"La visita pastorale evento diocesano": istruzione del Patriarca ai presbiteri e ai diaconi della diocesi (Venezia, 29 settembre 2005)
29-09-2005

LA VISITA PASTORALE: EVENTO DIOCESANO

ISTRUZIONE AI PRESBITERI E AI DIACONI DEL PATRIARCA CARD. ANGELO SCOLA

1. L’affascinante forza dello Spirito
L’inizio di quest’anno pastorale è segnato dagli straordinari eventi che abbiamo vissuto come Chiesa universale e come comunità diocesana nel primo semestre del 2005.
Non possiamo, infatti, dimenticare l’impressionante manifestazione di fede di popolo cui abbiamo assistito e partecipato durante i giorni dei funerali del Servo di Dio Papa Giovanni Paolo II. La sua morte gloriosa è stata culmine di una vita esemplare ed è per noi vera caparra di risurrezione.
La consapevolezza personale e comunitaria dell’immenso dono costituito dalla fede è stata rafforzata dall’elezione di Benedetto XVI che, come ha detto con acume il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Cardinal Camillo Ruini, ha già mostrato «il suo peculiare carisma di tenere insieme apertura universale e identità cattolica, testimonianza limpida ed integrale della verità di Cristo e dolcezza dell’amore fraterno, secondo le parole della Prima Lettera di Pietro (1 Pt 3, 15): ‘adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’ con dolcezza e rispetto’» .
La celebrazione della Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia, cui hanno preso parte direttamente più di 130.000 giovani italiani (1000 giovani della nostra Diocesi) è un importante segno di lieta speranza per l’Europa e non solo.
Anche ai nostri giorni, nella vicenda umana del popolo cristiano, al di là delle nostre insicurezze, delle nostre debolezze, dei nostri peccati emerge così, ancora una volta, con affascinante e tenera forza, la presenza e l’azione dello Spirito del Risorto in mezzo a noi. Con molta finezza lo osservava lo stesso Santo Padre rivolgendosi ai giovani convenuti a Marienfeld per la grande veglia del sabato sera: «In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni» .
Una benefica sorpresa che suscita stupore, si è concretamente manifestata anche qui tra noi. La Chiesa come spazio di comunione e di unità ha trovato, in un certo senso, un luogo paradigmatico nell’Assemblea Ecclesiale del 10 aprile 2005. Soprattutto in forza dell’impegno testimoniale di parrocchie ed aggregazioni essa è stata un reale evento di grazia e di bellezza.
Alla fine dell’Assemblea ho potuto firmare la Lettera di indizione della Visita Pastorale ‘Oggi devo fermarmi a casa tua. In fretta scese e lo accolse con gioia’. Risulta così a tutti manifesta, in modo speciale a noi presbiteri secolari e regolari e diaconi la natura di evento diocesano propria della Visita pastorale.

2. La Visita Pastorale: un evento diocesano
Affinché queste affermazioni non restino senza un preciso contenuto, è utile, alla ripresa dell’azione pastorale, soffermarci insieme su che cosa significhi la Visita pastorale del Patriarca e dei suoi Vicari come evento diocesano.

