Madonna della Salute 2002: discorso al pellegrinaggio dei giovani
Venezia, 20 novembre 2002
20-11-2002

PELLEGRINAGGIO DEI GIOVANI
ALLA BASILICA DELLA MADONNA DELLA SALUTE

‘Tu sei di speranza fontana vivace’

Carissimi amici,
siamo qui grati. Anzitutto sono grato io a voi – e alla Madonna ancor di più – che ci da questa bella occasione di stare insieme, in questa splendida dimora che il nostro popolo ha voluto per lei. Ma, soprattutto, sono grato per la fedeltà con cui ogni anno il nostro popolo riafferma questa festa nel suo valore per tutta la nostra Venezia di terra e di mare, venendo qui a sciogliere il voto a Maria, cioè a consegnarsi di nuovo a Lei, come facciamo noi questa sera.

Siamo qui per un diritto – vi sorprenderete, anche se la parola è spesso abusata: tutti oggi parliamo di diritti, assai meno di doveri. Siamo qui per un diritto che il Papa a Toronto, parlando proprio ai giovani, ha definito in modo eccezionale e singolare, con un’espressione di cui normalmente nessuno parla: ‘siamo qui per un diritto alla felicità’. Ognuno di noi è qui per questo, indipendentemente dal modo con cui è venuto qui. Adesso è qui perché ha un diritto alla felicità.
Ma da dove può venire un simile diritto? Viene dal desiderio che tu non puoi strapparti dal cuore, che nessuno di noi può togliersi di dosso, nessuno: il desiderio di felicità, cioè di compimento. Lo abbiamo sentito nel Vangelo, Gesù lo dice prima di consegnarsi definitivamente al Padre, sia pure nella forma terribile di quella morte, tanto più ignominiosa quanto più era riferita all’innocente per eccellenza. Abbiamo dentro un desiderio di infinito, abbiamo nel cuore un desiderio così potente di durare sempre, che nulla possa fermare, che diventa un diritto la felicità. Chi ci ha messo questo desiderio nel cuore? O è un Padre – o è Dio – o è un ingannatore! Se abbiamo questo desiderio di felicità, lo reclamiamo come un diritto, perché altrimenti non avrebbero dovuto mettercelo nel cuore. Invece sorge indomito: se alla mattina ti alzi e riattacchi, è per questo desiderio di infinito; se affronti la fatica dell’università, della scuola, del lavoro è per questo desiderio di infinito; se affronti il duro dei rapporti con i genitori o con gli amici, con la ragazza o il ragazzo, è per questo desiderio di infinito. Questo desiderio che è come la stoffa del tuo cuore, ti da il diritto alla felicità. Se non fosse così noi non saremmo figli di un Padre. E lo siamo invece e siamo qui da Maria per questo.
Certo, a questo diritto alla felicità ci sono tanti aspetti della nostra vita, della vita degli uomini, della vita della società in cui siamo, che sembrano opporsi: c’è il male nel mondo. A questa ingiustizia che sembra opporsi al diritto di felicità che ho nel cuore, noi rispondiamo, come ha detto il Papa a Toronto, riconoscendo che ‘il mondo ha bisogno di essere toccato e guarito’.
Ma – e col passare degli anni ve ne accorgerete sempre di più – non sarà soprattutto il pur devastante male che vediamo nel mondo, nelle sue sempre più macroscopiche, evidenti manifestazioni a diventare un’obiezione a questo diritto alla felicità, lo sarà molto di più il male che è in noi, che viene da noi e che noi chiamiamo peccato. Lo sarà molto di più il percepire che non sappiamo e non vogliamo amare quelli che pure ci sono dati; che non sappiamo e non vogliamo fino in fondo lavorare, cosa che pur in un certo senso cerchiamo con tutte le nostre forze. Qui abbiamo proprio bisogno che la nostra libertà sia liberata – come ci siamo detti a Toronto – che sia riconciliata, che sia mossa al perdono.
Allora come è possibile realizzare questo diritto alla felicità di fronte all’esperienza del male? Non occorre che vi faccia esempi: fuori o dentro di sé, ognuno la tocca con mano. Come è possibile? Eppure noi sentiamo che la domanda di felicità è così imponente, che non si ferma neanche di fronte all’esperienza del male, riaffiora tutte le volte come non dominabile perché, riprendendo un’altra bellissima affermazione del Santo Padre a Toronto, ‘noi non siamo la somma delle nostre debolezze e dei nostri tradimenti, siamo molto di più di questo’. C’è come un nucleo resistente, come un centro di diamante duro, solido come questa stupenda Basilica, forte e ben radicato al cuore della nostra libertà, che tutte le volte ci rilancia verso l’infinito e riaccende il desiderio di felicità nonostante il male.
Come possiamo realizzare questo desiderio? Guardiamo a Maria, Madonna della Salute. Per questo siamo qui. Non a caso qualcuno ci ha convocato. Una presenza viva ci ha convocato: una Madre, la Madonna della Salute. Come dice la grande preghiera con la quale domani mattina scioglieremo il voto a nome di tutto il nostro popolo, Maria ci propone Gesù come medico dei corpi e delle anime. Ed è per questo medico che da secoli noi veneziani veniamo qui per questa festa. Medico dei corpi e delle anime: tu hai qualcuno a cui puoi affidare tutte le tue debolezze, quelle fisiche e quelle morali, tutte le tue tristezze, le tue fatiche, quelle che ti sorprendono a tradimento, soprattutto alla tua età, le incomprensioni che subisci, le umiliazioni. Ma non come a un rifugio magico. Come Maria ci documenta che il figlio suo Gesù è medico dei corpi e delle anime? Innanzi tutto riconoscendo, in un confronto appassionato con il Mistero stesso, con l’Infinito stesso, che nulla è impossibile a Dio.
