Omelia ai funerali del diacono permanente Ilario Albertini (Duomo S. Lorenzo, Mestre - 16 settembre 2006)
16-09-2006

Ai funerali del Diacono Ilario Albertini
San Lorenzo, 16 settembre 2006
(Gb 19,1.23-27; At 6,1-6; Mc 15,33-39; 16,1-6)

Il sabato ormai volge al tramonto. Noi credenti, però, non camminiamo verso la notte. Noi andiamo verso la luce: la luce del Risorto che ci viene incontro nella domenica, memoria della Pasqua del Signore. Quella Pasqua che, celebrata nell’Eucaristia, ci trascina nella comunione con la morte vittoriosa del Signore e la sua gloriosa risurrezione e dà senso al nostro vivere di cristiani e speranza al nostro morire.
Con questa certezza di fede, consegniamo all’infinito amore del Padre il nostro fratello Ilario, diacono della nostra Chiesa.
L’ho conosciuto all’inizio del cammino del diaconato, nei primi anni del mio servizio pastorale a Venezia. Una personalità vigorosa, che aveva alle spalle, oltre alla lunga militanza nello scoutismo, un costante impegno in parrocchia e tutta una vita di lavoro e di responsabilità in Montedison, dove operò per quarant’anni. Ora, in pensione, intendeva mettere le sue ancor forti energie a totale disposizione della comunità, nel servizio diaconale.
Ilario era un uomo generoso; tutto, fuorché amorfo; talora, se volete, intemperante ed eccessivo, ma sempre nel segno d’una straordinaria e un po’ vulcanica dedizione.
Dopo l’ordinazione diaconale, avvenuta venti anni fa, le tappe del suo servizio portano il nome della parrocchia di San Lorenzo, dove, come diacono, svolse prevalentemente un servizio liturgico-sacramentale; di Via Milosevich di Mestre e di Casa S.Raffaele di Mira Porte, quale responsabile dell’Ufficio Migrantes, impegnato in un pionieristico, difficile servizio agli immigrati; e poi, dal 2004, di Trivignano, dove pure donò tutto se stesso, con l’abituale generosità e con crescente umiltà, mentre le forze,con l’affacciarsi del male, ormai declinavano.
E giunse la stagione della sofferenza che tutto placa e purifica. In quel momento grave e solenne, Ilario seppe consegnarsi al Signore in un ‘Sì, Padre’, sofferto ma incondizionato. Iniziò così la sua salita al Calvario, sempre sostenuto da una grande fede e dall’amore solidale della sua famiglia. Una sofferenza portata con forte dignità; un esigente tirocinio di purificazione e di riconciliazione, nella pazienza di una intensa preghiera, in attesa dell’incontro con il Signore: una bella testimonianza di fede per tutti.
Ripensando a Ilario e al suo attivismo, talora finanche eccessivo, e poi ai giorni del suo esodo dall’attività e dalla vita, mi viene fatto di andare alle ultime parole di Gesù a Pietro: ‘Quando eri giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’Tu seguimi!’ (Gv 21,18-19). Proprio così: Ilario si è lasciato condurre dal Signore, ha seguito Gesù anche sulla via della croce ed ora il Signore l’ha accolto nella sua luce.

Le tre letture che abbiamo proclamato ci danno il senso vero della vicenda di fede di questo nostro fratello, come di quella di ogni cristiano.
Il primo grande fascio di luce ci viene dalla nostra fede nella risurrezione che la Chiesa proclama sulla nostra morte con le parole di Giobbe: ‘Io credo che il mio Redentore e vivo e che, ultimo, si ergerà sulla mia polvere. Dopo che questa mio corpo sarà distrutto’vedrò Dio. Sì, io stesso lo vedrò e i miei occhi contempleranno il suo volto’.
Noi crediamo che, come Cristo è morto ed è risorto, così anche noi con Lui risorgeremo. Se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede e noi rimarremmo nei nostri peccati e saremmo uomini e donne senza speranza (cfr 1 Cor 15,12-19).

