Meditazione del Patriarca durante la Celebrazione dei Primi Vespri nella solennità della Dedicazione della Basilica Cattedrale e conferimento del Mandato agli evangelizzatori e ai catechisti (Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 7 ottobre 2023)
07-10-2023

Celebrazione dei Primi Vespri nella solennità della Dedicazione della Basilica Cattedrale e conferimento del Mandato agli evangelizzatori e ai catechisti 

(Venezia / Basilica cattedrale di S. Marco, 7 ottobre 2023)

Meditazione del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

È un momento di grazia quello che sta vivendo la nostra Chiesa particolare perché si ricorda l’anniversario della celebrazione della consacrazione della chiesa madre, la chiesa cattedrale; è la chiesa di tutta la comunità veneziana. La cattedra del Vescovo è nella chiesa cattedrale; non è un trono, è una cattedra da cui risuona l’annuncio e la Chiesa è convocata dalla parola di Dio.

Chi è il catechista, chi è l’evangelizzatore, chi è il missionario? È, semplicemente, il battezzato.

Io sto parlando a chi – e sono molto grato a ciascuno di voi – nella Chiesa particolare che è in Venezia svolge un mandato, un compito, ma catechista, missionario, evangelizzatore dovrebbe essere ogni battezzato.

La missionarietà nella Chiesa nasce proprio dal momento battesimale e nel fonte battesimale; tutto nasce dal Battesimo e si sviluppa nel Battesimo in pienezza. Dobbiamo abituarci a pensare insieme questi tre sacramenti – Battesimo, Confermazione (meglio di Cresima, anche se non è peccato veniale chiamarla anche Cresima) ed Eucaristia – e dobbiamo abituarci di più a pensare all’iniziazione cristiana.

Nelle nostre comunità parrocchiali il lavoro pastorale fondamentale è proprio quello di arrivare a celebrare bene l’Eucaristia; per questo riceviamo il Battesimo, per questo riceviamo la Confermazione. E allora l’evangelizzazione, la missionarietà, la catechesi non è un imparare qualcosa ma fare un’esperienza di vita, la vita cristiana, che ha un momento di annuncio, un momento di celebrazione e un momento di carità.

Il/la catechista, l’evangelizzatore, l’educatore alla fede dovrà avere questo punto chiaro. Il catechista, l’evangelizzatore, il missionario, l’educatore alla fede sa che dobbiamo arrivare ad essere una comunità che celebra l’Eucaristia. Certo, c’è anche la sagra – che è sempre tutta da decifrare e potrebbe essere un modo legittimo ed anche auspicabile di finanziare le attività delle comunità – ma, se ci si ferma alla sagra, allora la Chiesa diventa un’associazione o un’impresa del territorio.

La struttura sacramentale della Chiesa, principalmente i sacramenti dell’iniziazione, diventa il fine perché non posso celebrare una Messa e poi limitarmi alla celebrazione, ossia a masticare – manducare – materialmente le specie del pane e del vino.

Quando io faccio la Comunione sacramentale, l’antica tradizione della Chiesa ci dice che faccio anche la Comunione spirituale mentre noi abbiamo dissociato questi due momenti e la Comunione spirituale è diventata quella che faccio quando non posso ricevere quella sacramentale…

Ma la Chiesa non è mai stata percepita (solo) come edificio fisico, anche se ha bisogno del luogo fisico spazio congruo per ricevere un gruppo più numeroso di persone. Abbiamo spesso perso nelle nostre chiese qualcosa di decisivo, la realtà simbolica: l’altare, l’ambone, il campanile, la cupola, le navate, il silenzio.

Dio parla nel silenzio, ma certe celebrazioni eucaristiche molto rumorose danno spazio al protagonismo di qualcuno, non tanto della comunità ma di qualcuno della comunità.

Il vero protagonista dell’Eucaristia è il Signore Gesù. Quando noi celebriamo l’Eucaristia e siamo nelle condizioni di santità per ricevere l’Eucaristia, non dobbiamo limitarci a masticarla materialmente ma spiritualmente, perché la comunità cristiana è formata, plasmata e costruita dall’Eucaristia. E la presenza o l’assenza all’Eucaristia, il modo di celebrare l’Eucaristia, è qualcosa che dice la “temperatura ecclesiale” della comunità. Fare catechismo e annunciare il Vangelo vuol dire introdurre in questa realtà misteriosa.

S. Ambrogio – colui che con il suo esempio aiutò Agostino a convertirsi, ma anche la Chiesa di Milano lo aiutò in tal senso – era soprattutto garante della celebrazione eucaristica. Ambrogio conosce delle catechesi che precedono il momento del Battesimo e poi altre che seguono il momento del Battesimo.

Entrare nel mistero, dunque, non solo annunciare il mistero ma farlo vivere. Ecco perché il/la catechista, l’evangelizzatore, l’educatore della fede devono essere prima di tutto persone che esprimono con la vita un’appartenenza personale, l’appartenenza al Signore.