Voglio che consideriate – magari in questa settimana, magari prima di Domenica, magari prima di Natale, riprendendo in mano il Vangelo dell’Annunciazione di Luca (cfr. Lc 1, 26-38) – con quanta capacità critica Maria affronta il paragone con il Dio infinito quando Egli le manda l’angelo nell’annuncio. Badate che Maria era una ragazza di 17 anni! Mi viene in mente all’improvviso di ricordarvelo, perché noi tenderemmo a guardarla in modo astratto. Noi siamo i figli della cultura astratta – anche le immagini che ci bombardano possono essere il massimo di astrazione – e ci dimentichiamo le cose elementari della vita: il mangiare, il bere, il correre, il guardare, il contemplare, il dare la mano all’amico! Dunque Maria era una ragazza più giovane della maggioranza di voi che siete qui. Andate a rileggere quel dialogo di Luca: in tre passaggi Maria esprime l’intelligenza critica del giudizio, nel paragone con l’eterno, con l’infinito che le è messo davanti dall’angelo, quando lui la saluta in un modo così strano. Dice l’evangelista ‘si domandava che senso avesse tale saluto’.
Quante volte ti poni la domanda del senso durante la tua giornata? Mentre vai a scuola, mentre torni, mentre sei all’università, mentre studi Cartesio o risolvi un’equazione… Quante volte ti poni la domanda del senso quando la tua ragazza ti guarda storto? Quante volte ti poni la domanda del senso, senza scopiazzare le opinioni che senti da noi vecchioni o senti propagandare da tutte le televisioni, cercando tu con la tua libertà, con la tua testa, con il tuo cuore, con le tue energie, cercandolo tu il paragone di fronte a ciò che di tragico capita nel nostro mondo? Maria, dice l’evangelista, ‘si domandava che senso avesse un tale saluto’. E quando l’angelo le comunica l’impossibile, che dovrà avere un figlio, obietta ‘Come è possibile? Non conosco uomo’, e quando si trova di fronte all’affermazione esplicita della potenza di Dio, allora, siccome a Dio nulla è impossibile, dice il suo sì, estrema punta della sua intelligenza commossa, estrema punta della capacità critica di un uomo: dire sì a Dio.
Ecco la grande strada per il compimento del diritto alla felicità: incominciare dicendo sì a Dio. Ecco il punto di partenza per quella riuscita dell’io, per quella consistenza di cui abbiamo parlato. Maria è una donna riuscita: ha realmente compiuto il diritto alla felicità, lo abbiamo visto questa sera meditando quel brano fantastico, anche se drammaticissimo, del Santo Vangelo, in cui nel momento finale, appeso alla croce, con l’ultimo residuo delle sue forze, Gesù genera quell’amicizia di cui noi siamo la continuazione in senso fisico, quando dice a Maria, presentando Giovanni ‘Ecco tuo figlio’ e a Giovanni presentando Maria ‘Ecco tua madre’ (cfr. Gv 19, 25-27).
In questo modo allarga i rapporti naturali della carne e del sangue, allarga la parentela naturale alla fraternità, alla sororità, alla maternità, alla paternità che ognuno di noi ha verso l’altro che è qui con noi questa sera: nasce la parentela cristiana, nasce fino in fondo e compiutamente la Chiesa. E il ‘tutto è compiuto’ della morte del Crocifisso risorto, si condensa ormai in quella comunità, in quella fraternità che permane sulla terra e che ininterrottamente da allora coinvolge uomini e donne a tutte le latitudini e a tutte le longitudini, per cui noi siamo fisicamente l’anello oggi vivente di questa lunga e ininterrotta catena. In Cristo siamo fratelli di Giovanni, siamo figli di Maria, in maniera concretissima; tant’è vero che il Vangelo dice che Giovanni la prese in casa sua: nasce una nuova dimensione di famiglia. Maria è una donna riuscita.
Per questo con molta genialità i vostri amici più grandi hanno intitolato il gesto di questa sera con quel bellissimo e dolcissimo verso di Dante ‘Tu se’ di speranza fontana vivace’: vivace, permanente, inesauribile, perché guardando a lei tu sai questa sera che il diritto alla felicità non è un’astrazione, ma è possibile. Tant’è vero che se siamo qui, questo sta capitando adesso anche a te. Questo diritto alla felicità si sta attuando adesso per te; il Padre nostro che è nei cieli si prenderà tutto il tempo che Lui sa. E’ possibile seguire Cristo, è possibile vivere di Lui. Non solo: è conveniente seguire Cristo, è conveniente vivere di Lui. Non solo: è affascinante seguire Cristo, è affascinante vivere di Lui, come Maria ci fa vedere riconoscendosi, per usare l’altra bellissima espressione di Dante,’figlia del suo figlio’. Pensate che cambiamento deve essere avvenuto in questa ragazza! Cercate il senso di questo gesto: la madre che si fa figlia del suo Figlio in vista del suo e dell’altrui compimento.
Nonostante il male del mondo, nonostante le nostre debolezze, il diritto alla felicità è realistico se guardi alla ‘fontana vivace’ della speranza.

