Religioni insieme in dialogo e preghiera per la pace
Palasport ‘Primo Carnera’
Udine
11 dicembre 2007
Le religioni per la giustizia e per la pace
Card. Angelo Scola
Patriarca di Venezia
«Dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1, 79): questo versetto del Vangelo (Benedictus), che i cristiani recitano, nella preghiera, ogni mattina, parla da solo. Quando si tratta di ‘pace’ l’uomo è chiamato a mettersi in cammino, esponendosi in prima persona.
Non bastano, infatti, né i discorsi, né le buone intenzioni. Non basta neppure un’accurata e necessaria analisi della situazione geo-politica mondiale, tesa ad individuare le cause e le responsabilità della violenza e della guerra.
Ognuno di noi sa per esperienza personale diretta che l’esatto contrario della pace è la violenza. E la violenza scaturisce dal fatto che noi anche quando conosciamo il bene scegliamo spesso il male (come sono vere le parole di San Paolo: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» Rm 7, 19)! Ognuno di noi inoltre si rende ben conto, sempre per esperienza personale, in quante e quali forme di violenza l’uomo può cadere. Basti pensare a quella forma subdola di violenza che spesso pratichiamo nel vivere i nostri affetti quotidiani.
Per parlare della pace noi cristiani partiamo da questo livello personale, dal male che è in noi e nell’uomo, che ammorba le persone, i gruppi ed i popoli generando violenza. Per mettersi sulla via della pace è necessario partire da qui. Con realismo, evitando il rischio di inseguire una pace astratta, impossibile, il rischio di cedere alla tentazione di sostituire la realtà della pace con una teoria della pace fabbricata a tavolino.
Oggi corriamo questo grave rischio almeno in due modi.
Il primo modo è quello di sottovalutare la complessità dei conflitti che nel mondo globale coinvolgono sempre tutti i popoli e le nazioni, indipendentemente dai luoghi in cui scoppiano. Ogni attentato alla pace è un attentato contro tutta l’umanità. Ma proprio per questo bisogna evitare di cadere in semplificazioni ‘fuorvianti’, presumendo di potere e sapere sempre distinguere nettamente il campo dei ‘buoni’ da quello dei ‘cattivi’, come se la terribile battaglia per la pace non passasse dal cuore di ogni uomo e di ogni popolo. Questa posizione radicalizza il conflitto e rende più difficile il sempre necessario ricorso al dialogo e al negoziato. Come non scorgere in questa tentazione semplificatrice un certo rispuntare, sotto nuove spoglie, di quelle ideologie che così tragicamente si sono scontrate e hanno funestato il Novecento? Una pace così intesa è fuori dalla realtà e può ridurre anche l’impegno più generoso a slogans ossessivamente gridati e ripetuti, a mera manifestazione esteriore.
Ma c’è un secondo rischio non meno insidioso: quello di sacrificare la pace ad una visione che si vuole ‘realistica’ (di Realpolitik), che giunge ad accusare quanti alzano la loro voce in difesa della pace e non si rassegnano mai alla violenza, alla guerra e al terrorismo di essere vittime di una grande ingenuità. Si dice allora che la guerra è un male inevitabile o che gli uomini-bomba sono martiri. O si conclude con scetticismo, in maniera irresponsabile, che ‘la pace non è possibile‘, quando non si arriva ad affermare, non senza una punta di cinismo: ‘la guerra è doverosa‘. Anche qui è all’opera l’ideologia.
Contro questo duplice rischio l’impegno di tutti gli uomini delle religioni, così come quello degli uomini di buona volontà, deve perseguire, con vigore e con rigore, una pace ordinata. Lo insegnò, quarant’anni fa, nell’enciclica Pacem in terris, il nostro amato Beato Giovanni XXIII: la pace «è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani » (Pacem in terris 20).
