Meditazione del Patriarca durante la preghiera dei giovani in occasione della Festa della Madonna della Salute (Venezia, 20 novembre 2020)
20-11-2020

Preghiera dei giovani in occasione della Festa della Madonna della Salute

(Venezia, 20 novembre 2020)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

  

 

Un cordiale saluto a voi, carissimi ragazzi e ragazze presenti qui nella Basilica della Salute e a tutti coloro che ci seguono tramite la pagina Facebook di Gente Veneta. Chi è presente sa di rappresentare chi non è potuto venire.

Siamo ai piedi della Madonna della Salute per il tradizionale pellegrinaggio in questo tempo di pandemia; siamo qui per presentare le sofferenze e le richieste dei malati, dei loro familiari, dei medici, degli operatori sanitari. Tutti vogliamo “affidarci” alla comune Madre!

Siamo qui in rappresentanza di tutta la Chiesa che è in Venezia e ne avvertiamo la gioia e la responsabilità, ne siamo onorati.

Col Santo Rosario, chiedendo l’intercessione di Maria, ci poniamo sotto la protezione di Dio, Padre misericordioso che dal cielo ha cura di noi. Gesù, nel Vangelo, ci ricorda che neppure un passero cade a terra senza che il Padre lo sappia e poi aggiunge: “…voi valete più di molti passeri!” (Mt 10,31).

Covid-19 sta continuando la sua corsa. Il virus sta letteralmente “rovesciando” la vita dell’intero pianeta e ci impone di stare ancora lontani tra di noi. Entra così nelle nostre vite, se ne appropria, ci obbliga a mutare le abitudini, sconvolge gli equilibri economici mondiali, pone a rischio la coesione sociale e, alla fine, si porta via anche la vita di molti uomini e donne.

Sul piano sociale, poi, il virus riesce anche a metterci gli uni contro gli altri in questioni vitali dell’esistenza, allargando il solco tra persone, famiglie e categorie, tra ricchi e poveri.

Covid-19, in poco tempo, ci ha fatto toccar con mano la nostra fragilità personale e sociale, mandando in pezzi il mito del super uomo.

Città deserte, economia in ginocchio, uomini di scienza che si delegittimano tra di loro, medici e infermieri spossati, malati che guariscono, ma anche (non pochi) che muoiono in solitudine e nell’angoscia, la stessa angoscia dei loro familiari tenuti a distanza.

Una domanda sorge spontanea: ma, allora, l’uomo chi è? Oggi è un essere forte, vigoroso nel fisico e nella mente; domani, invece, un povero corpo ansimante che fatica a respirare. Sì, l’uomo è questa forza e fragilità, questa energia e debolezza. Oggi ci siamo, domani chissà?

Pensiamo alla forza di atleti che i meno giovani di noi ricordano al top della carriera e che, oggi, sono uomini anziani privi di forze. La stessa cosa vale per attori, cantanti, politici e – nelle nostre famiglie – per genitori, nonni, amici.

L’attuale pandemia porta così ad interrogarci; oggi siamo padroni di tutto, dominiamo ogni cosa e situazione; domani, invece, potremo forse essere impossibilitati a compiere anche i gesti essenziali del vivere.

Una domanda vale per tutti ma, in modo particolare, per i più giovani: dove sono? A che punto mi trovo? È la domanda del viaggiatore; sì, perché la vita è un grande viaggio.

Ciascuno di noi, nel suo piccolo, è “portatore” di speranza e – possiamo dire – di una benedizione di Dio per sé e per gli altri! Ciascuno di noi è un progetto originale, unico e irripetibile di Dio. Ecco perché nessuno – ma soprattutto i più giovani – non devono mai cessare di sognare e non devono mai dare spazio all’idea di non farcela, ripiegandosi su di sé.

Il neobeato Carlo Acutis – coetaneo di molti di voi e come molti di voi appassionato di web e social – era solito ripetere: “…la tristezza è lo sguardo rivolto a sé, la felicità è lo sguardo rivolto a Dio”.

Pensiamo alla figura dell’antico patriarca Giacobbe, padre del popolo ebreo. Giacobbe (che significa colui che usurpa, che tradisce) – per avere l’eredità e la benedizione paterna – inganna, tradisce, “avvelena” i pozzi delle relazioni umane e alla fine è costretto a fuggire per evitare l’odio e la vendetta del fratello Esaù.