Ci sono due condizioni:
La prima: come faceva Maria a stare, trafitta e lacerata, sotto la croce? Stabat Mater dolorosa. Da dove le viene la forza dello stare? Stare: con-sistere, riuscita. Felicità è uno stare, ripeto, come la solidità dello stare di questa stupenda opera del Longhena. In forza di che cosa Maria sta lì sotto la croce, così che dalla croce, dallo strazio della croce, nasce la vita della nuova parentela? In forza della fedeltà al suo sì.
Cosa diventa per me, per te, se cerchiamo il senso delle cose, questa fedeltà? Diventa la fedeltà a questa nuova parentela, la fedeltà al luogo, alle persone, ai volti concreti, alla comunità cristiana nell’espressione concreta attraverso la quale tu hai incominciato a intravedere il fascino della vita: la verità di Cristo. Guai se non sei fedele! Amici, la nostra società ha bisogno di comunità, gruppi, associazioni, movimenti, dall’appartenenza forte, in cui uomini e donne, ragazzi e ragazze che cercano fino a questo livello la felicità, siano capaci di legami più solidi di quelli con il papà, con la mamma e con i fratelli. Più solidi perché hanno in comune Gesù Cristo.
La seconda condizione è il rischio del confronto con tutta la realtà, lì dove ti sfida, a partire dall’ambiente. I tuoi amici occupano: è bene o non è bene? E’ giusto o non è giusto? Tu che sei cristiano cosa dici di questo? Lo fai, non lo fai, perché lo fai? Taluni di voi sono andati al Social Forum di Firenze: è giusto, non è giusto, perché? Cosa c’entra Cristo con questo? È un puro accessorio, lasciato alle spalle, o è una ragione per? Paragona il tuo diritto alla felicità nella compagnia. Ma il tuo diritto esige il tuo paragone, come Maria ‘si domandava che senso avesse’, ‘come è possibile?’. Il paragone soprattutto là dove sei più sfidato, soprattutto nel tuo ambiente dove passi le ore maggiori del giorno. Il professore ti spiega Hegel e tu ti domandi: che cosa c’entra? Il paragone con questo. Il paragone incessante.
L’appartenenza alla comunità vissuta con fedeltà. La fedeltà all’origine e il paragone.
Certo conosciamo la nostra fragilità, questo ci sembra così difficile da apparire impossibile: ma come facevamo da bambini quando volevamo l’impossibile? Domandavamo! L’uomo che ha capito il senso della sua libertà è un mendicante, è uno che domanda, è uno che non ha paura di domandare.

