Omelia a Premana (Lc) in occasione della festa di S. Ilario (27 luglio 2008)
27-07-2008

Premana, festa di Sant’Ilario

 

 

27 luglio 2008[1]

 

XVII domenica per annum A

 

Omelia Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia

 

 

1. Siamo agli inizi del regno di Salomone, intorno al 970 a.C. Il tempio non esiste ancora, e il giovane re ha dato inizio al suo regno [con una ricca offerta sacrificale a Gabaon, importante santuario a una decina di chilometri da Gerusalemme]. In quell’occasione fa un sogno, nel quale Dio gli dice: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda» (1Re 3,5).

 

La prima pro-vocazione che ci viene dalla Liturgia di oggi è proprio questa richiesta, dal carattere radicale, formulata da Dio. ‘Che cosa vuoi?’ è la domanda del desiderio di compimento, propria di ogni uomo. Oggi più che mai, dal momento che tutti, uomini e donne, anelano a felicità e libertà per esaudire questo desiderio costitutivo. ‘Che cosa vuoi?’: per ciascuno di noi questa domanda è ineludibile. Senza il lavoro serio e leale del tentare una risposta non c’è l’uomo, e quindi non c’è nemmeno il cristiano.

Salomone, che ha questa statura umana, risponde: «Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi’ Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male». Domandando il cuore docile Salomone riconosce che tutto quello che possiede l’ha ricevuto da Dio. Egli vuole essere capace di seguire Colui a cui appartiene: per questo domanda un cuore docile.

2. Qui si vede, spesso, la diversità rispetto a noi uomini contemporanei. Anche in noi l’ampiezza del desiderio è potente, ma ci manca la condizione per compierlo. Se non appartieni, se non sei docile al tuo Fattore, ti perdi in sentieri interrotti (negli affetti, nel lavoro, nel riposo). Oggi la Liturgia ci indica la strada sicura. è un dono inatteso: il Regno di Dio.

 

Il suo carattere inatteso è ben indicato, nel Santo Evangelo, dal paragone del tesoro e della perla preziosa. Uno lo trova, lo incontra, non lo costruisce lui: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova ‘ poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44). Prima c’è la gioia per aver trovato il tesoro e poi la decisione di vendere tutto ciò che si ha per poterlo possedere. Una decisione di sacrificio che non può pesare perché – ogni uomo ed ogni donna che amino veramente, lo sanno bene – non è anzitutto una privazione, ma la condizione per il vero possesso.

Il Regno è il disegno di amore del Padre su ognuno di noi. È un disegno buono, personale e comunitario. Da dove lo si vede? Dal rapporto con Gesù, il tesoro incontrato. Nel brano della Lettera ai Romani che abbiamo ascoltato Paolo indica i tratti di questo disegno. Noi ne conosciamo lo schizzo. Nel nostro pellegrinaggio terreno non possiamo dominarne tutti i lineamenti (non saremmo liberi), ma possiamo far leva sui doni espliciti, costitutivi di questo disegno: chiamati ed amati da prima, pre-destinati, giustificati, glorificati.

Vivere in Gesù, eucaristicamente presente nella Chiesa, è già essere nel Regno dei cieli. Il Regno dei cieli non è un regno mondano, è la nuova parentela con Gesù e, in Lui, con tutti i fratelli.

 

3. Siamo qui radunati in occasione della festa del martire Sant’Ilario, le cui reliquie vi sono state regalate 330 anni fa dai veneziani come solenne suggello di un’amicizia da non perdere più. Colui che ha trovato il tesoro, vive tutta la vita – beni materiali e spirituali – in questa prospettiva.

 

«Il martire cristiano, come Cristo e mediante l’unione con Lui, accetta nel suo intimo la croce, la morte e la trasforma in un’azione d’amore. Quello che dall’esterno è violenza brutale, dall’interno diventa un atto d’amore che si dona totalmente» (Benedetto XVI, all’Angelus del 26 dicembre 2007).

4. Il martirio, cioè la testimonianza resa a Cristo nella propria carne, è il vertice della fede. A questa testimonianza siamo chiamati anche noi oggi, nelle circostanze e nei rapporti che il Padre ci dà da vivere.

 

Di questa testimonianza ha bisogno più che di ogni altro bene la società confusa e travagliata in cui la Sua misericordia ci ha collocato. Tutti i nostri fratelli uomini – ne siano consapevoli o no – e soprattutto i giovani, come anche la straordinaria esperienza di Sydney ha dimostrato, ci chiedono di essere testimoni di speranza. La speranza cristiana è affidabile, è certa perché «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (Rm 8,28).

Premana ed il legame Premana-Venezia sono un fattore privilegiato di questa testimonianza personale, famigliare, ecclesiale e civile: lo stile di vita premanese è particolarmente attuale perché educa alla risposta giusta alla domanda del desiderio.

Il ragazzo Salomone chiede il cuore docile e la capacità di distinguere il bene dal male, due fattori per affrontare l’emergenza educativa di cui parla con accorata insistenza Benedetto XVI.

A Premana questa testimonianza brilla non solo nella vita dei singoli, ma anche in quella di un popolo. La secolare presenza premanese a Venezia, che in questo splendido gesto eucaristico rinvigorisce le proprie radici, è una buona garanzia anche per la vocazione di Venezia come città dell’umanità.

5. Quella di questa sera è veramente la festa della fede. Di questo io vi sono soprattutto grato e non trovo parole migliori per dirvelo che quelle dell’allora Card. Luciani, poi Giovanni Paolo I e oggi Servo di Dio, in quel 30 luglio del 1978, quando al termine del pranzo giubilare in onore di Sant’Ilario vi disse: «Ritengo qui di aver avuto una beneficenza: sono stato veramente edificato per lo spettacolo di fede che avete dato‘; perché il cuore del vescovo si scalda quando c’è la fede».


[1] 1Re 3,5.7-12; dal Salmo 118; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52.