Intervento del Patriarca sulla vita consacrata durante il Capitolo Generale delle Piccole Suore della Sacra Famiglia (Verona - 29 luglio 2018)
29-07-2018

Conferenza spirituale sulla vita consacrata durante il Capitolo Generale delle Piccole Suore della Sacra Famiglia

(Verona – 29 luglio 2018)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Un saluto cordiale alla Madre Generale, suor Simona Pigozzi, con l’augurio d’essere – come chiedono le Costituzioni al n. 106 – segno d’unità di tutto l’Istituto; quell’unità che ha un nome preciso: Gesù; l’unità nella Chiesa e non solo si fa sempre a partire da Lui, intorno a Lui, e con Lui.

 

Un ringraziamento sincero va a Madre Angela che termina il suo servizio dopo il secondo mandato come Superiora Generale; il Signore la ricompensi di quanto ha fatto con amore in questi dodici anni a servizio delle consorelle.

 

Saluto anche le Madri Consigliere che affiancheranno la Superiora Generale nel governo dell’Istituto; nei consigli che sarete chiamate a dare ex officio abbiate la parresia evangelica unendo sempre – in modo indissolubile – carità e verità. Infine saluto tutte le Madri Capitolari.

 

Carissime sorelle, il Signore benedica il vostro lavoro, le vostre comunità, tutte le Piccole Suore della Sacra Famiglia perché rispondano in modo docile alla loro vocazione secondo il carisma del Beato Fondatore Giuseppe Nascimbeni e le Costituzioni dell’Istituto.

 

Chiedete un po’ dello spirito del Beato Fondatore per guardare il presente almeno con un po’ della sua fede e del suo coraggio.

 

A Lui che seppe muoversi con grande saggezza e determinazione in un contesto storico arduo – come quello della fine dell’Ottocento e dei primi del Novecento – chiediamo un po’ della sua fede; le difficoltà, allora, erano strettamente connesse alla povertà che colpiva famiglie, anziani, giovani, bambini e lui le seppe affrontare anche quando tutto gli era contro fino ad “inventarsi” le Piccole Suore della Sacra Famiglia.

 

E quando l’impegno è diuturno, disinteressato e si ha di mira solo la gloria di Dio, allora, la Divina Providenza non fa mancare i suoi aiuti che per don Giuseppe presero il volto di Maria Domenica Mantovani, Cofondatrice e prima Superiora Generale dell’Istituto.

 

Rimane emblematico il motto di don Nascimbeni: “Crocifisso e orologio”, una sintesi felicissima che solo i santi sanno raggiungere. In queste parole, infatti, c’è tutto; la grazia (il crocifisso) e la natura (l’orologio). Anche questa semplicità è segno di vicinanza a Dio.

 

Nel breve spazio di tempo che abbiamo, con animo grato al Signore e alla Sua Santissima Madre, riflettiamo sul grande dono che la vita religiosa è – soprattutto oggi – per la Chiesa.

 

Il 21 novembre 2014 Papa Francesco si rivolgeva a tutti i consacrati con una Lettera apostolica scritta in occasione dell’Anno della Vita consacrata (21 novembre 2014 – 2 febbraio 2016).

 

La Lettera apostolica di Francesco inizia citando il suo predecessore san Giovanni Paolo II che – nella Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata del 25 marzo 1996 – inseriva la dinamica della vita religiosa nelle coordinate temporali (passato, presente e futuro): «Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi» (Giovanni Paolo II Esortazione apostolica post-sinodale Vita consecrata, n. 110).

 

Ci muoviamo, quindi, sulla stessa linea del tema del capitolo: “Sospinte dalla carità di Cristo, pellegrine sulle strade del mondo. Con rinnovata fedeltà alle nostre origini, ripensiamo lo stile e la missione”

 

La citazione di san Giovanni Paolo II continua e desidero riproporvela perché è attuale e mette in evidenza un legame – a mio modo di vedere – essenziale fra Vita religiosa, Gesù e la Chiesa.