a) Evento, non ‘prodotto’
La prima caratteristica di un evento è il prevalere in esso del carattere di sorpresa. L’evento ‘accade’, imprevisto. Non è primariamente la conseguenza di una serie di meccanismi preordinati e predecisi. Un evento non è un prodotto.
Forse ci potrà aiutare a capire meglio la differenza fra evento e prodotto rileggere un passaggio di un noto romanzo di Chesterton, Il Napoleone di Notting Hill: «’Nulla mi è mai accaduto’ disse Barker’ Voi non sapete che cosa sia una cosa che vi accade. Vi sedete al vostro tavolo aspettando i clienti, e i clienti vengono; passeggiate per la via aspettando degli amici, e incontrate i vostri amici. Volete bere, e bevete; avete voglia di parlare, e parlate; vi attende il guadagno o la perdita, e guadagnate o perdete. Ma le cose che accadono!’ – esclamò egli, e non poté fare a meno di rabbrividire. ‘Continuate’ – disse Buck seccamente – ‘continuate’. ‘Mentre ci trascinavamo per quelle vie tortuose, accadde qualche cosa. Quando accade qualche cosa, prima accade e poi ve ne accorgete. Accade da sé e voi non potete fare nulla’» .
Un evento è tale perché mi sorprende, perché in qualche modo ‘eccede’ ogni mia previsione: irrompe nella mia vita, nel ritmo quotidiano del mio lavoro e del mio riposo, dei miei affetti e mi provoca ad un qualche cambiamento. Ultimamente non è riconducibile a quanto sapevo e vivevo già prima. Pensiamo, ad esempio, alla nascita di un figlio in una famiglia. Anche se atteso e desiderato per nove mesi, l’evento della sua nascita impone comunque la propria eccezionalità, sbaragliando tutto quanto c’era prima ed urgendo ad un cambiamento radicale (basti pensare allo sconvolgimento imposto ai ritmi del sonno provocato dai bisogni del neonato..!).
Di che cosa è segno questa natura imprevedibile e affascinante dell’evento che provoca stupore in chi lo vive da protagonista? È segno della radice più profonda di tutto il reale. Esso è dono. La gratuità è la vita del Mistero stesso. In ultima analisi il reale è il dono gratuito che scaturisce dal reciproco amore trinitario.
La Visita pastorale come evento è innanzitutto una manifestazione di gratuità. E più precisamente di quel Dio vivente e personale, che si rivolge a ciascuno di noi e, come abbiamo ascoltato nel brano del Libro dei Proverbi, ci invita a condividere la Sua tavola imbandita: «’Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato’» (Pr 9, 5).
Il pane e il vino della Sapienza prefigurano l’evento della Santa eucaristia che attraversa la storia per permettere ad ogni uomo di ogni tempo di accogliere il dono gratuito del Crocifisso Risorto che viene al suo incontro.
È per questo che il centro della Visita Pastorale sarà la celebrazione eucaristica presieduta dal Patriarca insieme ai sacerdoti e ai diaconi in ogni comunità parrocchiale. Essa costituirà la garanzia oggettiva della natura di evento della Visita Pastorale. In vista di questa rinnovatrice azione eucaristica sarà nostra premura richiamare con vigore i nostri fedeli ad una maggior partecipazione alla Santa Messa domenicale e feriale. Rinnovo a tutti l’invito ad una celebrazione eucaristica una volta la settimana per tutti i responsabili delle varie associazioni, attività ed iniziative che operano in parrocchia. Questo ai fini dell’intensificarsi della comunione che potrà essere sostenuta anche da un sobrio e completo scambio di comunicazioni ed avvisi. Insisto inoltre sull’importanza dell’Adorazione eucaristica e della Visita al Santissimo Sacramento. Sono molto grato agli evangelizzatori e catechisti che hanno offerto al Patriarca un ostensorio artistico che passerà di comunità in comunità lungo tutta la Visita Pastorale.

