Via Crucis diocesana con i giovani a Borbiago di Mira
(Santuario S. Maria Assunta, 19 marzo 2016)
Meditazione del Patriarca mons. Francesco Moraglia[1]
Dopo la celebrazione di questa Via Crucis ognuno di noi è chiamato a fare una scelta mentre ritorna a casa e ritorna alle sue occupazioni abituali: la scuola, gli amici, la famiglia, qualche lavoretto, un po’ di volontariato… Siamo chiamati a fare una scelta.
Dopo la celebrazione della Via Crucis, dopo aver pregato il mistero della misericordia di Dio che è la Croce, non possiamo fare le stesse cose come le facevamo prima di questo incontro di preghiera. Vorrebbe dire non aver capito nulla…
Il cristianesimo è una scelta di vita: o Lui, e quello che Lui ha fatto, ha la forza di cambiare il mio modo di pensare, di dialogare, di stare con gli altri e il mio modo di vivere oppure io non l’ho incontrato. O, meglio, l’ho incontrato come si incontra un libro e come si incontra un personaggio della storia; conosco Giulio Cesare e Napoleone Bonaparte ma, più di tanto, non entrano nella mia vita se non quando sono chiamato a sostenere un esame di storia e devo dimostrare di conoscere quello che hanno fatto.
Il cristianesimo è una scelta di vita. Il Battesimo è una promessa, è un impegno. Ed allora dobbiamo dare concretezza a questa realtà che non possiamo mettere in questione perché, altrimenti, ne va della nostra vita cristiana.
L’impegno, allora, deve essere quello – per esempio – di tradurre nella nostra vita il vangelo di Luca che abbiamo letto all’inizio di questo bell’incontro di preghiera. Che cosa vuol dire: “Mi alzerò, andrò da mio padre…” (Lc 15,18)? Che cosa significa dire a Dio ed ai fratelli: cambierò il mio modo di vivere?
E’ la cosa più difficile ed è stato anche opportuno, forse, non terminare la lettura di tutta la parabola di Luca, fermandosi solo sul figlio più giovane perché, vedete, il peccato ci impoverisce. Quel ragazzo ha un progetto di libertà, si allontana da quel luogo – il padre, la casa – da cui ritiene di essere impoverito e, alla fine, si trova veramente povero.
Guardate che Dio non condanna il peccato per una sua idea di dominio su di noi; la legge di Dio è ciò che ci realizza come uomini. Dio ci dà la legge e ciò che nella legge ci è chiesto di fare è buono perché corrisponde al nostro bene.
Pensate quante vite hanno incominciato a corrompersi iniziando a non dire la verità, ad usare della reticenza, della menzogna, delle bugie, della falsità nel rapporto con gli altri e in famiglia. Quante cose iniziano da piccole scelte sbagliate! E quanto male ci fanno quelle persone che banalizzano le nostre scelte sbagliate! Quando ci sentiamo dire: ma oramai fanno tutti così, è la benedizione… è ciò che aspettavamo, tutti fanno così, non si può fare altrimenti…
Il cristiano dà una testimonianza dirompente, pericolosa. Abbiamo sentito pronunciare una trentina di nomi – i missionari martiri dell’anno 2015 -; sono persone che hanno preso sul serio la Croce di Cristo e la Sua Resurrezione.
Della prima stazione che abbiamo fatto voglio mettere in evidenza due cose brevissime. “E subito, mentre ancora egli parlava, arrivò Giuda, uno dei Dodici…” (Mc 14,43). Mi colpisce quel “subito”. Quante volte siamo chiamati a scelte, a gesti, a parole, ad interventi e… subito di noi si impossessa Giuda, quel Giuda che abita nel nostro cuore. il male che inizia laddove sorge la mia libertà..