 

Ecco il prosieguo della citazione: «Fate della vostra vita un’attesa fervida di Cristo, andando incontro a Lui come le vergini sagge che vanno incontro allo Sposo. Siate sempre pronti, fedeli a Cristo, alla Chiesa, al vostro Istituto e all’uomo del nostro tempo. Sarete così da Cristo rinnovati di giorno in giorno, per costruire con il suo Spirito comunità fraterne, per lavare con Lui i piedi ai poveri e dare il vostro insostituibile contributo alla trasfigurazione del mondo. Questo nostro mondo affidato alle mani dell’uomo, mentre sta entrando nel nuovo millennio, possa essere sempre più umano e giusto, segno e anticipazione del mondo futuro, nel quale Egli, il Signore umile e glorificato, povero ed esaltato, sarà la gioia piena e duratura per noi e per i nostri fratelli e sorelle, con il Padre e lo Spirito Santo» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica postsinodale Vita consecrata, n. 110)

 

Nella predetta Lettera apostolica Papa Francesco indicava tre obiettivi per l’Anno della Vita consacrata: 1) guardare il passato con gratitudine; 2) vivere il presente con passione; 3) abbracciare il futuro con speranza.

 

Come possiamo facilmente vedere, tali obiettivi rimangono indicazioni valide e attuali anche dopo l’Anno della Vita consacrata; si tratta, quindi, di mantenerne una memoria viva, guardando al futuro con speranza e vivendo il tempo presente con fede e dedizione.

 

È importante poi che, nella vita religiosa, tutto sia tenuto insieme dalla gioia: la gioia di una vita pienamente evangelica, la gioia di una vita veramente fraterna, costituita e costruita ogni giorno, con pazienza soprannaturale (fede, speranza, carità), impegnandosi a dare e a chiedere il perdono, rilanciando, sempre e di nuovo, l’impegno missionario.

 

Abbiate sempre come esempio Maria, la prima discepola, la prima consacrata; il sì di Maria è un sì pieno, mai ritratto. La vita fraterna deve realizzarsi nelle vostre comunità così come si è realizzata nella casa di Nazareth e, a tale proposito, è sempre spiritualmente utile tornare a meditare il discorso che il beato Paolo VI tenne a Nazareth il 5 gennaio 1964 e che è entrato a far parte del Breviario come seconda lettura dell’Ufficio delle letture.

 

La gioia incontenibile della missione, che nasce dalla carità, la ritroviamo poi nell’atteggiamento di Maria che, con passo frettoloso, recando Gesù in grembo, va a far visita alla cugina Elisabetta (cfr. Lc  1,39-56).

 

Il carisma della vita consacrata – una religiosa oggi ne deve essere conscia più che per il passato – arricchisce l’intera Chiesa; non si tratta solo di una testimonianza data al mondo ma anche all’interno della Chiesa stessa.

 

La persona consacrata – vivendo fedelmente nei voti di povertà, castità e obbedienza – esprime in modo forte nella sua persona la dimensione mariana della Chiesa; Maria è la prima consacrata, è il modello di ogni consacrazione, è la perfezione della consacrazione.

 

Ricordo a tal proposito la memoria liturgica della Presentazione al tempio della Beata Vergine Maria. Sì, Maria di Nazareth – prima nell’anima e poi nel corpo – è la vera Arca dell’Alleanza; Maria, la figlia di Sion, è il vero spazio, è il vero luogo dove si rende presente lo Spirito santo.

 

L’Anno della Vita consacrata ha inteso ribadire e far riscoprire quanto, per la Chiesa, sia essenziale e imprescindibile il carisma di particolare consacrazione a Dio.

 

Certo, il mondo diffida del Vangelo e guarda con sospetto le cose che la Chiesa annuncia; le giudica, talvolta le irride di nascosto, altre volte apertamente. E questo lo si nota in modo particolare per la vita di totale consacrazione a Dio, costituita dalla verginità, dall’obbedienza e dalla povertà; quella esistenza che voi, care sorelle, vivete nella forma della vita religiosa.

