Omelia ai funerali di don Bruno Busetto (Venezia / Madonna dell’Orto, 26 settembre 2014)
26-09-2014
Funerali di don Bruno Busetto
(Venezia / Madonna dell’Orto, 26 settembre 2014)
Omelia del Patriarca mons. Francesco Moraglia
Confratelli nel sacerdozio, diaconi, familiari e amici di don Bruno,
accompagniamo con la nostra preghiera, e soprattutto con questa celebrazione eucaristica, il nostro carissimo don Bruno all’incontro più importante della sua vita, quello col Padre celeste. La nostra preghiera chiede al Dio della misericordia che questo incontro avvenga nella gioia piena della Comunione dei Santi.
Di don Bruno, un confratello presbitero che è a lui legato da lunga consuetudine ed amicizia mi ha detto: “…era dotato di una straordinaria umanità, che egli ritrovava poi e accompagnava con pazienza anche negli altri; il che gli conferiva una grande capacità di infondere fiducia in chi lo incontrava e si conduceva con lui”.
Sebbene la sua umanità sia stata arricchita da studi filosofici, pedagogici e psicologici, don Bruno mai ridusse e mai si limitò ad assimilare il Vangelo alla filosofia, alla pedagogia, alla psicologia o alle loro acquisizioni.
 
Egli piuttosto – è sempre il ricordo del presbitero che lo ha conosciuto da vicino – si impegnava a porre al suo interlocutore dopo differenti domande, la domanda fondamentale, quella sul senso ultimo della vita, ossia su Gesù.
Ma, per quella sua reiterata tendenza a farsi accompagnare, è più rispondente a verità dire non “interlocutore” ma “compagno di strada”. Don Bruno, infatti, era noto per la domanda che rivolgeva, a quanti incontrava – anche casualmente – per strada, di condividere con lui lunghi tratti di cammino. Si potrebbe qui intravvedere (quasi) una metafora cristiana della vita…
Ma don Bruno, prima di interrogare gli altri, interrogava profondamente se stesso. E, proprio la domanda su Gesù, spiega bene la sua vita di uomo e di prete: interrogare e interrogarsi su Gesù vuol dire stare alla Sua presenza. E così nel suo parlare, alla fine, si avvertiva che l’ultimo interlocutore era proprio Gesù.
 
Don Bruno – come detto – era per formazione filosofo, pedagogo e psicologo, uomo quindi abituato a interrogare e a interrogarsi. Ma, soprattutto, don Bruno era e voleva essere prete e, ancor prima, un credente, un discepolo del Signore.
 