La seconda lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, ci dà ragione della scelta di vita che Ilario ha fatto candidandosi al Diaconato, conclusa la stagione lavorativa in Montedison. Una scelta di fede e di servizio alla Chiesa. Egli apparteneva al drappello dei primi dodici che accolsero la proposta del diaconato permanente, affacciatosi allora all’orizzonte della nostra Chiesa. Un’immagine di Chiesa bella quella tratteggiata dal capitolo VI degli Atti, dove gli Apostoli sentono di non potersi sottrarre all’urgente compito della preghiera e dell’annunzio del Vangelo; una Chiesa però, che, fin dai primissimi tempi, è assediata dai bisognosi d’aiuto e che sente di non poterli trascurare: un compito difficile ed esigente, pressato da mille necessità e carico anche di tensioni. Così del resto era stata la vita di Gesù.
Ilario, ordinato diacono, visse il suo impegno in parrocchia operando soprattutto sul piano liturgico, come abbiamo già detto, mentre a livello diocesano profuse le sue energie sul versante della carità, collaborando con la Caritas, impegnandosi nell’accoglienza e assistenza degli immigrati, aiutandoli sempre anche con notevoli sforzi, rispettoso delle loro diversità, in mezzo a mille difficoltà e fatiche.

Il Vangelo ha proclamato l’evento redentore della morte e risurrezione del Signore Gesù, che è il cuore della nostra speranza. Gesù che muore sulla nell’obbedienza al Padre e nell’amore più grande per i fratelli, sconfigge la morte e apre la nostra vita alla speranza sicura della partecipazione alla vita stessa di Dio. Questa è tutta la nostra fede. Per questo noi celebriamo sempre l’Eucaristia sulla morte dei nostri fratelli: perché essa è comunione con la morte di Cristo ed è germe e forza di Risurrezione. Per questo anche accanto alla bara del defunto accendiamo il cero pasquale, aspergiamo la salma con l’acqua battesimale e la profumiamo con l’incenso, a somiglianza di quanto fecero Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che avvolsero di bende insieme con oli aromatici il corpo del Signore. Soprattutto sulla bara noi poniamo il Vangelo, perché in esso sono scritte per sempre e per tutti le parole della nostra fede e della nostra consolazione: ‘Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà. E chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno’ (Gv 11,25-26).

Tutto questo facciamo perché crediamo che la morte di chi crede nel Signore Gesù è una Pasqua, partecipazione alla morte e risurrezione del Signore.

Ed ora, congedandoci dal diacono Ilario, vorrei ripetere, lievemente adattandola, una preghiera che udii per la prima volta ai funerali di Papa Giovanni Paolo II:
‘Dio onnipotente ed eterno,
Signore della vita e della morte,
noi speriamo e crediamo che la vita del diacono Ilario
è ora nascosta in Te.
Il suo volto, a cui è venuta meno
la luce di questo mondo,
sia illuminato per sempre dalla vera luce
che ha in Te la sorgente inesauribile.
Il suo volto, che viene sottratto alla nostra vista,
contempli la Tua bellezza
e raccomandi tutti noi a Te, che ci sei Padre.
Amen’
Maria, la Santa Madre di Gesù, gli vada incontro e con la sua mano materna lo conduca a Gesù, strada che porta al Padre.
E tu, Ilario, accompagna giorno per giorno la tua Lina, i tuoi figli e tutti i tuoi cari sulle strade della loro vita. E aiuta tutti noi ad essere sempre uniti al Signore; intercedi per la tua Chiesa perché sia sempre la sposa fedele del Signore e cammini vigorosa sulle strade dell’annunzio della Parola e dell’amore ai fratelli che hanno bisogno del pane della verità, del pane che sfama il corpo, del pane dell’accoglienza, della compagnia e della solidarietà.
Alla Signora Lina, ai figlioli, e a tutti i familiari le nostre condoglianze più sentite e affettuose.