Meditazione del Patriarca al Ritiro di Avvento per il clero diocesano sul tema “Maria e la Chiesa, mistero e ministero per un Cammino sinodale” (Zelarino, 24 novembre 2022)
24-11-2022

Ritiro di Avvento per il clero diocesano

“Maria e la Chiesa, mistero e ministero per un Cammino sinodale”

(Zelarino, 24 novembre 2022)

Meditazione del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Maria, dopo Gesù, è per eccellenza figura dell’Avvento e per questo la poniamo al centro di questo ritiro in preparazione al Santo Natale.

Per ben due volte Luca ci presenta Maria come figura “avventuale”. La prima volta, all’inizio del suo Vangelo, è il momento dell’Annunciazione; la seconda all’inizio del libro degli Atti degli Apostoli, quando Maria – con i discepoli, in preghiera – attende il compimento della promessa di Gesù, il dono dello Spirito Santo. Maria è la Chiesa Nascente.

Per questo dobbiamo fare entrare Maria nel Cammino sinodale che è, ovviamente, un cammino ecclesiale e, quindi, un cammino mariano.

Maria contribuisce a disegnare il volto reale della Chiesa, non riducendola indebitamente. Una migliore conoscenza biblica evita poi di ridurre Maria al rango di una figura devozionale perché Maria appartiene alla storia della salvezza, anzi la sintetizza e la compie.

Fra mariologia ed ecclesiologia si dà un rapporto reciproco e comprendere di più e meglio l’una vuol dire comprendere di più e meglio l’altra.

Il tema scelto – “Maria e la Chiesa, mistero e ministero per un Cammino sinodale” – è, ad un tempo, tema mariano ed ecclesiologico. Ha due fuochi: Maria – la vergine, la figlia di Sion, la donna, la madre, la sposa – e la Chiesa – il popolo di Dio, il corpo di Cristo, l’ecclesia eucaristica -.

Innanzitutto guardiamo all’Alleanza, realtà costitutiva della rivelazione cristiana: l’Antico e il Nuovo Testamento. Dio prima elegge Israele e poi fa alleanza con lui; di volta in volta l’Alleanza viene rinnovata lungo la storia, fino a raggiungere la sua pienezza in Gesù (cfr. Gal 4,4).

La creazione è il primo manifestarsi dell’Alleanza; Dio suscita dal nulla tutte le cose – cielo, terra, gli animali, l’uomo (creato ad immagine e somiglianza di Dio) – e l’arcobaleno, dopo il diluvio, sarà il segno della rinnovata Alleanza fra cielo e terra (cfr. Gen 9,12-17).

Con la figura di Abramo si entra nella storia. L’uomo, con Abramo, è chiamato a rispondere a Dio nella e con la fede. Abramo è il “nostro padre nella fede”; ce lo ricorda espressamente la preghiera eucaristica prima, il canone romano.

L’Alleanza ha il suo momento “costitutivo” al Sinai, l’Horeb, il monte dove Dio rivela il suo nome indicibile (cfr. Es. 3,13-15). Quando l’Alleanza viene stipulata, prima che il sangue dell’agnello venga versato sull’altare, il popolo s’impegna e grida ad una sola voce: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8).

Con i profeti – Geremia (cfr. 31, 31-33.40), Ezechiele (cfr.11,19; 18,31; 36,26; 16,60-62) – viene preannunciata la “nuova” e “futura” Alleanza che porrà, nell’uomo, un cuore “nuovo”.

Il culto di Israele supponeva la fedeltà alla Legge ma Israele tradirà l’Alleanza e i profeti rigettano tale culto che nasce da cuori infedeli. Non è il culto, in quanto tale, ad essere messo in questione, ma il culto che s’ eleva da un popolo infedele (cfr.  Am 5,21-25; Os 6,6; 8,13; Mic 6,6-8; Is 1,10-31 e 58,1-14; Ger 7,21-24; Sal 50,9-14). Così la predicazione dei profeti annuncerà e prefigurerà una nuova Alleanza.

Al cuore di pietra subentrerà il cuore di carne per superare il peccato del popolo e la nuova Alleanza verrà incisa nel cuore dell’uomo, non più su tavole di pietra.