Gesù Cristo era, così, il vero senso della sua vita e, pur riconoscendo quanto fosse utile all’uomo la psicologia e l’accompagnamento pedagogico, alla fine, però, era ben conscio che Gesù è l’unico e vero maestro interiore e l’unico vero psicologo in grado di riconciliare l’uomo con le sue ferite interiori ed esteriori e, quindi, con i fratelli a partire dalla riscoperta paternità di Dio.
E tutto questo don Bruno lo ha percepito all’interno di un tempo come il nostro, per certi versi affascinante e, per altri, così travagliato e  frammentato.
La prima lettura della liturgia di oggi è tratta dal grande testo paolino della lettera ai Romani e ci parla proprio della speranza cristiana. Don Bruno amava la cristologia, così come la esprimono i grandi inni paolini di Efesini (Ef 1,3-12) e Colossesi (Col 1,12-20).
Cristo – il primeggiante, l’alfa e l’omega, Colui a partire dal quale, per il quale e nel quale tutto esiste e in cui tutto assume significato e tutto si compie – è la vera sapienza che don Bruno ha cercato di assimilare e di far assimilare. Tutto il resto poteva ben dirsi corollario e spiegazione di questo asserto fondamentale.
La prima lettura ci parla e più esattamente ci conduce all’interno dell’unica speranza veramente affidabile, ossia la speranza cristiana che è Gesù Cristo e ci parla di tale speranza non in modo astratto ma nella concretezza della persona e della vicenda storica di Gesù Cristo risorto e vincitore della morte.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi… Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione” (Rm 5,5-6.11).
Questa parola di Dio, oggi, risuona per noi come la vera saggezza del cristiano e come l’unico investimento saggio che non patisce il passare del tempo e non teme svalutazione di sorta.
Solo chi vive ed è fondato nella speranza cristiana può, infatti, proporre Gesù Cristo come vera sapienza della vita. Cristo è realmente – come ci ricorda la lettera agli Ebrei – ieri, oggi e sempre (cfr. Eb 13,8).
Mi ha confidato lo stesso confratello che gli è stato particolarmente vicino e sinceramente amico: “Appariva anomalo rispetto alla figura consueta del prete e poteva sembrare disomogeneo rispetto allo stesso presbiterio e quasi “senza” luogo, come di chi non sta bene o non si ferma da nessuna parte, o di chi, evangelicamente, «non ha dove posare il capo» (Mt 8,20; Lc 9,58) e non possiede nulla o quasi, se non l’essenzialità e l’urgenza di andare; anche se, proprio verso la fine, non vedendo arrivare mai il momento definitivo, che intuiva imminente e che ormai desiderava, aveva confessato che l’uomo spirituale è “lento”.
In realtà – continua il confratello – aveva un’attenzione particolare proprio per i preti, oltre che per gli amici, che passava sempre, quando l’occasione lo permetteva o quando lui stesso la creava, a salutare e con i quali si intratteneva a prescindere dal sentirli e dal percepirli o meno consentanei con lui; e dei quali, anche quando non poteva o non riusciva più a visitarli personalmente, si informava con puntualità”.
Ora il suo intimo sentire – che era vera e propria esigenza del suo animo – lo portò, nel ministero, a entrare in dialogo con quelle forme di sofferenza che sono le tante fragilità umane, i diversi tipi di dipendenza, il carcere e questo non solo nel contesto e nel servizio della nostra Chiesa che è in Venezia ma anche in terre molto lontane dalle nostre latitudini, dove ben sapeva che queste sofferenze erano elevate all’ennesima potenza, perché più neglette e meno accudite a causa delle carenze sociali.
Le Beatitudini – il Vangelo ascoltato – furono, quindi, il logico esprimersi della fede che raggiunge la sua pienezza nel “sì” dell’amore; il “sì” detto alla grazia, ossia alla tenerezza di Dio che porta l’uomo a pensare, a parlare e a compiere le scelte di Gesù Cristo.
Quel “beati” che abbiamo sentito risuonare per ben nove volte e che risulta così inspiegabile dinanzi alla logica del mondo che vi applica un’altra aggettivazione: sfortunati, sciagurati, sventurati… Ma questo, lo si sa, è la logica del Vangelo che richiede la conversione del cuore.
Così la cura del debole, del negletto, dell’infelice – nel nome di Gesù Cristo – va oltre il sapere della psicologia e della pedagogia e guida l’uomo verso la vera umanità che, nel cammino terreno, è preannunciata dalla scelta di una fede, fondamento di una nuova speranza.
Caro don Bruno, prendiamo commiato da te e ti salutiamo a partire dalla fede che ci ha unito in questa terra e che ci fa dire, nella certezza della speranza cristiana: arrivederci e grazie!


Testimonianza di mons. Beniamino Pizziol
 
Don Bruno è stato per me un fratello e un amico molto prezioso, lungo tutti gli anni del mio sacerdozio.
Ho avuto modo di conoscerlo già dai tempi del Seminario, lui ormai uomo maturo, in possesso di una laurea in pedagogia ed io giovane seminarista.
Ancor prima della mia ordinazione presbiterale, mentre mi trovavo nella parrocchia di San Lorenzo Giustiniani, abbiamo iniziato un legame di amicizia e di fraternità, continuato fino agli ultimi giorni della sua vita terrena.
Don Bruno è stato un testimone fedele e onesto del patrimonio sostanziale del ministero del prete, espresso in una forma essenziale, umile e povera, sia a livello personale che relazionale.
La passione più forte della sua vita sono stati gli ultimi e i meno garantiti della nostra società: le persone disabili, le persone psichiatriche, le donne carcerate, le persone prossime alla morte.
Giocandosi sempre direttamente, attraverso un dialogo personale, un accompagnamento paziente, una creatività istituzionale (vedi Anfass).
Amava confondersi tra la gente e fra questi incontrare il volto amico di una persona da aiutare o con la quale condividere un pensiero o uno sguardo di affetto.
Per molti anni ha compiuto il suo pellegrinaggio quotidiano da Madonna dell’Orto alla Giudecca, di mattina presto, intervallato da alcune soste presso persone e preti amici.
Arrivava come di sorpresa, ti poneva degli interrogativi curiosi ma sempre profondi e poi ti chiedeva, e quasi ti obbligava, ad accompagnarlo per un tratto di strada, donandoti la gioia di una sana e intelligente ironia.
Lo chiamavo il “ missionario itinerante” e in questo modo era conosciuto da persone semplici e umili, come da persone impegnate nelle istituzioni civili, sociali ed economiche della società veneziana, da tutti era stimato e con tutti sapeva mantenere la sua libertà di pensiero e di azione.
E’ passato come un soffio di vento leggero sui nostri volti e sui nostri cuori, lasciando una impronta spirituale, un sigillo indelebile, anche a chi l’avesse incontrato per una sola volta nella sua vita.
In attesa di rincontrarci nella comunione piena e definitiva con il Signore, verso le mie lacrime di affetto e di gratitudine per il dono di questa intensa amicizia, come Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro (Gv 11,35).