b) L’evento provoca al cambiamento
Il test che consente di distinguere un evento da un prodotto è dato dalla capacità dell’evento di provocare o almeno suscitare un cambiamento da subito. Le parole provocare e suscitare sono usate in modo mirato perché lasciano tutto l’insindacabile spazio dovuto alla libertà di ciascuno di noi. La natura propria dell’evento è quella di accadere senza chiederci il permesso e tuttavia l’evento quando accade ci chiama direttamente e personalmente in causa! In un certo senso accade senza di noi, ma accade sempre e solo per noi. L’evento ha come interlocutrice la libertà dell’uomo: la urge a muoversi, a decidere, ad aderire o a rifiutare!
Per questo non vogliamo che la Visita Pastorale si riduca ad iniziative magari eccezionali ma ultimamente esteriori ai soggetti vitali concreti, personali e comunitari, che vivono in modo capillare sul territorio e negli ambiti dell’umana esistenza del Patriarcato. Per questo non intendiamo ‘preconfezionare’ un modello di Visita Pastorale da ripetere in ogni comunità del Patriarcato.
Alla ripresa dell’anno pastorale possiamo quindi porci la domanda: quale cambiamento domandiamo allo Spirito per le nostre comunità attraverso l’evento della Visita Pastorale? Perché è solo il dono dello Spirito che può rinnovare in noi lo stupore grato ed affascinato davanti al Risorto che ci viene incontro nella concretezza della nostra vita. È lo Spirito che ci mette e rimette insieme e ci fa riconoscere come membra di un unico Corpo, il popolo di Dio. La risposta non può che essere: ‘Spirito di Cristo rendi noi tuoi fedeli più consapevoli del dono del nostro battesimo e più maturi nell’aderirvi’. Questa è, infatti, la sintesi delle quattro finalità della Visita Pastorale: a) rigenerare il popolo cristiano attraverso comunità dell’appartenenza forte; b) approfondire il pensiero di Cristo (cultura); c) educare al gratuito (carità); d) spalancare alle dimensioni del mondo (missione).
Sia la lectio magistralis ‘Voglia di vita’ in occasione dell’Assemblea Ecclesiale, sia la Lettera di indizione, che altro non sono che una prima sintesi delle testimonianze e delle esperienze in atto nel Patriarcato, offrono gli spunti necessari per descrivere questo cambiamento: riprendiamo con umiltà la loro lettura insieme a quella delle testimonianze ed aiutiamo le nostre comunità a comprendere questi testi.
Voglio, in proposito, raccomandare un altro prezioso e decisivo strumento: il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Come ho detto lo scorso sabato agli Evangelizzatori ed ai Catechisti, vi prego di farlo diventare, nel contesto del Catechismo della Chiesa Cattolica e degli strumenti catechistici della Conferenza Episcopale Italiana, un punto di riferimento per la formazione di tutti i fedeli, promovendone la diffusione in particolare fra i catechisti, soprattutto per i genitori dei fanciulli dell’iniziazione cristiana, dei fidanzati, dei responsabili di gruppi, associazioni e movimenti,
Leggetelo con loro!

c) Un evento si comunica attraverso un altro evento
Il carattere di evento proprio della Visita Pastorale non vuole far altro che riproporre capillarmente – l’universale della Chiesa, infatti, si comunica attraverso il particolare – in tutto il Patriarcato la natura propria della comunità cristiana. Questa, infatti, è chiamata ad essere innanzitutto un evento, cioè un ambito vitale fisicamente identificabile a cui poter invitare gli uomini e le donne che ogni giorno incontriamo: ‘Vieni con me a vedere, vieni con me a condividere la vita della comunità’. Con questa naturalezza si trasmette l’incontro con il Risorto di cui ciascuno di noi è co-agonista. Solo così le nostre parrocchie lasceranno trasparire sul loro volto Gesù Cristo, luce delle genti. Solo così lo stupore ruberà ogni giorno terreno al terribile nemico, la noia, che, purtroppo, non risparmia neanche noi e le nostre comunità cristiane.

d) Evento ‘diocesano’
Perché la Visita Pastorale sia riverbero del gratuito dono di amore che è la Trinità stessa, perché provochi la libertà di ciascuno di noi e tutte quante le nostre comunità alla ‘metanoia’, perché rinvigorisca il carattere di evento di ogni comunità, essa chiede di essere, da subito ‘ sottolineo da subito – evento diocesano. Deve fin da ora riguardare tutte le comunità e tendere a coinvolgere tutti gli uomini che vivono e visitano il Patriarcato, indipendentemente da quando il Patriarca ed i suoi collaboratori visiteranno la tua parrocchia o vicariato. Infatti, per la logica della comunione, non c’è dono, non c’è cambiamento che accada in te, in me, in una comunità, che non coinvolga tendenzialmente tutti gli altri e tutte le altre comunità.
Il passo che il Lido o Marghera stanno compiendo sarà un dono e una provocazione per tutti gli altri vicariati. Per questo sarebbe sbagliato dire: ‘Penserò alla Visita Pastorale quando toccherà al mio vicariato’. L’evento diocesano riguarda la Tua comunità fin da ora.
Come è possibile questo concretamente? Proseguendo nel tentativo di far crescere tra noi la logica della testimonianza reciproca. Raccontarsi per riconoscersi. Lo dovremo fare tenendo conto dei limiti rilevati nelle pur importanti testimonianze proposte in vista della Assemblea Diocesana. Anzitutto un buon numero di parrocchie non aveva potuto o non era riuscita ad esprimersi. In secondo luogo le testimonianze comunitarie erano assai limitate. Infine mancavano, in maniera marcata, testimonianze riferite agli ambienti di vita o attente ai tratti della località della nostra Chiesa. Questo lavoro deve quindi essere ripreso con vigore: la testimonianza infatti è la via maestra della partecipazione nella Chiesa, quindi è la carne della comunione cui la Parola di Dio, i sacramenti, il regimen communionis e l’autorità del Papa e dei vescovi assicurano indefettibilmente lo scheletro.