Giunta “la pienezza del tempo” – come dice la lettera ai Galati (cfr. Gal 4,4) – l’Alleanza si compie nel “sì” di una giovane donna, Maria di Nazareth (cfr. Lc 1,38). A quel “fiat” si lega l’evento dell’incarnazione e l’Unigenito Figlio del Padre assume una carne umana nel sì credente di una donna: il biologico appartiene all’umano (la femminilità di Maria) e l’umano entra nel teologico; è, appunto, il “sì” credente di Maria di Nazareth che diventa madre rimanendo vergine; è la nuova ed eterna Alleanza in cui è coinvolto tutto l’essere umano; Maria è il “sì” dell’umanità a Dio, un “sì” femminile.

Tutto era iniziato con Abramo, nella terra di Carran (cfr. Gen 12,1-4), e poi c’era stato l’evento fondante del Sinai col popolo che si era impegnato con Dio dicendo: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8).

Nel “fiat” di Maria, a Nazareth, abbiamo la personificazione della figura simbolica della figlia di Sion (sposa, madre, vergine) e si “conclude” (ossia si porta a compimento) l’Alleanza (cfr. Lc 1,26-36) che poi viene celebrata a Cana (cfr. Gv 2,1-12) e, infine, viene sigillata ai piedi della croce, al Calvario (cfr. 19,25-27).

In Maria si compie personalmente l’Alleanza; Maria è il compimento della Sinagoga, è il “sì” per eccellenza, è la vera arca dell’Alleanza, come si dice chiaramente nella narrazione che Luca fa della visita di Maria alla cugina Elisabetta: “…beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,44).

È la beatitudine della fede in cui si compie l’Alleanza del Sinai; è il “sì” del popolo: “…Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a una sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!»” (Es 24,3). Ma la storia d’Israele, come sappiamo, attesterà che non sarà così.

Ci fermiamo ora su due testi del Vangelo di Giovanni: le nozze di Cana (cfr. Gv 2,1-11) e la Crocifissione, il Calvario (cfr. Gv 19,25-27); come detto, nel primo l’Alleanza viene celebrata, nel secondo sigillata.

A Cana Gesù si rivolge a sua madre e la chiama “donna”; il riferimento all’Alleanza è chiarissimo. Maria, infatti, aveva chiesto l’intervento del Figlio ed è Lei che si fa tramite perché si compia il “segno” grazie al quale i discepoli crederanno e diventeranno discepoli (cfr. Gv 2,11). Invece, ai piedi della croce, Gesù affiderà alla madre – anche qui chiamata “donna” – il discepolo come figlio.

Dio, nell’Antica Alleanza, è lo sposo d’Israele; nel Nuovo Testamento, invece, Cristo è lo sposo della Chiesa che, in Maria, è personificazione della figlia di Sion, è il compimento della Sinagoga, è la sposa fedele, è la madre feconda.

Il quarto Vangelo – lo sappiamo – inizia come il libro della Genesi, con le stesse parole: “In principio”. Segue poi lo schema della settimana. Anche in Giovanni ritroviamo i sette giorni della creazione ma qui, ora, Gesù “crea” i discepoli, la nuova umanità; non sono, come nella Genesi, le creature ad essere chiamate all’esistenza ma i discepoli, ossia la Chiesa.

In Giovanni, nel primo capitolo, per tre volte ritorna l’espressione “il giorno dopo” (ai versetti 29, 35, 43). Il secondo capitolo, poi, inizia con questa altra scansione temporale: “il terzo giorno”; è il giorno in cui Maria, la madre di Gesù e i discepoli sono invitati a Cana a delle nozze (cfr. Gv. 2,1). Al termine del racconto, l’evangelista annota: “…fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2,11).

Le nozze di Cana raccontano un fatto ma, nel quarto Vangelo, il genere letterario e le narrazioni sono profondamente simboliche e non possiamo non tenerne conto in ordine ad una retta comprensione di quanto vuol comunicarci l’evangelista. Sarebbe non solo riduttivo ma erroneo considerare le parole “Non hanno più vino” (Gv 2,3) come se esprimessero solo una preoccupazione per due sposi in difficoltà a causa della carenza di una bevanda che pure avrebbe compromesso la festa.

Qui siamo dinanzi al primo “segno” del Vangelo di Giovanni, costituito da sette grandi “segni”. È una pericope che ha un significato particolare, centrale nell’economia del quarto Vangelo in cui il simbolismo è modo di comprendere e d’esprimersi, non riducendo la realtà e il contenuto della narrazione al puro fatto storico.

In tal modo, i giovani sposi di Cana rimangono sempre sullo sfondo ed anzi neanche appaiono se non in modo minimale o allusivo, perché il vero sposo e la vera sposa sono Gesù e sua madre, chiamata ”donna”; siamo in un contesto d’Alleanza, la coppia archetipa della Genesi.