Voglio concludere questo momento comune di ricerca del senso del gesto che abbiamo compiuto, che si collega e ci fa fare un passo rispetto alla curiosità di Zaccheo, o rispetto alla ‘libertà liberata’ di Toronto e ci spalanca verso l’essere ‘Liberi davvero’ del momento della Festa di Maggio che ci attende, voglio spiegarvi cos’è questa mendicanza traducendovi le parole di un bellissimo canto che il popolo brasiliano fa andando in pellegrinaggio al grande Santuario della Madonna della Aparecida. Si intitola ‘Romaria’, che vuol dire pellegrinaggio e parla di un uomo vissuto, che le ha viste tutte nella vita e che si rivolge alla Madonna dicendo ‘Signora dell’Aparecida (noi potremmo dire Madonna della Salute) illumina l’oscuro fondo della mia vita. Mio padre era un contadino di un paese sperduto del nord est, mia madre era la solitudine, i miei fratelli si sono perduti cercando l’avventura, io ne ho fatte di tutti i colori: sono divorziato, ho giocato, sperperato, ho investito, poi ho abbandonato tutto. Se esista la fortuna, io non lo so, ma non l’ho mai vista. Mi hanno detto però di venire qui; di venire qui in pellegrinaggio; di venire qui per chiedere la pace sulle mie ferite; di venire qui per invocare pace sulle mie disavventure; di venire qui a pregare. Ma io non so pregare! Allora sono venuto solo per mostrarTi il mio sguardo’. L’inno lo ripete tre volte ‘meu olhar’, ‘meu olhar’, ‘meu olhar’: ‘il mio sguardo’, ‘il mio sguardo’, ‘il mio sguardo’.

Metti qui il tuo sguardo adesso, mentre pregheremo per pochi minuti, davanti alla Madonna, anche se non hai parole nel cuore, anche se sei stanco, anche se sei contrariato: non fa nulla! Se non sai pregare, metti davanti a lei semplicemente il tuo sguardo. Questa è la mendicanza che rende possibile l’impossibile diritto alla felicità.