3. Una condizione imprescindibile: l’ascolto
La Visita Pastorale come evento e come evento diocesano domanda quindi a persone e a comunità di raccontarsi per riconoscersi come testimoni, cioè come ponte tra Gesù Cristo ed il fratello. Qual è la condizione essenziale per assumere e perseverare in questo elementare ma spesso rimosso atteggiamento?
Ritorniamo al brano evangelico che abbiamo appena proclamato. Nell’incontro del Risorto con i due discepoli in cammino verso Emmaus abbiamo una documentazione straordinaria di questa condizione. Mi riferisco all’esperienza decisiva autentico ascolto (cfr. Lc 24, 13-33), questa dimensione insostituibile non solo della vita cristiana ma della vita tout-court ho avuto modo di parlare a Borca di Cadore. Mi limito qui a riprendere qualche tratto di quella riflessione cui mi permetto di rinviare.
Nello stupendo brano di Luca l’ascolto incomincia dallo stesso Gesù. Egli «in persona si accostò e camminava con loro (‘) E disse loro: ‘Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?’» (vv. 15-17). L’incontro con i discepoli ha inizio nel chinarsi misericordioso del Risorto che si accosta a loro e li ascolta. È come il riverbero di quell’evento di eterno e reciproco ascolto che è la stoffa della Trinità stessa. L’ascolto di Gesù non è dettato da strategia o dal calcolo, quasi fosse una sorta di captatio benevolentiae. Egli si mette in ascolto dei due discepoli perché li vuole incontrare. Quale insegnamento per la nostra Visita Pastorale e per la nostra azione pastorale in genere!
Così la nostra Chiesa è sollecitata dalla Visita Pastorale a mettersi in ascolto di tutti i fratelli uomini che camminano insieme a noi. «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?»: potrebbe essere la domanda dei cristiani, desiderosi di riconoscere la voglia di vita che abita il cuore di ogni uomo e di ogni donna del nostro tempo. Una voglia di vita, un desiderio di libertà più forte e più vero della confusione con cui non di rado vengono espresse o addirittura rivendicate. Senza questa disponibilità all’ascolto da parte di tutti noi, la Visita Pastorale difficilmente potrà essere un vero evento. Non può riprodurre la logica dell’evento di Cristo che si evince dall’incarnazione (cfr. Fil. 2, 1-11).
«Alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto» (Lc 24, 22-24). I due di Emmaus tornavano mesti perché non avevano ascoltato le donne. O meglio pensavano di averle ascoltate ‘ di fatto sono in grado di ripetere ciò che esse hanno detto ‘ ma senza dar fiducia alla loro testimonianza. L’ascolto, infatti, richiede la disponibilità a recepire ciò che l’altro mi confida, a far propria la consegna che l’altro fa di sé senza mettere davanti obiezioni a priori. Del resto la ‘critica’ non può precedere l’ascolto, perché cesserebbe di essere critica. Si tratta di fare realmente (e non solo formalmente) spazio all’altro dentro di sé per poterlo ospitare. Ospitare l’altro, ospitare il reale è condizione imprescindibile per comprendere e per instaurare il vero paragone critico che consente di assimilare e perciò di imparare.
L’ascolto pertanto esige un’autentica ascesi: non a caso è una dimensione tendenzialmente assente nella nostra società, sempre più incapace di riconoscere la relazione io-tu (penso soprattutto all’incapacità di riconoscere la differenza sessuale come costitutiva dell’esperienza elementare). Noi normalmente, quasi istintivamente, privilegiamo il pre-giudizio (nel senso etimologico, non mi riferisco necessariamente ad un giudizio negativo) nei confronti dell’altro che ci parla rispetto alla consegna che l’altro fa di sé. E così il nostro ascolto non è fino in fondo tale: come la pioggia che batte contro il vetro senza scalfirlo, o come quando i bambini giocano a pallone contro un muro’ L’impatto c’è, eppure non riesce a coinvolgere, a mobilitare.