 

È decisivo, quindi, che sappiate quanto siete preziose oggi, con la vostra testimonianza, per la Chiesa e nella vita della Chiesa. Parlo di una Chiesa che voglia essere sposa fedele del suo Signore e sarebbe un vero impoverimento se il carisma di consacrazione particolare a Dio si riducesse o, ancor più, venisse meno nella Chiesa. Chiediamo, per questo, al Signore che faccia crescere sempre più, in ogni consacrata, una piena consapevolezza e un vero sguardo di fede sul dono che ha ricevuto da Dio nella sua persona.

 

Se noi potessimo vedere con lo sguardo di Dio quanto è importante ai suoi occhi chi si consacra totalmente a Lui rimarremmo attoniti, letteralmente senza parole. E allora dobbiamo chiederci se realmente stimiamo la vita religiosa e se questo si traduce conseguentemente in una piena fedeltà ai voti.

 

Voi, care sorelle, siete nelle vostre persone una risorsa per la Chiesa e la vostra crescita qualitativa – ma si spera anche quella numerica – non è soltanto qualcosa che riguarda voi ma, piuttosto, tutta la Chiesa.

 

L’Anno della Vita consacrata indetto da Papa Francesco non è stato quindi solo l’anno “dei” o “per” i consacrati e le consacrate ma un anno in cui tutta la Chiesa – sì, tutta la Chiesa – è stata chiamata in causa ed interpellata.

 

A Maria guarda tutta la Chiesa come al Suo membro più alto; Maria è il modello di ogni altro figlio e figlia della Chiesa, pastore o fedele che sia. Maria – nel sì detto a Dio – è emblema e l’icona della Chiesa.

 

“Maria”, “Chiesa”, “verginità consacrata” sono realtà fra loro strettamente legate e connesse in maniera particolarissima. E questo comporta – per chi vive il dono della consacrazione nei voti a Dio – di assumere – al di là dell’istituto a cui si appartiene – una spiritualità veramente ecclesiale.

 

Così come Maria – che nella sua persona racchiude il mistero della Chiesa -, la persona consacrata è immagine concreta e realissima del sì pieno e gratuito a Dio. E, proprio per questo sì gratuito detto a Dio, la persona consacrata accondiscende a servire Gesù nella gioia e si impegna a crescere nella spiritualità mariana, ossia nel sì totale e indiviso di Maria, la prima discepola, l’Immacolata.

 

Siete così chiamate a crescere armonicamente nei voti e nelle virtù caratteristiche della vita cristiana e del vostro istituto. In questo – non in altro – si gioca il carisma della vita religiosa, il suo presente e il suo futuro; quindi, non basta donarsi, ma si chiede il dono totale di sé. Questa è l’unica possibilità che si ha per vivere, secondo il Vangelo, la vita di particolare consacrazione.

 

Ambrogio, il grande vescovo di Milano – nel IV secolo, epoca di gravissima decadenza religiosa e morale – ammoniva in uno dei suoi scritti: facciamo attenzione che la nostra caduta non diventi la ferita della Chiesa. Infatti, se la Chiesa in sé non può essere ferita, lo può essere in noi, nelle sue membra. La Chiesa è in sé immacolata, anche se costituita da peccatori. E Ambrogio parlava della Chiesa immacolata che proviene dai peccatori. Ma questo richiede che tutti i membri della Chiesa diventino, da peccatori, “immacolati”.

 

C’è stato un momento in cui la Chiesa fu veramente tutta santa e totalmente immacolata dinanzi a Dio e agli uomini; questa epoca non fu quella della comunità primitiva; basti pensare a quale era la vita nella Chiesa di Corinto (1Cor 5,1-5; 11, 17-22) siamo intorno agli anni 55/60, quindi, a soli 25 anni dalla risurrezione di Cristo, quindi, l’epoca è veramente “primitiva”.

 

Sì, vi è stato un momento in cui la Chiesa è stata realmente santa: fu quando la Chiesa era tutta presente in Maria che, nel suo grembo verginale, portava Gesù. Lì c’era la Chiesa: Maria è la chiesa nascente, il sì totale a Dio, il sì pienamente libero dal peccato.

