Marcia e veglia per la pace: intervento del Patriarca
24-01-2004

1. «La pace resta possibile. E se possibile, la pace è anche doverosa» . Questa è l’instancabile ed insistita affermazione del magistero di Giovanni Paolo II. È il cuore del Messaggio per la Pace di questo anno, ultimo anello della lunga catena inaugurata da Paolo VI nel 1968. Crediamo fermamente in questo insegnamento. Per questo siamo qui. Come ci invita a fare il Papa, abbiamo compiuto questo gesto anzitutto per «educarci alla pace» .
Non c’è educazione senza ascesi. E la più ardua ascesi è quella dell’intelligenza. In un mondo che la sollecita con un’indefinita gamma di proposte la moralità dell’intelligenza è un dono da invocare con instancabile energia.

2. All’uso veramente morale, e perciò critico, dell’intelligenza, ci richiama il brano evangelico testé proclamato. Gesù smaschera l’impiego ideologico della legge fatto da scribi e farisei «’Mosé, nella Legge ci ha comandato di lapidare donne come questa”. Questo dicevano ‘ per avere di che accusarlo» (Gv 8, 5-6). Gesù li mette con le spalle al muro, andando al cuore della loro libertà, impagliata dal moralismo: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8, 7).
Cosa insegna tutto ciò alla dimensione critica della nostra intelligenza, nella presente circostanza di questa marcia-veglia per chiedere la pace? Ci insegna, inequivocabilmente, che la lotta per la pace si gioca anzitutto nel cuore della persona: in me, in te, in ciascuno di noi. Muove dalla coscienza, umile (e perciò realistica ‘ humus = terra) che il peccato contro la pace è anzitutto il mio.
Questa non è una premessa omiletica. Non è una generica sollecitazione spirituale da lasciare alle spalle, per scelta o per dimenticanza, quando si passa all’ambito dell’analisi delle cause delle guerre, del terrorismo e delle loro responsabilità. Non si può prescindere da questa quotidiana ascesi che parte dal centro dell’io neppure quando si cercano e si mettono in pratica metodi e forme dell’azione personale e sociale per la pace. Invece ‘ riconosciamolo! – in questo sottile ma gravemente ambiguo dualismo cadiamo assai spesso. E questo dualismo che separa la sfera personale da quella sociale può rendere ideologico, anche senza volerlo, il più generoso degli impegni per la pace.

3. La strada della pace passa allora, necessariamente, dall’educazione e dalla testimonianza. Due termini che nella nostra società europea hanno un’inconfondibile fisionomia cristiana.
Educazione, per chi vive alla sequela di Cristo, non ha niente a che vedere con indottrinamento reciproco. Così come non richiede l’azione rivendicativa di chi pensa di essere sempre nel giusto e non si mette mai in discussione. Educarsi alla pace implica il resistere alla tentazione dell’utopia che pretende di conoscere e dominare sempre tutte le ricette per risolvere i problemi del mondo globale’ Educarsi alla pace domanda un’attitudine globale che tenga conto di tutti i fattori dell’umana esperienza elementare. Ebbene, il nostro convenire di questa sera esprime il desiderio di questo popolo singolare, ben identificabile, che è la Chiesa di Dio, di essere educata, in ogni persona, dal Suo Signore alla pace come dimensione normale dell’esistenza personale e sociale.
Testimonianza è sinonimo di autoesposizione, di dono di sé, di martirio. Da Gesù in poi il martirio è l’atto sublime dell’amore. Niente di più lontano da quella tragica caricatura del martire che è l’uomo-bomba. Nessuna giusta causa può far prescindere dalla sofferenza altrui, seminando morte di inermi vittime con la propria. Contro questa dolorosa forma utopica si erge l’intrepido e delicato martirio del Padre Christian De Chergé. La sua forza è il perdono. «Di questa vita perduta, totalmente mia, totalmente loro, rendo grazie a Dio, che sembra averla voluta interamente per quella gioia, nonostante tutto e contro tutto. In questo Grazie in cui è detto tutto, ormai, della mia vita, comprendo certamente voi, amici di ieri e di oggi… E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non sapevi quel che facevi. Sì, anche per te voglio prevedere questo Grazie e questo Addio» .

4. La testimonianza ha il suo vertice nel perdono. Così come la giustizia ha il suo vertice nella carità. Dice il Papa nel Messaggio per la Celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno: «Da sola la giustizia non basta. Può anzi arrivare a negare se stessa, se non si apre a quella forza più profonda che è l’amore. È per questo che, più volte, ho ricordato ai cristiani e a tutte le persone di buona volontà la necessità del perdono per risolvere i problemi sia dei singoli che dei popoli. Non c’è pace senza perdono!» (n. 10).
Non c’è pace senza perdono. Queste parole del Papa sono l’energica e doverosa risposta all’inaccettabile ideologia fatalista di quanti sanciscono che la pace non sia possibile – e perciò doverosa ‘ e ritengono che la guerra sia inevitabile. Lo sarebbe se il perdono fosse una possibilità negata agli uomini. Esso ci è, invece, permanentemente donato dal Crocifisso Risorto.
Educarsi alla pace, quindi, inizia dal semplicissimo gesto che, nelle nostre comunità cristiane, ci viene offerto dal sacramento della Riconciliazione.
Dalla riconciliazione con Dio, donataci da Colui che si è proclamato la nostra pace, scaturisce un’indomabile energia di perdono che può raggiungere tutti i rapporti tra gli uomini, da quelli elementari in famiglia, nei nostri quartieri, nei nostri posti di lavoro fino a quelli costitutivi della società civile e politica, a livello nazionale e internazionale.
Assicurare che il perdono ha una forza sociale, che è una possibilità reale per l’umana società è compito indeclinabile della comunità cristiana. Il perdono diventa così la forma compiuta per la doverosa costruzione della pace. Esso non è generico slancio sentimentale ma poggia sui famosi quattro pilastri della Pacem in terris del Beato Giovanni XXIII, a noi veneziani tanto caro. Su verità, giustizia, amore e libertà dovrebbe rimodularsi l’ormai improcrastinabile riforma dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la cui funzione resta insostituibile per la convivenza pacifica della famiglia dei popoli.
Dalla testimonianza del perdono nessuno di noi può considerarsi esonerato.
Lo abbiamo mostrato questa sera rinnovando questo importante gesto di rilievo ad un tempo ecclesiale e civile. A questo punto la nostra corale preghiera si faccia grido e supplica a Colui che ci ha detto: «Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).