Qual è invece il segno di un vero ascolto? Il Vangelo di Luca lo fa emergere chiaramente: «Egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: ‘Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino» (Lc 24, 28-29). I due di Emmaus, sorpresi dall’evento di una presenza riescono, sia pur in seconda battuta, ad ascoltare. Confusamente ma attivamente esprimono il loro desiderio di condividere la fine della loro giornata con il forestiero incontrato sulla strada. Essi, alla fine, si sono lasciati coinvolgere. Per grazia e libertà il loro ascolto si fa sempre più acuto, fino al punto che riescono ad ‘ascoltare’ il segno dei segni, l’Eucaristia: «Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò è lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (Lc 24, 30-31). La vita dei due di Emmaus è stata fecondata dall’ascolto del Risorto. Egli si è loro compiutamente manifestato addirittura senza parole, nel segno più espressivo e, allo stesso tempo, più povero che ci possa essere: la frazione del pane.
La Visita Pastorale pone ciascuno di noi di fronte a questa alternativa: lasciarci fecondare nell’ascolto dall’evento che ci viene incontro oppure incapsularlo riducendolo nel nostro pur nobile progetto. È una questione ad un tempo ascetica e morale nel senso più elevato del termine. Lo è in particolare per il Patriarca, per i suoi collaboratori più diretti, per tutti i presbiteri ed i diaconi. Nell’autentico ascolto reciproco cresce la comunione.
Lo conferma la conclusione del brano evangelico: «E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane» (Lc 24, 33). Gli Undici ed i due di Emmaus si ascoltano reciprocamente, essi si raccontano a vicenda il loro incontro con il Risorto, come L’hanno accolto, i segni che Egli ha dato per farsi conoscere’ Uno scambio di testimonianze che esprime bene cosa intende essere la Visita Pastorale nel nostro Patriarcato.
Infatti l’ascolto vero che feconda, porta con sé il frutto del cambiamento. Ogni ascolto vero coinvolge la libertà e fruttifica nella testimonianza.
Questa dinamica di reciproca testimonianza è la sorgente di autentici rapporti di comunione ecclesiali. Essa infatti nasce dal riconoscimento dell’essere stati convocati dal Risorto e messi insieme come membra dello stesso Corpo, la Chiesa, per far insieme il cammino verso il compimento (la vita eterna). Ed il contenuto di questi rapporti si esprime nel reciproco raccontarsi il dono di vita nuova che il Risorto compie quotidianamente nella nostra esistenza. Senza censurare nulla, tenendo dentro tutte le fatiche e le difficoltà che realmente esistono e ci fanno inciampare, persino le obiezioni e i giusti rilievi critici espressi con carità giungendo, quando il Signore lo permette, fino all’umiliazione che, accolta nella logica della croce, diviene principio di risurrezione. Non a caso San Paolo descrive l’esistenza cristiana come un paradosso: «Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2 Cor 4, 8-10); «siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri; sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!» (2 Cor 6, 8-10).