Essere catechista ed educatore non vuol dire tanto avere un progetto educativo (come quello dell’associazione, del movimento di cui facciamo parte) o avere dei testi speciali da cui attingere; è anche questo ma siamo sempre e solo sul piano tecnico. Il catechista, l’evangelizzatore, l’educatore sono prima di tutto persone che lavorano su loro stesse e allora dobbiamo arrivare a parlare di una vocazione catechistica, missionaria ed educativa e che consiste nell’avere cura di se stessi, nell’essere persone di preghiera, persone che certamente studiano anche la parola di Dio ma soprattutto la vivono, persone che celebrano l’Eucaristia.

Un incontro di catechesi, un incontro formativo, inizia nel momento in cui il catechista prega e celebra la Messa. Oggi poi fare il catechista è più difficile, sono venute meno alcune realtà, si sente di più la pressione del mondo esterno e la comunità non fa più da alveo. Fare il catechista, l’educatore, l’animatore vuol dire così essere persone che avvertono anche un’ansia e un’angoscia, perché è davvero difficile farlo. Ma quando diciamo che è difficile, quando diciamo che i nostri tempi sono faticosi e siamo in un contesto generalizzato di secolarizzazione… alla fine noi cosa dobbiamo fare?

Dobbiamo prendercela forse con il buon Dio che non ci ha fatti nascere in altri tempi? No, dobbiamo stare nel tempo che il Signore ci ha dato, con una convinzione, però: quando cerchiamo di fare le cose al meglio, nel miglior modo possibile e quindi la parte spirituale, la parte di preghiera, la parte di formazione, poi dobbiamo essere sicuri che le vie del Signore non sono le nostre vie e che Egli renderà fecondo tutto quello che noi abbiamo fatto.

Noi non sappiamo quanto quella parola o quell’esempio potrà fruttare nel cuore di quel ragazzo o di quella ragazza che adesso ci sembrano così disinteressati, scostanti, arroganti… Non sappiamo quanto abbiano fatto quelle nostre lacrime, perché il catechista, l’evangelizzatore, l’educatore e il formatore di un gruppo o di un’associazione sono anche persone che, certe volte, piangono e il piangere di fronte al Signore è il modo di dire che gli vogliamo bene e che vogliamo bene ai nostri ragazzi e ragazze, alle nostre comunità, e che a noi sembra di aver esaurito tutte le risorse ma siamo di fronte a Lui presentando il nostro amore ricevuto e l’amore per le persone di cui ci facciamo carico.

Il catechista, l’educatore e il formatore, prima di tutto, portano i ragazzi e i bambini nella loro preghiera. E la preghiera non è solo dire al Signore qualcosa. Nel Padre nostro abbiamo uno schema bello di preghiera: la preghiera non è solo domandare, è anche consegnare nelle sue mani.

Il catechista, il formatore, il missionario non guardano solo secondo una prospettiva umana, ma sanno che la grazia di Dio passa attraverso l’umano e, quando ci sembrava di aver fatto molto bene, forse quello sarà stato l’incontro di catechesi meno produttivo e meno significativo; là dove ci siamo sentiti umiliati o là dove ci sembrava di aver seminato della sabbia nel deserto, un giorno scopriremo invece che quelli sono stati gli incontri che più hanno toccato il cuore delle persone.

Non pretendiamo di sapere quando e come né pretendiamo che gli altri ci vengano a dire grazie perché con le parole lo possono anche dire ma poi non significa che siano stati toccati da quello che era il nostro argomento secondo il nostro giudizio.

Il Signore, quando ha voluto chiamare i discepoli, quello che diverrà il gruppo degli apostoli e delle donne, si chiamavano gruppo delle donne e gli apostoli, ha preso delle persone che, umanamente parlando e secondo la religione del tempo o per la vita condotta, valevano molto poco.

Pensiamo alla Maddalena o a Matteo… Il carattere di Pietro descritto dal Vangelo non era dei migliori, Giacomo e Giovanni vengono definiti i figli del tuono… I primi catechisti, i primi evangelizzatori, formatori, i primi educatori erano questi e, alla fine, tutti hanno testimoniato con il dono della vita.

Iniziate un cammino personale in cui però camminate insieme agli altri, perché il Signore manda i discepoli a due a due. Accettate gli altri, anche nei difetti reciproci, gioite del bene degli altri e soprattutto impegnatevi a pensare che il primo gesto di chi vuol in qualche modo far risuonare la parola di Dio è la preghiera spirituale, il confessarsi, il partecipare alla Messa non solo la domenica. Costruiamo in noi l’evangelizzatore, il catechista, il formatore. E smettiamo di guardarci molte volte gli uni gli altri ma cerchiamo di guardare insieme al Signore; Lui è il vero catechista, il vero evangelizzatore, il vero formatore, il vero missionario.

Vi consegno, infine, l’immagine della parabola della vite e dei tralci (Gv 15,1-8). Il tralcio non può pensare di essere la vite; il vero, unico, pieno e completo evangelizzatore, missionario, catechista è il Signore Gesù. Cerchiamo di essere dei tralci uniti a lui, fedeli a Lui. E su questo chiediamo l’aiuto della prima evangelizzatrice, la Vergine Santissima. Guardiamola mentre si reca ad Ein Karem dalla cugina Elisabetta, con passo frettoloso; è Lei che dà il Signore mentre lo porta dentro.