Si tratta di un principio immediatamente riconoscibile da parte di tutti e, soprattutto, assolutamente alla portata di ciascuno di noi. Questo ordine esige il riconoscimento del primato della persona che è sempre inserita in un popolo. Questo ordine della pace fondato sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà può e deve diventare il criterio quotidiano di ogni nostra relazione: in famiglia come sul lavoro, nei luoghi della convivenza sociale e politica, a livello nazionale come a livello internazionale.
I cristiani, insieme agli uomini delle religioni e a tutti gli uomini di buona volontà, vogliono percorrere senza stancarsi la via di questa pace ordinata, libera dalle ideologie. È una via ardua. È come camminare sulla cresta della montagna sospesi tra due burroni (ideologia e Realpolitik). Ma di questa pace i cristiani intendono essere testimoni
«A voler guardare le cose a fondo ‘ diceva il Servo di Dio Giovanni Paolo II – si deve riconoscere che la pace non è tanto questione di strutture, quanto di persone. Strutture e procedure di pace ‘ giuridiche, politiche ed economiche ‘ sono certamente necessarie'[ ma ] non sono che il frutto della saggezza e dell’esperienza accumulata lungo la storia mediante innumerevoli gesti di pace’ Gesti di pace nascono dalla vita di persone che coltivano nel proprio animo costanti atteggiamenti di pace. Sono frutto della mente e del cuore di ‘operatori di pace’ (Mt 5, 9). Gesti di pace sono possibili quando la gente apprezza pienamente la dimensione comunitaria della vita, così da percepire il significato e le conseguenze che certi eventi hanno sulla propria comunità e sul mondo nel suo insieme. Gesti di pace creano una tradizione e una cultura di pace» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1 gennaio 2003, n. 9).
Un fondamentale gesto di pace a cui noi oggi, qui insieme, come ‘operatori di pace’ (Mt 5,9) ci impegniamo è la collaborazione di tutti gli uomini delle religioni in difesa della libertà di coscienza e, in particolare, della stessa libertà religiosa, massima espressione del sistema organico dei diritti fondamentali dell’uomo. Nella tutela del diritto di ogni uomo a praticare la propria religione – che implica, nello stesso tempo, il dovere di obbedire alla propria coscienza adeguatamente formata dalla verità ‘ è possibile individuare un campo di stretta collaborazione tra tutti gli uomini religiosi, anche con quanti, in buona coscienza, affermano di non poter credere.
Ciò implica il dovere di custodire la verità dell’esperienza religiosa contro qualsiasi pretesa ideologica e contro qualsiasi rischio di strumentalizzazione delle religioni. È una urgenza particolarmente acuta nei nostri giorni. Così come è necessario che la nostra fede purifichi le nostre pratiche religiose per meglio mostrare che sono al servizio di tutti gli uomini.
Operatori di pace si diventa. La pace effettiva è un compito che ogni giorno ci sta davanti. La pace ordinata chiede a tutti gli uomini e a tutti i popoli un lavoro di costruzione paziente, che incomincia dal pregare Dio per la pace. Qui davanti a voi oggi io porto l’impegno dei cristiani a seguire l’invito rivolto da Benedetto XVI con il Messaggio per la Giornata della Pace 2007: «Ogni cristiano si senta impegnato ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. Grato al Signore Gesù (vero Dio e vero uomo) per averlo chiamato ad appartenere alla sua Chiesa’ il cristiano’ sentirà la fierezza di servire con generosa dedizione la causa della pace, andando incontro ai fratelli, specialmente a coloro che, oltre a patire povertà e privazioni, sono anche privi di tale prezioso bene. Gesù ci ha rivelato che ‘Dio è amore’ (1Gv 4,8) e che la vocazione più grande di ogni persona è l’amore»[1].
Come cristiani delle terre del Nordest, qui riuniti insieme agli uomini delle religioni e a tutti gli uomini di buona volontà, rinnoviamo la nostra decisione di essere ‘coraggiosi edificatori di pace’.
[1] Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace, 1 gennaio 2007, n. 16.