4. Riconciliarsi per ascoltare
Tutti noi siamo consapevoli della difficoltà di un ascolto come quello descritto, che mi permetterei di chiamare, con un’espressione un po’ singolare, ascolto di fecondazione. Infatti il paradigma di questo ascolto, come ci insegna la Sacra Scrittura, è l’atto coniugale degli sposi. Eppure tutti sappiamo e abbiamo fatto esperienza che gli eventi che hanno cambiato la nostra vita ci hanno chiesto un ascolto di questo genere.
Potrebbe venirci addirittura il dubbio di non essere più capaci di un simile ascolto. Può la libertà ‘ emblema di tutta la nostra persona ‘ essere rigenerata e fatta di nuovo recettiva, capace di questa passività, come la chiamavano i Santi, come è profonda attività?
Lo può senz’altro: nel dono immeritato e sempre sovrabbondante della misericordia e del perdono del Padre.
In questo senso vorrei che alla fine dell’Anno dell’Eucaristia ci soffermassimo ancora una volta sul nesso inscindibile che lega il sacramento della Riconciliazione all’Eucaristia.
L’Eucaristia non può essere assolutamente confusa con una sorta di pratica di pietà dell’individuo o della comunità tesa a realizzare un proprio progetto di perfezione spirituale. Essa è l’avvenimento del Mistero Pasquale di Gesù Cristo che viene elargito sacramentalmente nell’azione liturgica della Santa Messa. Il rito eucaristico è l’azione della Trinità che, attraverso la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo incastonati nell’Ultima Cena nell’identificazione sacramentale con il pane e il vino consacrati, viene al mio incontro e chiama la mia libertà al coinvolgimento. Nella celebrazione rituale il dono eucaristico irrompe nel meccanico susseguirsi del tempo e dello spazio strappandogli la sembianza di morte e di annichilamento, e trasformandolo in sacramento dell’eterno.
Ma questo dono esige l’ascolto libero e perciò puro di cuore di ciascuno. Esige da ogni fedele disponibilità assoluta a lasciarsi coinvolgere.
Come è possibile allora pensare che un tale ascolto e una tale accoglienza possano essere un atteggiamento permanentemente a disposizione della mia libertà fragile e ferita? Solo se viene rigenerata, nella sua singolare individualità dalla misericordia. Chi di noi può misconoscere che solo l’accostarsi con fedeltà e regolarità al perdono sacramentale rigenera questa capacità di ascolto e di accoglienza? E come non riconoscere la necessità di ricevere questo sacramento attraverso l’accusa e l’assoluzione individuali efficacemente possibili solo nell’incontro della mia singolare libertà con quella di colui che, in quanto ministro, in persona Christi rappresenta la libera e misericordiosa iniziativa del Crocifisso risorto?
Forse nei confronti del sacramento della Riconciliazione tutti noi, fedeli e ministri, potremmo meritare questo rimprovero del Signore, attraverso il suo profeta: «Chi è sordo come colui al quale io mandavo araldi?» (Is 42, 19). La riconciliazione sacramentale è la medicina contro questa sordità da cui nessuno di noi è libero. Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica ricordava in proposito: «Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la conversione, la partecipazione all’Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice, verrebbe meno o, comunque, sarebbe in essa indebolita quella particolare disponibilità di rendere a Dio il sacrificio spirituale (logiké latreia), in cui si esprime in modo essenziale e universale la nostra partecipazione al sacerdozio di Cristo» .
Non facciamo mancare alle nostre comunità questo dono tanto prezioso quanto immeritato. Educhiamo anzitutto noi stessi ed i nostri fedeli a riceverlo con gratitudine e devozione. Per questo sono importanti le liturgie penitenziali comunitarie, purché rispettino rigorosamente la libertà che chiede il sacrificio dell’accusa e dell’assoluzione individuali.
Ringrazio voi tutti per quanto fate in questo campo. Vi domando di accordarvi perché se non in ogni parrocchia almeno in ogni vicariato vi sia un luogo quotidianamente dedicato al sacramento della Riconciliazione, cui i fedeli possano accedere con regolarità. Penso in particolare ai nostri Santuari in cui si vanno intensificando i pellegrinaggi mariani. Diventino luoghi in cui, come diceva la splendida Orazione di Colletta di domenica scorsa, ognuno possa sperimentare che l’onnipotenza di Dio si manifesta nella misericordia e nel perdono.

5. Chiamati alla testimonianza
I due di Emmaus ritornarono senz’indugio a Gerusalemme per poter comunicare agli altri l’incontro con il Risorto.
Dalla testimonianza trinitaria offertaci dal Risorto nella testimonianza sacramentale della celebrazione eucaristica, scaturisce la testimonianza come modalità concreta di vita del cristiana. Questo è di quella forma eucaristica di esistenza cui vuole invitarci la Visita Pastorale.
La forma eucaristica della vita libera il nostro ministero da ogni riduzione in termini di ruolo: non è il ruolo che ci compie e che esprime la nostra umanità, ma è il compito che scaturisce dall’offerta di tutta la nostra persona come sacrificio gradito al Padre. Questo è il culto razionale, la logiké latreia (Rm 12, 1). Per questo, con la Preghiera Eucaristica II, possiamo dire: «Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale».
Possiamo dare gratuitamente e con gioia perché sappiamo veramente di avere gratuitamente ricevuto.