“Appena giunto, gli si avvicinò e disse: «Rabbì» e lo baciò” (Mc 14,45). Giuda è veramente sconcertante; riesce a prendere i gesti simboli dell’amore, dell’affetto, dell’amicizia e li trasforma nei gesti del tradimento, dell’interesse, dell’odio. Il male non ha limiti; Giuda è riuscito anche a mettere Gesù contro i poveri. Vi ricordate quando quella donna cospargeva i piedi di Gesù di profumo e lui, con altri discepoli, dice: ma quei soldi non potevano essere usati per i poveri? E’ arrivato anche a questo, Giuda (cfr. Mc 14,3-9). Il male ci divora, come il figliol prodigo che è andato lontano e si è divorato, si è lasciato divorare dalle sue scelte sbagliate.
Nella seconda stazione troviamo Simone di Cirene. “Costrinsero a portare la sua croce un tale che passava…” (Mc 15,21). Io mi sono sempre chiesto quanti sentimenti, quali sfumature o cambiamenti di atteggiamento Simone di Cirene ha avuto in quell’ora, ora e mezza in cui ha accompagnato Gesù alla croce.
Lo costrinsero e quindi non voleva; tornava dalla campagna, aveva lavorato tutto il giorno, era la vigilia di Pasqua, una grande festa… E poi sappiamo che Simone era “padre di Alessandro e di Rufo” (Mc 15,21). Che cosa vuol dire? Che i suoi figli erano conosciuti nella comunità cristiana. Simone di Cirene ha iniziato controvoglia, contro la sua volontà, ma il Signore si è servito comunque di quel suo sì per renderlo un membro della comunità cristiana, conosciuto, lui ed i suoi figli.
Talvolta possiamo iniziare malvolentieri certe cose perché ci costano, perché non ci appartengono. Ad esempio san Francesco aveva una difficoltà, una repulsione, nei confronti dei lebbrosi eppure ha incominciato andando da loro. La conversione è anche questo: vincere il nostro uomo vecchio. Si può iniziare per forza, ma poi il Signore vede quanto ci può essere di buono anche in quel nostro agire controvoglia, per forza.
E veniamo alla terza stazione. Davvero nessuno di noi può dire: oramai è troppo tardi. C’è il delinquente buono che si converte; ha un appuntamento con il Signore negli ultimi istanti di vita (cfr. Lc 23,39-43).
Giuseppe Benedetto Cottolengo fino a 41 anni ha fatto il prete in un determinato modo; negli ultimi anni della sua vita è poi diventato il santo che conosciamo, tanto che un noto politico italiano ha detto: non si capisce Torino se non si fa una visita al Cottolengo. E quando nel 1827 iniziava il suo cammino il Cottolengo, a poche centinaia di chilometri da Torino, ad Ars in Francia incominciava a diventar noto un certo Giovanni Battista Maria Vianney e iniziavano ad arrivare i primi pellegrini dalla Francia, da Lione. Mi ha anche colpito il fatto che, quando è diventato prete il santo curato d’Ars, nel 1815, in un paese dell’Astigiano nasceva un certo Giovanni Bosco. E il Cottolengo è nato nello stesso anno del santo curato d’Ars.
Dio gioca con la santità; in mezzo a noi ci possono essere dei santi e non lo sappiamo. Ma Dio si serve e gioca (nel senso migliore del termine) con la libertà degli uomini. Noi pensiamo che la santità sia una cosa rara ed invece è frequente ed interessa anche paesi e regioni tra loro molto vicini.
Concludo richiamando il brano della quarta stazione. Chi crede nella Pasqua, nel Risorto, ha degli occhi capaci di vedere meglio degli altri e più degli altri. Più in profondità degli altri. È ora di smetterla di pensare che il cristiano vada bene per pregare e per stare in chiesa mentre nella “realtà” devono andare avanti gli altri…
Il cristiano ha una riserva – la riserva della fede – e la fede non è qualcosa che ci allontana dalla realtà pensando alla vita futura; è qualcosa che ci fa preparare la vita futura arrivando al cuore dell’uomo. Chi crede nel Risorto ha una prospettiva, una visione, una profondità, una sensibilità che gli permette di essere più uomo, più donna, più adolescente, più sposo, più sposa, più prete.
[1] Il testo riporta la trascrizione degli interventi pronunciati dal Patriarca in tale occasione e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del “parlato” che lo ha contraddistinto.