Istruzione del Patriarca al Mandato degli evangelizzatori e dei catechisti (Mestre / Sacro Cuore, 11 ottobre 2013)
11-10-2013
 
Mandato a catechisti, evangelizzatori
ed educatori alla fede
(Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore di Mestre – venerdì 11 ottobre 2013)
 
Istruzione del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
 
 
 
 
Diciamo insieme ‘Sia lodato Gesù Cristo’ e lo diciamo perché stiamo vivendo un momento importante, un momento in cui Lui ci chiama, ci chiede di rimanere un po’ di tempo con Lui e poi ci ‘manda’. E’ un mandato che ci libera dal pensiero di dover portare noi stessi. Noi portiamo Lui.
 
Abbiamo ascoltato la lettura tratta dal libro degli Atti degli Apostoli che ne costituisce il vero inizio: la discesa dello Spirito Santo che cambia gli apostoli e i discepoli, li rende docili, saggi, sapienti e forti di fronte alle difficoltà dell’evangelizzazione. Sappiamo che percorrere la rotta dell’evangelizzazione vuol dire mettere in conto un mare anche tempestoso. E quando il mare aumenta di forza, proprio allora si vede la fede dei discepoli. Maestro, gli dicono, non ti preoccupi? Stiamo affondando e tu dormi! E Lui risponde semplicemente: ‘Dov’è la vostra fede?’ (cfr. Lc 8, 22-25).
 
La parola di Gesù, il primo evangelizzatore che è sempre in noi che ci accompagna e non ci lascia mai soli, si serve anche delle nostre debolezze e delle nostre fragilità: ‘Quando sono debole, è allora che sono forte’ (2 Cor 12, 10), perché, allora, si manifesta un Altro. Il Mandato dice la realtà della Chiesa che si fonda sul battesimo, il battesimo-confermazione. È la nostra ricchezza: Lui in noi, noi in Lui.
 
Ringrazio soprattutto i sacerdoti, i nostri cari sacerdoti. Sono grato a loro perché, come vescovo, io non avrei significato se non ci fossero loro. Dicevo proprio a loro qualche giorno fa, nella basilica di San Marco, che reciprocamente ci apparteniamo in forza del nostro comune sacerdozio ministeriale. Voi non potreste essere sacerdoti se non ci fosse il vescovo a cui avete promesso – non a Lui ma al Signore – la vostra docilità e disponibilità, nella libertà. Se non ci fosse il vescovo non ci sarebbero i presbiteri che, proprio nel loro essere sacerdotale, sono estensione del sacerdozio del vescovo. Ma, se non ci fossero i presbiteri, che cosa potrebbe fare il vescovo? Tutti, quindi, dobbiamo amare i nostri sacerdoti e dobbiamo dirlo a loro con lo sguardo, il sorriso e la vicinanza.
 
Grazie anche a voi, carissimi catechisti/e, evangelizzatori, missionari/e d’essere qui presenti, perché il vostro battesimo-confermazione è la nostra ricchezza: non andate, infatti, ad esibire le vostre conoscenze e non andate a mostrare la vostra erudizione. Andate semplicemente a dire che Gesù ha dato senso alla vostra vita. Ringrazio padre Gelindo delle sue gentili parole, dell’accoglienza che la comunità dei frati ci riserva sempre, nella semplicità francescana, e speriamo che questo spirito entri sempre di più nella nostra Chiesa. E ringrazio don Valter per le sue parole che ci hanno richiamato all’amore di Dio.
 
Aggiungo a quanto già detto un particolare, se volete una precisazione: l’amore di Dio è un amore sempre ragionevole e ricco di senso. Non separiamo mai la prima lettera di Giovanni – ‘Dio è amore’ (cfr. 1 Gv cap. 4) – dal prologo del suo Vangelo (cfr. Gv 1, 1-18): in principio era il Logos, il senso, la verità, la ragione, la sapienza. In principio era il Verbo, il Verbo era Dio, il Verbo era presso Dio, il Verbo era rivolto verso Dio, il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi.
 
Il nostro Dio ci ama e ci conduce. E lo fa con tutti! Ci conduce per le strade di una sapienza, e di una verità che talvolta, subito, noi nemmeno immaginiamo. Ci aiuta il profeta Isaia: ‘Le vostre vie non sono le mie vie’ (Is 55, 8), le mie strade non sono le vostre strade. Dio ci conduce verso un amore esigente, un amore ricco di verità. Quante volte, nel non dire la verità, finiamo per dare una parvenza di aiuto, una solidarietà fragile. Il Vangelo ci dice che Dio ci ama e ci conduce verso la verità, quella verità che – secondo il Vangelo di Giovanni – ci fa liberi (cfr. Gv 8, 32).
 
Andate ad annunciare tutto questo nelle parrocchie, nelle associazioni, nei gruppi, nei movimenti, ai ragazzi dell’iniziazione cristiana, ai gruppi di ascolto. In modo diverso mi rivolgo anche agli insegnanti di religione cattolica che, nella loro docenza, presentano le realtà culturali che nascono dal Vangelo e cioè un Dio che ci ama, ci conduce verso la verità e ci fa liberi.
 
La cultura cristiana non è solo la cultura delle grandi biblioteche; la facoltà di Teologia appartiene all’università fin dall’origine dell’università. La cultura cristiana non è solo la verità del sapere e non è neanche (e solo) la bellezza dell’arte cristiana: le nostre cattedrali, la nostra stupenda S. Marco, i mosaici, le pitture, le sculture, le sinfonie’ Tutto nasce dal Vangelo creduto e vissuto!
 