 

Ecco perché continuamente, nella vita religiosa, si deve cercare il dono totale di sé anche attraverso la purificazione: i voti sono pronunciati per essere vissuti giorno dopo giorno, istante dopo istante, per crescere in essi in ogni stagione della vita.

 

Andiamo a rileggere quanto annotavano nei loro scritti spirituali le grandi anime religiose. Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo – conosciuta come Teresina di Lisieux – nell’ultimo anno e mezzo della sua vita sperimentò in sé le più grandi tentazioni contro la fede; lei, che passa per essere la santa delle rose, del sorriso, dell’infanzia spirituale.

 

Ma, dopo Teresina, possiamo aggiungere altre figure di sante e santi provati nella loro vita da purificazioni mistiche dolorosissime. Pensiamo a san Francesco di Assisi – che compone il Cantico delle creature, ormai malato, quasi cieco, in uno scantinato buio e invaso da topi -, a San Giovanni della Croce (notte dei sensi e dello spirito) che compone i suoi più alti poemi spirituali mentre si trova in carcere; non dimentichiamo, inoltre, gli ultimi giorni della vita di Ignazio di Loyola, come di don Bosco; gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito…

 

Carissime sorelle, i voti sono pronunciati (ovviamente) per essere vissuti. E rimaniamo edificati dinanzi alla vita di religiosi e religiose considerando il sì detto al Signore in modo libero e pieno e rinnovato quotidianamente e per l’intera vita. Ricordo qui santa Caterina Labouret che, giovane novizia, fu la depositaria delle rivelazioni con cui la Vergine Maria le consegnò la Medaglia che ancora lei vivente, coniata in milioni di esemplari, fu ben presto denominata dal popolo “Medaglia miracolosa”.

 

Caterina rimase per tutta la vita sconosciuta nella sua identità di confidente della Beata Vergine Maria; sconosciuta a tutti, nota solo ai superiori dell’Istituto. Sì, sconosciuta dalle consorelle che vivevano sotto il suo stesso tetto. Caterina ricevette le rivelazioni della Madre del Signore quando era novizia a soli ventiquattro anni e per tutta la vita fino alla morte – avvenuta a settant’anni – svolse in comunità le mansioni più umili come curare gli anziani anche nelle loro esigenze corporali e riordinare i luoghi dove essi vivevano.

 

Ripeto: nessuno, tranne i superiori, seppe mai dei favori celesti concessi a Caterina che visse nella più grande umiltà e nel più assoluto nascondimento e silenzio, servendo per quarantasei anni i poveri dell’ospizio di Enghien a Parigi. Morì il 31 dicembre 1876 e, quando la sua salma fu esumata, le mani che avevano toccato la Madonna e gli occhi che l’avevano veduta apparvero straordinariamente conservati.

 

Questo, insieme ad altri, è un esempio di vera fedeltà alla consacrazione a Dio e ai fratelli attraverso i voti, le virtù cristiane e quelle caratteristiche del proprio istituto. Proprio i voti e le virtù consentono la piena sequela di Gesù povero, vergine e obbediente al Padre.

 

Il dono della vita consacrata è dato alla Chiesa e a voi, care sorelle, prima di tutto, per essere una viva lode a Dio attraverso una somiglianza più reale e vera col Signore Gesù che vi ha amato di un amore più grande.

 

La liturgia è espressione della fede ecclesiale e, allora, è utile tornare con una certa frequenza a meditare i testi e le orazioni della Messa del formulario delle vocazioni religiose. La cui preghiera di colletta recita: «Padre santo, che chiami tutti i tuoi figli alla carità perfetta, e inviti alcuni a seguire più da vicino le orme del Cristo tuo figlio, dona a coloro che hai scelto per essere interamente tuoi, di manifestarsi alla Chiesa e al mondo come segno visibile del tuo regno» (Colletta della Messa per le vocazioni religiose).

