Omelia ai funerali di don Eliseo Dori (Borbiago di Mira, 24 gennaio 2013)
24-01-2013

Funerali di don Eliseo Dori

 

(Santuario S. Maria Assunta – Borbiago di Mira, 24 gennaio 2013)

 

Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

 

 

 

 

Carissimi confratelli e cari fedeli, don Eliseo ha avuto da Dio la grande grazia e l’altrettanto grande responsabilità del sacerdozio; questa grazia e responsabilità si sono protratte per circa sessant’anni.

 

Due grandi grazie, due grandi responsabilità: il dono e un lungo tempo per esercitarlo nelle differenti stagioni della vita. Un conto, infatti, è esercitare il sacerdozio quando si hanno trent’anni un conto quando se ne hanno ottanta. L’età e la fedeltà alla propria vocazione arricchiscono e donano saggezza di vita che, per il presbitero, si esprime nella vita di comunione con i confratelli e con tutto il popolo a cui è mandato.

 

Abbiamo appena ascoltato la lettura del secondo libro dei Maccabei in cui si parla del suffragio. Il suffragio è l’aiuto più grande che la Chiesa possa dare ai propri defunti e significa affidarli alla misericordia del Signore e pregare per loro.

 

L’episodio narrato ci conduce alla prima metà del II secolo a. C. quando alcuni combattenti d’Israele muoiono in battaglia e sotto le loro tuniche si trovano oggetti sacri agli idoli, segni d’infedeltà all’alleanza. Allora Giuda Maccabeo, a cui stava a cuore la salvezza di questi uomini, manda a Gerusalemme una colletta per compiere un sacrificio e affidarli alla misericordia di Dio.

 

Nella parabola evangelica delle vergini stolte e delle vergini quelle sagge Gesù ricorda che per i discepoli non esistono automatismi ma, nella vita del cristiano. tutto è verificato – reso vero – dalla vigilanza, ossia dalla fedeltà.

 

Il Vangelo ci ha così ricordato che si può far parte del numero delle vergini ma essere vergini stolte. La stoltezza è la mancanza di vigilanza e, quindi, l’infedeltà. La fedeltà quotidiana, invece, dice la vigilanza di una persona.

 

 La parabola evangelica, poi, parla di una porta chiusa e dello Sposo che dichiara: ‘Non vi conosco’ (Mt 25, 12). Il Vangelo lega costantemente l’amore o comunione con Dio all’amore o comunione con i fratelli; questo duplice amore, alla fine, sono le due facce dell’unica moneta; ed è l’amore verso Dio che sostiene quello verso il prossimo.

 

A ben vedere, di fronte a Dio, la vita – anche quando appare molto lunga – è, in realtà, brevissima. Ma l’eternità – è il messaggio del vangelo appena ascoltato – la si costruisce, giorno dopo giorno, in questo lungo o breve cammino terreno, lungo o breve a seconda della prospettiva con la quale ci poniamo a guardare le cose.

 

Il suffragio, lo sguardo attento sulla brevità o lunghezza della vita e, soprattutto, il significato della vita terrena di fronte all’eternità si uniscono alla riflessione sulla porta aperta, segno di comunione col Signore.

 

La porta aperta, o almeno socchiusa, verso i fratelli in questa vita terrena è espressione reale della comunione dei santi nel Signore Gesù, lo Sposo che tutti dobbiamo attendere vigilanti, nella quotidiana fedeltà alla nostra vocazione, come richiedono le promesse che stanno all’inizio della vita battesimale e, in particolare, del sacerdozio ordinato.

 

Affidiamo don Eliseo alla misericordia del Signore e, attraverso la nostra fiduciosa, ribadita e cordiale preghiera di suffragio, chiediamo che anche per lui quella porta, segno di comunione col Signore, sia aperta.

 

La preghiera di suffragio sia il nostro dono al fratello don Eliseo.