtù della quale noi, deboli e poveri esseri umani, per il Sacramento dell’Ordine possiamo parlare e agire ‘in persona Christi capitis’. L’intero percorso della nostra vita sacerdotale non può puntare che a questo traguardo: configurarci nella realtà dell’esistenza e nei comportamenti quotidiani al dono e al ministero che abbiamo ricevuto. Devono guidarci e confortarci in questo cammino le parole di Gesù: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15). Il Signore si mette nelle nostre mani, ci vuole partecipi del suo potere di salvezza. Ma ciò richiede evidentemente che noi a nostra volta siamo davvero amici del Signore, che i nostri sentimenti si conformino ai suoi sentimenti, il nostro volere al suo volere (cfr Fil 2,5), e questo è un cammino di ogni giorno’ (O.R., 19 maggio 2006, p.5).
Del Risorto che vive in noi e agisce mediante noi, dobbiamo essere i testimoni. Maria, accolto in grembo il Verbo che vuole farsi carne in lei, va dalla cugina Elisabetta, come spinta dall’energia divina del Figlio di Dio che porta in grembo. E la sua presenza in casa di Zaccaria diventa grazia.
La Visita pastorale che, con la presenza del Patriarca, successore degli Apostoli, costituisce un luogo privilegiato di incontro personale con il Signore, è l’oggi del mistero della Visitazione. Sia anche il luogo in cui mettiamo in cantiere gesti carichi di speranza, da investire nell’oggi e nel domani. La testimonianza resa al Risorto è vera solo se crede che, come Gesù è risorto, così è capace di far risorgere anche noi e il nostro mondo dalle sue mortali lontananze da Dio, dalle sue ingiustizie, dalle sue drammatiche situazioni di divisione e di odio.
Così deve essere la nostra passione apostolica. Non esito a usare il termine ‘passione’: cos’era l’infaticabile dedizione di Gesù alla gente che lo premeva al punto da non permettergli di prendere cibo e da cui era costretto a difendersi salendo in barca, predicando da là, perché lo schiacciavano da tutte le parti; cos’era il suo rifiuto a lasciarsi deludere dalle incomprensioni crescenti, dalla stessa durezza di cuore degli apostoli; e quel ‘chiamare a raccolta tutte le sue forze per salire a Gerusalemme’ dove, con lucidissima consapevolezza, sapeva che l’attendevano la cattura e la morte; cos’era se non la sua ‘passione’, la sua ‘agape’ suprema, se così si può dire, per il Padre e per l’umanità da salvare? .Concludendo il discorso di addio, nel finale del cap.14 del vangelo di Giovanni, Gesù dice: ‘Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe di questo mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandat. Alzatevi, andiamo via di qui’ (14,30-31).
Questo atteggiamento che era di Gesù, questa ‘passione apostolica’ non conosce limiti di età o di condizione di vita: è un senso del vivere che dà sapore buono alla vita spesa per qualcosa per cui veramente vale la pena. A tal punto che uno, voltandosi indietro, qualunque sia la sua età, possa dire: ‘Signore, mi hai dato una vita bella! Ti ringrazio!’
La bellezza della celebrazione dei nostri giubilei sacerdotali ‘ 25, 50, 60, 65 anni di sacerdozio! ‘ non sta tanto nel far memoria del passato, ma nel ‘benedire’ il Signore per i giorni che ci dona come promessa di ciò che ci darà. Se sono carichi di speranza, foss’anche maturata nella fatica e nel dolore, i nostri giubilei sono come quelle ‘prime luci della Pasqua’ nella sera della sepoltura del Signore Gesù.

La Santa Madre di Dio, che ci ha accompagnato nel nostro cammino di ieri e di oggi, ci sostenga ogni giorno nella nostra fedeltà e ci doni la gioia di essere sacerdoti, segni luminosi di Colui ‘nel quale soltanto c’è salvezza’.