Così Giacobbe inizia a piedi (secondo l’uso del tempo) un viaggio di 1600 chilometri. Per intenderci, è un percorso equivalente alla distanza che separa Ventimiglia da Agrigento! Sì, – avete sentito bene – dal confine ligure con la Francia fino alle spiagge siciliane da cui si può guardare verso l’isola di Lampedusa, terra di sofferenza e di speranza.

Giacobbe è un fuggiasco; il patriarca/padre del popolo ebreo deve lasciare la sua terra, il suo lavoro e gli affetti più cari e mettersi in viaggio. Giacobbe è un uomo in fuga dal suo passato ma, soprattutto, da sé; è, soprattutto, un uomo solo. Ad un certo momento arriva a Luz, la futura Betel, nome che significa “casa di Dio”.

È sera e ha camminato tutto il giorno, Giacobbe si addormenta e fa un sogno: una scala che unisce terra e cielo e, sopra di essa, vi sono gli angeli di Dio.

Quale è il significato del sogno? Che Dio si prende cura dell’uomo anche quando l’uomo si sente abbandonato, avverte la solitudine, si sente alla mercé di avvenimenti più grandi di lui. Eppure, nonostante tutto, Dio non abbandona. Questo è il senso della scala che unisce cielo e terra, sulla quale salgono e scendono gli angeli, i segni personali della presenza di Dio.

Dio s’interessa sempre a me, soprattutto quando sono più provato e sfiduciato, quando mi sento “separato” dagli altri e incapace di relazioni umane. Sì, Dio è presente nella mia vita sempre; altrimenti non sarebbe Dio!

Accorgersi di tale presenza vuol dire riscoprire e rivalutare l’Eucaristia, il testamento di Gesù. Tra Eucaristia e Chiesa c’è un rapporto strettissimo; là dove si celebra una vera Eucaristia c’è la Chiesa e solo la Chiesa può celebrare una vera Eucaristia.

Nell’Eucaristia non siamo più singoli ma diventiamo il “corpo di Cristo”; non più Carlo, Alvise, Marco, Camilla, Lucia ma “Gesù Cristo in noi”.

La terza preghiera eucaristica ci fa dire: ”Guarda [Padre] con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa, la vittima immolata per la nostra redenzione e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, perché possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti, con la beata Maria, Vergine e Madre di Dio…” (Preghiera eucaristica III).

Faccio notare come qui si menzioni la Beata Vergine Maria, Sua e nostra madre. Oggi, cari ragazzi, siamo ai suoi piedi per chiederLe di aiutarci a riscoprire – dopo le domeniche di lockdown, in cui la comunità ecclesiale non ha potuto partecipare alle celebrazioni – come Eucaristia e Chiesa siano un tutt’uno fra loro.

L’Eucaristia ci fa Chiesa, ossia Corpo (tutt’uno con Cristo) e, quindi, non più soli, alla ricerca della nostra personale realizzazione, ma un popolo, un corpo, che nasce dalla croce, ossia dalla vittoria pasquale di Cristo. Ecco perché – proprio in questo tempo di pandemia – dobbiamo riscoprire l’Eucaristia insieme ai nostri amici e chiedere al Signore la grazia di poterla celebrare sempre.

I cristiani di Abitene – siamo all’inizio del IV secolo – dicevano a chi voleva loro impedire di celebrarla: senza il Signore (Dominico) non possiamo vivere, ossia non possiamo vivere senza celebrare l’Eucaristia e, proprio per questo, morirono.

La domenica è da sempre il giorno del Signore perché Gesù è risorto proprio la domenica; viviamo, quindi, la domenica in fedeltà al nostro battesimo.

Carissimi, sempre nel rispetto di tutti i presidi sanitari e di sicurezza, ritorniamo a celebrare insieme e con gioia la domenica che è giorno del Signore, giorno della comunità, giorno della festa, giorno del riposo.

Soprattutto oggi abbiamo bisogno di tornare a lavorare ma, per non diventare delle macchine, abbiamo bisogno anche di riposare, di pregare, di stare in famiglia e con i nostri amici.

La Madonna della Salute  – chiediamolo in questo pellegrinaggio, da molti vissuto “a distanza” – sostenga il nostro sforzo e le nostre comunità facendoci comprendere il dono grande dell’Eucaristia, la realtà prima e irrinunciabile per i discepoli del Signore che vogliono essere Chiesa.