Mostra del Cinema 2003. Intervento all'incontro con la Giuria internazionale Signis
03-09-2003

IN OCCASIONE DELLA 60. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA

S. E. Mons. Angelo Scola, Patriarca di Venezia

«Da tanti anni ormai vivo come un uomo ‘scacciato’ dalla propria personalità più profonda, e nello stesso tempo condannato ad indagarla a fondo» . Questo verso del poeta Wojtyla coglie genialmente il paradosso che da sempre inquieta il cuore di ognuno di noi. Sentirsi scacciati da se stessi, eppure condannati a porsi la domanda delle domande: «Ed io che sono?» .

Lungo la storia dell’umanità, la drammatica tensione in cui si manifesta l’enigma dell’uomo – individuata dal paradosso adamitico – ha trovato nell’arte una ricca varietà di forme per esprimersi. Senza forma, senza figura (Gestalt) il dramma dell’uomo sfuggirebbe all’uomo stesso. Il nostro stesso corpo è luogo di incontro perché figura di tutto l’io. Com’è decisiva la figura perché la libertà si capisca e comunichi!

L’arte del cinema rappresenta, forse, una delle figure più elevate, in grado di scandagliare il nucleo paradossale della libertà dell’uomo. Senz’altro una tra le più versatili, più capaci di sfumatura.

Perché dunque sorprendersi se la Chiesa è, da sempre, così attenta al mondo del cinema? Perché essa segue con grande interesse l’evolversi dei linguaggi della narrazione che il cinema propone in quest’era digitale? Né vale la pena soffermarsi moralisticamente a constatare quanto questa forma espressiva sia oggi in crisi, non soltanto per l’agguerrita concorrenza del piccolo schermo ma, più profondamente, per la rarità di sceneggiatori, registi, attori capaci di raccontare l’umano. Come in altri ambiti dell’arte il rischio oggi è quello di perdersi in particolari, non in frammenti: la differenza tra il particolare e il frammento è che il frammento sa veicolare il tutto. Il particolare invece lo frantuma e lo disperde.

Il cristiano ‘ cioè l’uomo la cui libertà, per grazia, è spalancata strutturalmente all’infinito ‘ cerca, curiosissimo, il paragone con quanti riescono, in figura efficace, a lasciar intravvedere nella finitudine l’eco dell’Infinito. Non è vero, come pensava Nietzsche – e rielaborando il nichilismo nietzschiano, anche Heidegger ‘ che dall’interno della finitudine è impossibile puntare all’Infinito, non è vero che il tempo è puro limite, non è vero che lo spazio è solo impedimento.

Finitudine, tempo e spazio sono forma. Nel tempo si dà l’eterno. Nello spazio limitato la totalità. Nel finito, l’Infinito.

Con umiltà i cristiani ripropongono quotidianamente la meraviglia di questo positivo avvenimento nell’esaltante bellezza della forma eucaristica. Dovunque, anche in occasione di questa Mostra cinematografica, si dà un film che raggiunge questo obiettivo è come se trovasse in noi una eco immediata, la capacità di goderne e il gusto di comunicare questo godimento.

+ Angelo Scola
Patriarca di Venezia