Dobbiamo, allora, prestare attenzione al messaggio che l’evangelista vuole darci: il “mistero” di Gesù viene presentato attraverso “segni” che costituiscono la stessa narrazione.

Lo sposo è colui che provvede al banchetto e, in particolare, al vino che è segno della gioia della festa che, per antonomasia, in Israele era la festa messianica. Quando il vino viene meno, Gesù – su richiesta della madre, “la donna” – lo procura; Lui è lo sposo e le nozze di Cana sono le nozze “messianiche”.

Le idrie, poste lì per le purificazioni, appartengono all’Antica Alleanza, ne attestano l’impotenza e l’incapacità di salvare; la Sinagoga sta per cedere il passo alla Chiesa. E proprio quelle idrie si riempiranno di vino nuovo e il maestro di tavola dirà che quel vino nuovo è migliore del vecchio.

Le nozze richiedono la presenza dello sposo ma, ovviamente, anche della sposa e qui prende consistenza la figura di Maria che, appunto, non è chiamata per nome ma “donna”, rimarcando così il contesto dell’Alleanza a cui il quarto Vangelo si riferisce, a differenza di ciò che era abituale nel mondo semita e nel mondo greco.

Il riferimento qui è chiaro e va alla “donna” della Genesi, l’archetipo primordiale; qui vi è anche il nuovo Adamo (Gesù) – “Adamo è figura di colui che doveva venire” (Rm 5,14) – e così si afferma una sponsalità generatrice di vita e di salvezza.

Dopo il dialogo fra Gesù (lo sposo) e Maria (la sposa) a Cana di Galilea, l’evento del Calvario, a sua volta, va letto nel contesto dell’Alleanza. Gesù si rivolge alla madre e, anche qui, la chiama “donna”: “…vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (Gv 19,26-27).

Anche qui il testo non si può intendere solo in riferimento ad un fatto: Gesù che compie un bel gesto filiale nei confronti della madre. Certo, Gesù ha anche tale preoccupazione ma, nel quarto Vangelo, il fatto ha sempre un significato simbolico particolare che va oltre.

Maria è “sposa” ed è “madre”; Gesù è lo “sposo” che le affida il discepolo come “figlio”; la prospettiva è una sponsalità ed una maternità più ampie. Maria, in tal modo, diventa la madre di ogni discepolo di suo Figlio, che è lo sposo della nuova Alleanza.

L’Alleanza si compie progressivamente: a Nazareth, a Cana, al Calvario. E così, in Maria, giunge a pienezza la figura simbolica veterotestamentaria della “figlia di Sion”.

A Nazareth il fiat di Maria richiama le parole dell’Alleanza del Sinai: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8). Secondo la stessa logica, a Cana, Maria si rivolge agli inservienti e chiede loro di eseguire le parole di Gesù: “Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Infine, ai piedi della croce, al Calvario, la Vergine è presente come la donna, la sposa, la madre.

La presenza, ai piedi della croce, della “donna” (la sposa) e di Giovanni (il discepolo) riveste significati diversi. Maria è salvata da Gesù ed è lì come la madre; Giovanni, a sua volta, è salvato da Gesù che, però, l’affida a Maria, cioè alla donna. Maria, quindi, è la sposa, il volto materno della Chiesa, che, ai piedi della croce, genera e partorisce i discepoli come figli; Giovanni, invece, rappresenta la Chiesa salvata da Gesù.

Qui, Gesù, riferendosi a sua madre, le affida il discepolo: “Ecco tuo figlio” (Gv 19,26). Il riferimento qui è alla predicazione dei profeti che annunciavano il ritorno dei figli di Israele dalla terra dell’esilio alla città santa, Gerusalemme: “Alza gli occhi… guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio” (Is 60, 4).

Ricordiamo, a tal proposito, anche le parole pronunciate da Caifa, sommo sacerdote in quell’anno e che profetizza di Gesù: “…doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,51-52). La croce è l’evento in cui i figli dispersi sono riuniti.

La lettera agli Efesini si muoverà nello stesso senso: “…in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,13-14).

Giovanni, ai piedi della croce, rappresenta gli uomini dispersi che, nella croce di Cristo, vengono riuniti per costituire un solo popolo.

