Omelia ai funerali di mons. Rosolino Scarpa (Venezia, 25 marzo 2009)
25-03-2009

Ai funerali di Mons. Rosolino Scarpa

Nella festa dell’Annunciazione

 

S. Nicolò dei Mendicoli – 25 marzo 2009

 

 

Mons. Rosolino Scarpa ci ha lasciato ed è passato da questo mondo alla casa del Padre: a Natale avrebbe toccato il traguardo dei novant’anni.

 

Un pastore d’anime umile e semplice, che si è dedicato con tutte le sue energie alle anime che il Signore via via gli ha affidato.

 

Ordinato nel giugno del 1943 dal Patriarca Card. Adeodato Piazza, venne assegnato come vicario parrocchiale prima alla Parrocchia di Burano e poi ai Gesuati. Nel giugno del ’53 diventò il primo parroco di San Nicolò dei Mendicoli, appena costituita parrocchia dal Patriarca Agostini, distaccandola dall’Anzelo Raffaele, che allora risultava troppo grande.

 

Una parrocchia numerosa, i Mendicoli, abitata per lo più da ferrovieri, con tantissimi ragazzi; una parrocchia da mettere in piedi, si direbbe. E Don Rosolino vi si accinse con amore e dedizione umile e generosa, fra mille ristrettezze.

 

E per trentatre anni accompagnò lo sviluppo della sua comunità. Gli era toccata in dote una chiesa bellissima, che durante il suo servizio parrocchiale venne splendidamente restaurata: ed egli la curò mettendoci tutto il suo cuore.

 

Intanto però i tempi erano cambiati e Don Rosolino percepiva che era giunta l’ora di passare la mano.

 

Così, agli inizi del 1986, veniva nominato Canonico di San Marco e Delegato patriarcale della Basilica di Torcello: un’altra chiesa straordinariamente bella, affidata al suo amore e alla sua cura.

 

E’ significativo rilevare che la vicenda umana di questo buon prete, pio e zelante, si svolge fra due memorie assolutamente importanti: Don Rosolino nasce a Natale e si congeda da questo mondo mentre la Chiesa, nell’evento dell’Annunciazione, celebra il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio: una ricapitolazione cristologica della vita e del ministero di un prete che altro non ha voluto che essere discepolo di Gesù, con gli umili modi dello stile ecclesiastico del suo tempo.

 

            E questo ci riporta al centro del mistero che oggi celebriamo: l’Incarnazione del Figlio di Dio, che è fondamento della nostra fede cristiana e dà senso di speranza anche alla nostra morte.

 

Il Vangelo che abbiamo ascoltato, di cui il testo di Isaia è profezia: ‘una vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele‘, ha proclamato il disegno di Dio di salvare l’umanità, chiedendo a una donna, Maria, di diventare la madre di suo Figlio.

 

Maria, alle parole dell’angelo che la salutava: ‘Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te‘ ‘ parole cariche di evocazioni messianiche ‘ rimase turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo allora le disse: ‘Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”’ ‘Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?’. E l’angelo:’Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza del’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà da te sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”Allora Maria disse: ‘Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola’.

 

In quel momento ‘il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi’.

 

Nella ‘carne ‘ di Cristo, cioè nell’umanità assunta nel grembo della Vergine, il Figlio di Dio si è fatto nostro fratello e, a Pasqua, nella sua carne offerta sulla croce e risuscitata dal Padre, noi tutti siamo stati salvati, nella totalità del nostro essere, anima e corpo.

 

E noi crediamo che, proprio per la nostra misteriosa solidarietà con Cristo, dataci per grazia nel Battesimo e nutrita continuamente dall’Eucaristia, anche il nostro corpo risorgerà, come Cristo è risorto nel suo vero corpo. Proprio come ci ha detto il Signore: ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno’Chi mangia questo pane vivrà in eterno‘ (Gv 6, 54.58).

 

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera gli Ebrei, e nel salmo responsoriale, abbiamo ascoltato le parole di Gesù: ‘Eccomi, Signore, si compia in me la tua volontà‘. Esse riassumono tutta la vita di Gesù, il cui cibo è stato ‘fare la volontà del Padre e compiere l’opera che gli aveva affidato’.

 

E’ bello annotare che questa linea riassuntiva di tutta la vita di Gesù sia stata intonata dal ‘Fiat’ di Maria proprio nell’evento dell’Annunciazione. Queste parole però esprimono anche l’impegno fondamentale e quotidiano di tutta la vita del discepolo di Gesù, di ciascuno di noi, quindi. Con semplicità don Rosolino lo ha fatto e il volto del suo discepolato è stata l’umiltà di Nazaret.

 

Ora Don Rosolino è di fronte al Padre,’ricco di misericordia‘. Noi lo pensiamo accompagnato da Gesù, che intercede sempre per noi, dalla sua Santa Madre Maria, dai Santi protettori delle comunità che lui ha servito, da tante persone che ha preparato all’incontro col Padre; lo pensiamo insieme a Don Luigi Meggiato, suo collaboratore per molti anni, e dal diacono Brando, che lo hanno preceduto nella casa del Padre.

 

Ora egli preghi per noi: per la nostra Chiesa e il nostro Patriarca, per le comunità che ha servito, perché il Signore ci doni la preziosa benedizione delle vocazioni; preghi per la nostra città di Venezia che, oggi, celebra il suo ‘dies natalis’.

 

Alla sorella Amalia che lo ha seguito e custodito con amore condividendo le sue gioie e preoccupazioni, all’amato fratello e ai nipoti le condoglianze dell’intera Chiesa veneziana e il grazie più sentito per l’amore con cui hanno condiviso la vita e il ministero di Don Rosolino.