 

Dio chiama tutti alla santità, ma alcuni a seguire più da vicino le orme del Cristo. È importante, allora, verificare personalmente e comunitariamente – alla superiora è affidata la responsabilità della comunità – se realmente stiamo seguendo più da vicino il Signore Gesù.

 

La Santissima Vergine Maria deve essere riferimento imprescindibile per ogni persona consacrata; Ella, che è beata perché ha creduto, beata perché ha costruito la sua vita sulla salda Parola di Dio e solo perché ha creduto ha potuto generare il figlio di Dio.

 

Un altro pensiero vorrei lasciarvi al termine di questa meditazione sulla vita consacrata riguardante Cristo e la Chiesa. Cristo è lo sposo, la Chiesa è la sposa. Non si darà mai opposizione fra Chiesa e Cristo; sarebbe come dividere lo sposo e la sposa, come se si ammettesse il divorzio… Non è possibile accettare Cristo sposo, sorgente della vita e maestro di sapienza, e rigettare la Chiesa che, a sua volta, è sposa, madre e maestra e che ci conduce sulla via della salvezza.

 

Appartiene all’antica riflessione dei Padri l’immagine della Chiesa raffigurata come “rete” gettata in mare (cfr, Lc 5, 1-11; Gv 21, 1-8). Pensiamo, quindi, alla pesca miracolosa quando, dopo una notte di faticoso e infruttuoso lavoro, la rete rimane tristemente vuota. Mentre quella stessa rete, quando verrà gettata in mare, sulla parola di Gesù e dalla parte da Lui indicata, si gonfierà per l’abbondanza del pesce, fino a rischiare di rompersi. Questa è la Chiesa che nell’obbedienza alla parola di Cristo sperimenta, incredula, la sua fecondità apostolica.

 

Tutto si rinnova nel sì pieno, detto una volta per sempre a Cristo; ogni comunità misura la sua efficienza a partire proprio da questo sì, ossia dalla sua fedeltà allo Sposo.

 

Ricordiamo bene che l’appartenenza fedele a Cristo – della singola religiosa e dell’intera comunità – è il modo gradito a Dio per chiedere nuove vocazioni. La preghiera, prima di tutto, consiste nell’essere fedeli interpreti del carisma dell’istituto.

 

La Chiesa ci dona Gesù ed è la comunità di Gesù in cui si realizza e si dona la salvezza; allora il simbolismo reale della barca e della pesca miracolosa risulta particolarmente eloquente e deve tornare a parlare, di nuovo, alla vita dei consacrati e delle consacrate.

 

Sant’Ambrogio mette sulle labbra di Cristo queste parole: “Tu stai con me se stai nella Chiesa”. Non dobbiamo, quindi, sognare una Chiesa fatta a nostra immagine e somiglianza; siamo noi che dobbiamo diventare immagine della Chiesa. Ogni frattura nel rapporto con la Chiesa è semplicemente impensabile.

 

A maggior ragione le persone consacrate – se vogliono cercare il Signore Gesù e stare con Lui – devono trovarlo nella Chiesa stando con la Chiesa; stare con la Chiesa, così, è semplicemente stare con Cristo.

 

L’impegno che ogni persona consacrata deve prendere a fondamento della sua vita è questo: nessuno tenti di separarti dalla Chiesa, perderesti infatti lo stesso Cristo! Questo lo dico perché talvolta avvertiamo la pesantezza della vita comune; la vita comune, poi, non è sempre fraterna, eppure è vita di Chiesa.

 

Pensiamo a Gesù: i suoi apostoli, forse, lo hanno sempre capito? Lo hanno sempre seguito? Di fronte a tale considerazione dobbiamo ritornare in noi ed esaminarci, intraprendere un cammino spirituale che ci conduca a leggere il Vangelo aderendo ad esso con rinnovato spirito di fede.

 

Ascoltare la Parola come se fosse detta per noi, in quel momento, dal Divino Maestro. Il discepolo sa che nulla, nella sua vita e nelle giornate, accade a caso perché ogni cosa è il frutto della Divina Provvidenza. Ciò che di più grande può capitare nella nostra vita è aprire al Signore che bussa alla porta del nostro cuore (cfr. Ap 3,20) e convertirci a una vita religiosa più vera.