Al venerdì santo segue la domenica di Pasqua e Gesù, il Risorto, incontrerà più volte i discepoli. Nei quattro Vangeli solo Giovanni riporta l’apparizione sulle rive del lago di Tiberiade (cfr. Gv 21): qui è Gesù che si fa riconoscere, mangia con loro, dialoga a lungo con Pietro, gli conferisce il ministero apostolico nel grado più alto e, quindi, solo in comunione con Pietro ogni altro ministero può venire esercitato.

Nella Chiesa vi sono molti ministeri, ma è Pietro a garantire che la molteplicità si componga nella comunione. La lettera agli Efesini ci ricorda, appunto, la pluralità dei carismi e dei ministeri:”…egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo” (Ef 4,11-12).

Nel dialogo fra Gesù e Pietro si accenna poi all’apostolo Giovanni, l’unico discepolo presente ai piedi della croce. Giovanni appare circondato da un alone misterioso; si afferma, infatti, una sua particolare relazione col tempo e con la storia.

Leggiamo il testo: “Si diffuse tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?»” (Gv 21,23).

Forse proprio il libro dell’Apocalisse – il cui autore probabilmente appartiene alla “cerchia” dei profeti di tradizione giovannea – può spiegare l’alone di mistero che circonda Giovanni. Il libro dell’Apocalisse, infatti, tratta del futuro della Chiesa e della storia: “Io, Giovanni, vostro fratello e compagno nella tribolazione, nel regno e nella perseveranza in Gesù, mi trovavo nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9).

L’Apocalisse può essere considerata il libro “aperto” che riguarda il futuro della Chiesa e della storia fino all’ultima manifestazione del Signore. Il libro termina con un’invocazione: “Colui che attesta queste cose dice: «Sì, vengo presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. La grazia del Signore Gesù sia con tutti” (Ap 22,20-21). L’Apocalisse è e rimarrà il libro misterioso e aperto che riguarda il futuro.

Se Maria, nel contesto dell’Alleanza (Dio e popolo), rappresenta – nella sua persona – la Chiesa nella sua totalità, allora dobbiamo chiederci quale rapporto sussista fra mistero “mariano” e ministero ordinato (episcopato, presbiterato, diaconato) in cui alcuni membri del popolo di Dio sono costituiti.

Una prima annotazione riguarda il volto mariano della Chiesa che viene prima della realtà petrina o ministeriale (i singoli ministeri). È necessario fare nostra tale visione per non cadere in una comprensione “funzionale” e – in ultima istanza – “maschilista” della Chiesa.

A tutti può succedere di pensare ed agire in modo “mondano”, interpretando il ministero e il suo esercizio come dominio, come potere, come efficientismo e, alla fine, come affermazione di sé.

Ridurre la Chiesa all’esercizio del ministero significa deturparne il volto mariano, distruggerne il mistero, ridurre tutto a funzionalismo ed efficientismo e, alla fine, ad una lotta per la conquista dei ministeri nelle forme e nei gradi più alti.

Il rischio è trasformare la Chiesa da organismo vivente di Cristo (corpo di Cristo), in un’organizzazione umana. Il popolo di Dio è tale nell’alleanza; non è l’etnia, non è la patria, il suolo o la cultura che costituiscono il popolo di Dio ma l’alleanza, ossia Gesù Cristo, la fede in lui. Maria, nel suo “sì” (l’annunciazione, l’incarnazione, la prima discepola), è Chiesa nascente; è l’eucaristia, quindi, che fa la Chiesa ed esprime la verità della Chiesa.

Già i Vangeli mettevano in guardia dal rischio di trasformare la Chiesa in un’associazione o attività umana o in una struttura efficiente, quando raccontano della richiesta dei figli di Zebedeo. “Voi sapete – è la risposta di Gesù – che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così…” (Mc 10,42-44).

Sul volto mariano della Chiesa un testo da leggere è “Maria. Chiesa nascente” di Joseph Ratzinger e Hans Urs von Balthasar, dove si mette in evidenza come prima del ministero venga il mistero della Chiesa che esprime l’Alleanza di Dio con il suo popolo.

Gesù lo sposo, e Maria, la sposa, introducono i discepoli nell’Alleanza, a Cana, attraverso il segno dell’acqua che diventa vino e l’adesione di fede: “…egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (cfr. Gv 2,11). Al Calvario, invece, ciò avviene nella maternità spirituale di Maria; Gesù, infatti – chiamandola “donna” – le affida Giovanni come figlio e il riferimento è ad Eva, madre dei viventi (cfr. Gv 19,26).