Ma cultura cristiana sono anche gli ospedali, che nascono dal cuore di persone credenti; i primi ospedali, i primi brefotrofi, i primi luoghi d’accoglienza nascono da cuori e menti cristiane. Dobbiamo, allora, riscoprire l’umile fierezza della nostra fede, senza complessi d’inferiorità! Siamo fragili e siamo peccatori, ma portiamo – nel vaso di creta che siamo, che ciascuno di noi è – il Signore Gesù, Colui che ama nella Verità.
 
Il Vangelo vi è consegnato oggi, a cinquant’anni da quel grande evento che è stato il Concilio Ecumenico Vaticano II, nato dal cuore del Patriarca Roncalli diventato vescovo di Roma, Papa della Chiesa universale. Raccomando a voi catechisti ed evangelizzatori quanto ho già scritto nella prima lettera all’inizio dell’Anno della Fede: leggete i grandi documenti del Concilio, studiate almeno le costituzioni – la Divina Rivelazione, la Chiesa, la Liturgia, la Chiesa nel mondo contemporaneo – e il Catechismo della Chiesa Cattolica che è il frutto del Concilio Ecumenico Vaticano II.
 
L’Anno della Fede ci ha aperto di più e meglio a quella realtà, la fede, che deve essere illuminante nel vostro servizio di evangelizzatori, di catechisti, di insegnanti di religione cattolica, di animatori dei gruppi, delle associazioni e dei movimenti: ‘io credo’, ‘noi crediamo’. Il nostro credere è sempre personale, mai individuale; il nostro credere è sempre un credere con gli altri: ‘io credo’, ‘noi crediamo’. E allora, anche quando siamo soli, portiamo in noi la comunione ecclesiale che si radica in una fede personale donata da Gesù Cristo.
 
Gesù Cristo sia il centro della vostra giornata e, allora, vi chiedo di far vostro uno stile: non iniziate mai la giornata senza il tempo della preghiera. Certo, Dio è eterno e il tempo ha significato solo per noi; Lui, infatti, è in un istante presente, secondo tutte le perfezioni, e non può essere arricchito o depauperato da nulla. Lui è l’Eterno; noi, invece, siamo nel tempo e per noi il tempo ha un significato! Pensate al significato – in Israele – dell’offerta delle primizie, i primi frutti che segnano l’inizio di quello che verrà dopo.
 
E’ importante il tempo della preghiera; è importante iniziare e chiudere la giornata nel nome del Signore, perché tutto il resto rimane unito da quell’atto che noi chiamiamo preghiera. Vi ricordo il salmo 139: ‘Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri’ La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta’ (Sal 139, 1-2.4).
 
Ed ecco la seconda cosa che vi domando: abbiate un rapporto concreto e reale con Lui, sarà una ‘riserva’ di fronte alle cose ingiuste che potranno dire di voi evangelizzatori. Molte volte le parole dette in libertà feriscono e vengono ripetute da altri e, magari, vengono presentate come critica costruttiva’ E invece sono solo parole in libertà, talvolta non benevole. Vi capiterà anche di incontrare situazioni del genere; allora quello che conta è il rapporto con Lui: Lui mi conosce, Lui sa, con Lui posso confidarmi anche se intorno a me non c’è benevolenza.
 
Mettete in conto la gioia dell’evangelizzare, una gioia particolarissima che si misura anche con la fatica dell’evangelizzare. Auguro a tutti di provare questa situazione dell’anima; è una grande gioia che rimane, permane e cresce anche nella fatica: è la croce del Signore. E la croce ci parla già della Pasqua.
 
Guardiamo alla nostra Chiesa e lasciatemi ritornare a quanto detto all’inizio alle comunità parrocchiali, alle unità pastorali (là dove ci sono), ai nostri sacerdoti: la comunità sia costruita e strutturata sempre a partire da Gesù, guardando a Lui che ha dato la sua vita per noi.
 
Costruiamo delle comunità reali, guardiamo e riscopriamo la parrocchia con occhi nuovi, i nostri patronati, il Vangelo della famiglia, la catechesi per gli adulti, la ricchezza della dottrina sociale della Chiesa, quello sguardo più acuto che, come credenti, noi possiamo portare sulla realtà leggendola attraverso una ragione che fa i conti – fino in fondo – con se stessa, a partire dallo sguardo di fede, dove la ragione rimane ragione e la fede è fede. E dove la fede stimola la ragione ad essere veramente se stessa e ad andare oltre le ferite. Non riusciremo mai ad organizzare una buona vita sociale se non riusciremo a comprendere che l’uomo non è fatto solo di cultura e non è fatto solo di ragione ma è fatto anche di ferite e di fragilità che solo Lui, il Signore, può sanare.
 
Riscopriamo – ma voi lo avete già fatto, perché siete qui stasera – la gioia di trasmettere la fede e di educare alle cose di Dio. Che cosa c’è di più difficile e di più gratificante – in una società che è fatta di consumo, di materia – che indicare ai nostri giovani l’Invisibile e insieme a loro, ad ogni uomo e donna, l’Ineffabile, quel Dio che ci ama e da senso alla nostra vita?
 
            Grazie del vostro impegno e grazie per quello che farete. Il Signore Gesù vi benedica e vi accompagni in ogni giorno di quest’anno in cui, ricevendo il Mandato, non portate voi stessi ma il ‘noi crediamo’ della Chiesa, là dove il nome del Signore Gesù non risuona più o non è mai risuonato ma chiede di risuonare attraverso la vostra testimonianza e la vostra gioia di evangelizzatori.
 
 



[1] Questo testo riporta la trascrizione dell’intervento pronunciato dal Patriarca in occasione dell’edizione 2013 del Mandato e mantiene volutamente il carattere colloquiale e il tono del ‘parlato’ che lo ha contraddistinto.