 

La nostra conversione personale è il bene più grande che possiamo fare alla Chiesa ed è pure il bene più grande che possiamo fare a noi stessi, alla nostra comunità e al mondo.

 

Quel qualcuno che tenta di seminare in noi la sfiducia nei confronti della vita religiosa, nei confronti dei superiori, nei confronti della nostra comunità, delle consorelle… può essere il nostro io, il nostro orgoglio, il nostro voler disporre di noi stessi avendo di mira il fare più che il dono di noi stessi.

 

Guardiamo, allora, alla nostra vita. È una vita fatta di povertà reale, di obbedienza vera e chiara, di verginità gioiosa? Viviamo i voti come obbligo o come possibilità di vivere un amore più grande verso il Signore in un’obbedienza che, alla fine, è il desiderio di rimanere a Lui fedeli, come Lui lo è stato al Padre fino al “tutto è compiuto” del Calvario? Povertà, verginità, obbedienza sono in noi espressioni gioiose, libere, sincere di un cuore realmente libero, ossia, tutto e solo del Signore Gesù?

 

L’abito, la vita comune, i voti… di che cosa sono segno? Sono segni di una reale appartenenza a Lui? La consacrazione è piena appartenenza a lui? Tutti questi sono segni di un sì, il segno di un amore fedele, come dice il Cantico dei Cantici?

 

L’appartenenza a Lui è vera e reale se si riscontra ogni giorno col sì fedele a ciò che costituisce la vita religiosa.

 

Siete chiamate – come già dicevo – a un amore più grande per Lui, a un amore che si rinnova, ogni giorno, nella Chiesa e proprio a partire dalla Chiesa; il significato specifico della consacrazione a Dio nella vita religiosa lo capiremo solo in Paradiso. Sì, quanto è stata importante la consacrazione religiosa di una persona nella storia del mondo e quanto ha inciso realmente nel salvare anime, lo sapremo solo in Paradiso.

 

E, prima ancora di aver compiuto anche un solo gesto di apostolato, già il semplice atto della consacrazione è una grazia dirompente ed è un vero annuncio efficace del Regno di Dio.

 

Assumiamo, quindi, la logica di Gesù. La Chiesa non è una nostra invenzione, è il dono continuo – che si ripete ogni momento – del suo amore; la Chiesa e, in essa, la vita religiosa (i consigli evangelici) non sono una nostra scelta ma la Sua scelta.

 

La Chiesa e, in essa, la persona consacrata sono le spose dello Sposo e Gesù continua a donarsi alla Chiesa e alle anime attraverso lo Spirito Santo, che è il dono che Lui ci fa sempre dalla croce.

 

Esaminatevi, allora, e sappiate dire a Lui il vostro stupore grato e riconoscente per avervi scelte. La Perfectae caritatis parla di fedeltà al Signore, di fedeltà alla Chiesa, di fedeltà al proprio carisma, di fedeltà al mondo di oggi.

 

E san Giovanni Paolo II, a coloro che vivono la vita di particolare consacrazione, domanda d’ assumere il momento presente – con le sue luci e le ombre e anche con le sue fatiche – come il kairos, come una grazia (la grazia appunto del momento presente), un’occasione di crescita in profondità, di una vera crescita nella speranza.

 

Papa Francesco, nel discorso del 27 settembre 2013 ai catechisti, raccomandava con forza di uscire dall’autoreferenzialità: “…chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica…” (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale dei catechisti, 27 settembre 2013).

 

Abbiamo di fronte a noi il dono inestimabile della vita consacrata. Viviamolo al meglio, guardando sempre al Signore come ha fatto Maria, non lasciamo distrarci dalle molte situazioni, cose e persone che possono distogliere il nostro sguardo dallo Sposo.

 

Riascoltiamo il passo del Vangelo di Luca che per noi è sempre attuale: «Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: “Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti”. Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”» (Lc 10, 38-42).