Solamente dopo esser diventato figlio di Colei che nella sua persona significa la Chiesa, l’apostolo Giovanni – e dopo di lui ogni altro apostolo – potrà entrare in verità e umiltà (senza clericalismi) nel ministero apostolico (cfr. Gv 21,15-23). Non si può esercitare il ministero se prima non si è entrati del mistero della Chiesa; in altre parole, prima di esercitare il ministero, i discepoli devono entrare a far parte del mistero della Chiesa, vivendone e comprendendone il volto mariano.

La Chiesa si costituisce nel principio “mariano” e in quello “petrino” che s’includono e si completano; il principio “mariano” è più ampio e viene prima di quello “petrino” che, però, garantisce il principio “mariano”.

Ci aiuta a capire un passo del sopracitato testo “Maria. Chiesa nascente” in cui leggiamo: “Nell’esemplarità di Maria all’interno della Chiesa si celano molte intuizioni e conseguenze importanti… la Chiesa nel suo nucleo di perfezione è da ritenersi femminile… Già la Sinagoga era stata descritta davanti a Dio come fidanzata o sposa. E ugualmente la Chiesa della nuova Alleanza nel suo rapporto con Cristo (cfr. 2 Cor 11,2)… Questa femminilità della Chiesa è comprensività d’ogni cosa, mentre le cariche ministeriali ricoperte dagli apostoli e dai loro successori maschili non sono che pure funzioni all’interno di tale comprensività. Non bisognerebbe dimenticare ciò quando, come oggi, si fanno interminabili discussioni su una eventuale partecipazione della donna al ministero sacerdotale. Vedendo le cose più in profondità, con una conquista del genere la donna finirebbe col rinunciare ad un più per avere un meno” (Joseph Ratzinger, Hans Urs von Balthasar, Maria. Chiesa nascente, Paoline 1981, 55-56).

La lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994), di san Giovanni Paolo II, ha dichiarato conclusa la questione, come più volte ha ribadito anche Papa Francesco.

Maria rappresenta, così, la Chiesa nella sua totalità – laici, consacrati, ministri ordinati – e ciascuno nella Chiesa è chiamato a “portare” in sé la dimensione mariana che va custodita e promossa e dalla quale nessun discepolo può esimersi. Maria, nella sua persona, è il compiersi della figura “simbolica” e “profetica” della figlia di Sion; la vocazione “mariana” è, perciò, di tutti i discepoli.

Nella Chiesa la diversità delle vocazioni, dei carismi, dei ministeri è ricchezza per tutti; il popolo di Dio, però, non è un aggregato indistinto ma un organismo strutturato, un corpo vivente nella sua relazione sorgiva verso Chi dona vita, ossia lo Spirito Santo, dono pasquale di Cristo, compimento ultimo dell’Alleanza. È l’ecclesiologia del Concilio Vaticano II.

Nell’ecclesiologia della Costituzione conciliare Lumen gentium tutto nasce dalla comunione con Gesù; è dal suo sacerdozio che si origina il sacerdozio dei battezzati e dei ministri ordinati.

Dobbiamo annunciare e, prima ancora, vivere una Chiesa che promuove le differenti vocazioni all’interno dell’unico mistero ecclesiale, senza del quale tutto si ridurrebbe all’esercizio dell’autorità e alla sua ricerca.

A questo punto, alcune domande: come cambia la vita del diacono, del presbitero e del vescovo nell’esercitare il loro ministero in base al principio mariano? In che modo la dimensione mariana della Chiesa contrassegna la vita e il ministero del diacono, del presbitero e del vescovo? Infine, il ministero diaconale, presbiterale ed episcopale come si “intersecano” con il ministero petrino?

Domande che, in modi diversi, sono stimolate dai due principi ecclesiologici che interpellano tutti ma in modo particolare chi, nella Chiesa, esercita un ministero. Da solo il principio mariano rischia d’essere una bella ma vuota affermazione teologica che il principio petrino rende visibile, attuale, concreta. Il principio petrino, da solo e non sorretto da quello mariano, finisce per “ridurre” la Chiesa ad una “ministerialità” che riduce, in modo indebito, l’ampiezza e la profondità del mistero ecclesiale ad una sua parte.

La devozione alla Madonna, sorretta da una visione biblica e teologica, fa riscoprire l’importanza del mistero della Chiesa e dell’Alleanza, il volto mariano della Chiesa, un “tutto” rispetto a ciò che è solo parte e viene in un momento successivo, non tanto cronologicamente ma sul piano della realtà (dell’essere), ossia il ministero e il suo esercizio.