Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia a "Dieci piazze per dieci comandamenti" sul tema "Non nominare il nome di Dio invano" (Verona, 15 settembre 2012)
15-09-2012

Verona, 15 settembre 2012

 

Incontro con Rinnovamento nello Spirito Santo

 

‘Non nominare il nome di Dio invano’

 

Intervento di mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia

 

 

Le Dieci Parole riportate nel libro dell’Esodo (20,1-17) e del Deuteronomio (5, 1-22) sono la via maestra per far in modo che l’uomo viva la comunione con Dio; I comandamenti non sono vincoli, ma una proposta di vita, un cammino verso una libertà più grande che deve affrancarsi da legami, fragilità e debolezze.

 

Il secondo comandamento è presentato così nel libro del Deuteronomio: ‘Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano‘ (v.11).

 

Le parole del Decalogo sono momento decisivo nell’Alleanza fra Dio e l’uomo; attraverso di esse, l’uomo è chiamato, nella vita personale e comunitaria, a rapportarsi con Dio.

 

Riconoscere o no, la Signoria di Dio, nella nostra vita, la cambia radicalmente. Dopo i profeti e più di loro, Gesù afferma che la salvezza è frutto dall’Alleanza e chiede d’esser testimoniata con la vita.

 

L’Alleanza, così, non prescinde dalle Dieci Parole donate da Dio a un uomo peccatore che, allontanatosi da Lui con, la tragica esperienza del male, è rimasto ferito proprio nella sua umanità.

 

L’umanità peccatrice da sola – come san Paolo e sant’Agostino affermano con forza – non possiederà mai le risorse sufficienti perché i comandamenti o parole di libertà diventino vita vissuta.

 

Le Dieci Parole più che comandi da eseguire da parte di un’umanità impotente sono sentieri che attendono che la Storia della Salvezza si compia in Gesù, nella pienezza del tempo (cfr. Gal 4,4).

 

Così, alla Pentecoste del Sinai, con tuoni e fulmini spaventosi, seguirà la Pentecoste del Cenacolo a Gerusalemme, con le piccole fiammelle che scenderanno dall’alto e, delicatamente, si poseranno su Maria, gli apostoli, i discepoli: la Chiesa nascente. Alle Dieci Parole scolpite sulla pietra seguirà così il dono dello Spirito Santo e all’antico popolo succederà il nuovo popolo di Dio.

 

Oggi siamo, più che mai, immersi nella società della tecno-scienza e il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) ci ammonisce con forza: ‘Non pronuncerai invano il nome del Signore‘ (cfr. CCC 2150-2155). Questo ci chiede, innanzitutto, di ricordarci come il nome del Signore sia Santo e, per l’uomo, sia grave danno abusare di tale nome.

 

Il CCC – il Catechismo del Concilio Vaticano II – deve nel prossimo Anno della Fede, entrare più nella vita delle parrocchie, associazioni, movimenti, aggregazioni laicali; il CCC ci ricorda quanto il nome del Signore sia grande (cfr. Sal. 8,2) e quanto, nella sua santità, debba esser rispettato.

 

Contro la grandezza e la santità di questo nome si oppone il suo uso ingiurioso, la bestemmia, il falso giuramento, lo spergiuro (non mantenere il giuramento fatto) e, ancora, l’uso “magico’ del nome del Signore; pensiamo a quanto oggi  ha a che fare con la magia, la superstizione.

 

Il primo modo di onorare il nome di Dio consiste nel pronunciarlo con rispetto, non tirandolo ‘a mezzo’  nei discorsi, in modo superficiale, improprio, sconveniente.

 

E’ auspicabile, invece, che il nome del Signore entri nelle nostre conversazioni in maniera consona; il rispetto, infatti, non è formalismo ma vero amore. Troppo spesso si dimentica che il vero amore si nutre di rispetto; anzi, il rispetto è il primo nome dell’amore.

 

Come ci è richiesto dai libri dell’Esodo e del Deuteronomio, non pronunziamo invano il nome del Signore. Lasciamoci piuttosto guidare da una preghiera più vera, più consapevole, più intensa, più attenta, quando ci rivolgiamo a Lui chiamandolo per nome.

 

Una ulteriore considerazione sul nome del Signore riguarda il modo in cui facciamo il segno della croce. Per il cristiano si tratta di un gesto decisivo che, talvolta, viene svilito, deprezzato, screditato e che, invece, va ripensare nel suo vero significato.

 

Con questo gesto, infatti, l’invocazione del Nome Santo di Dio – Padre, Figlio e Spirito Santo – viene ‘drammatizzato’, ossia tradotto in azione, attraverso il segno della croce che assurge a vera ‘invocazione corporea’.

 

Santificare il nome del Signore, allora, vuol dire anche segnarsi con più consapevolezza, con più fede, con più amore. La croce è il gesto che, inequivocabilmente, dice la nostra appartenenza battesimale a Gesù Cristo, l’Unigenito del Padre che dona lo Spirito Santo.

 

 Il segno della croce fatto bene, con gesto ampio, non di nascosto o con timidezza o di fretta, diventa reale e concreta testimonianza in vista dell’Anno della Fede.

 

Il segnarsi con fede e amore più grandi si manifesta nel tracciare l’umile, solenne e santo gesto della croce senza timori e reticenze. Un segno di croce posto con malcelata timidezza dice, invece, una fede fragile, non in grado di comunicare al mondo la gioia e la fierezza d’essere e sentirsi cristiani.    

 

Infine chi – come discepolo del Signore, con cuore libero e animo aperto, proclama con tutta la sua vita: ‘Sia santificato il tuo nome‘ -compie l’atto fondamentale della nuova evangelizzazione. Infatti, tale atteggiamento del cuore – ossia della persona – dispone tutto nell’oggettività di un ordine che si fa strada nella vita partendo da Dio e dal suo Santo Nome.

 

Nell’esortazione post-sinodale Verbum Domini, Benedetto XVI ci ricorda qualcosa d’importante soprattutto oggi, ovvero:  non si può usare la violenza in nome di Dio!‘ (n.102). Farlo, vuol dire mancare gravemente contro Dio, nominare invano il nome di Dio.                                                                              

 

Uno dei massimi teologi del ‘900 – Romano Guardini – che nacque proprio qui, a Verona, a proposito della santificazione del nome del Signore, esprime un pensiero che lascio alla considerazione dei credenti e di quanti sono alla sincera ricerca di Dio:

 

Non dimentichiamo mai che – dice Romano Guardini – l’uomo si salva solo nella santificazione del nome di Dio. Tutte le volte che, nel corso della storia, il nome di Dio è stato oltraggiato, maltrattato o dimenticato, è stato dimenticato anche il nome dell’uomo…‘ (R. Guardini, Preghiera e verità, Morcelliana, pag.66).

 

Oggi, nella cultura delle tecno-scienze, nella società detta liquida e nel bel mezzo di una crisi che non riusciamo ad affrontare in maniera adeguata, il pensiero di Romano Guardini ci interpella e ci stimola ad andare oltre l’uomo considerato come semplice animale ‘più evoluto’ o mera relazione sociale o, ancora, puro soggetto economico-finanziario.