Intervento del Patriarca e Presidente della CET alla preghiera di apertura del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane “Confini, zone di contatto e non di separazione” (Grado, 8 aprile 2024)
08-04-2024

Preghiera di apertura del 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane “Confini, zone di contatto e non di separazione”

(Grado, 8 aprile 2024)

Intervento del Patriarca di Venezia e Presidente della Conferenza Episcopale Triveneto Francesco Moraglia

 

Il testo degli Atti – che ci accompagna nel momento di preghiera con cui iniziamo il 44° Convegno nazionale delle Caritas diocesane – ha come protagonisti, per il tramite della preghiera, Dio e l’uomo.

In particolare in questo tempo di Pasqua le nostre comunità sono chiamate a non rinchiudersi nel proprio “io”, ma ad allargare il loro sguardo al tempo drammatico che stiamo vivendo e con la guerra divenuta notizia quotidiana a cui rischiamo di abituarci.

Solo nell’orizzonte in cui trovano posto Dio e gli uomini è possibile un agire umano e cristiano. Qui, allora, il richiamo alla preghiera è essenziale perché solamente la preghiera aiuta a fare discernimento, ossia a cogliere la realtà non in modo autoreferenziale.

È, infatti, opportuno ricordare che, nei versetti che precedono immediatamente il nostro testo (cfr. At 10,9-16), si fa cenno alla preghiera di Pietro. L’Apostolo, pregando, ottiene la luce necessaria per affrontare una questione essenziale nella vita della Chiesa: il rapporto con i pagani chiamati al Vangelo.

La preghiera di Pietro si unisce, così, alla preghiera di Cornelio – uomo giusto e timorato di Dio – il quale, a sua volta, si stava interrogando sul suo rapporto e su quello della sua famiglia con Dio.

Ciò che unisce Pietro e Cornelio è appunto la preghiera, che li rende capaci di abitare la propria esistenza a partire dalla logica di Dio e secondo la Sua sapienza. Ed è proprio durante la preghiera che Cornelio riceve la certezza che la sua domanda è stata esaudita e che Dio si è ricordato di lui (cfr. At 10,30-31).

Qualcosa di simile avviene per l’Apostolo Pietro che – salito sulla terrazza della casa in cui si trova – prega e vive un’esperienza particolare, una sorta di estasi o visione interiore (cfr. At 10,9-16).

A ben vedere il vero protagonista di questa pagina del libro degli Atti degli Apostoli è Dio che ascolta ed esaudisce le preghiere di Pietro e di Cornelio.

Dio interviene, ma gli uomini sono chiamati a fare la loro parte. Ecco, allora, il coraggio di chi va oltre il così detto “senso comune” e va, se è il caso, contro corrente, ossia si lascia portare dalla Parola che Dio sempre rivolge alla sua Chiesa e, concretamente, agli uomini e alle donne di Chiesa.

Come sempre, anche qui, la preghiera di Pietro e Cornelio riguarda la storia umana che sempre fa parte del piano di Dio e che da quel momento cambierà profondamente la vita di Cornelio, di Pietro, della Chiesa.

Questa pericope non ci offre una visione spiritualista dell’esistenza ma una visione spirituale; una visione oggi posta in discussione o, addirittura, messa da parte perché l’uomo oggi è il risultato della cultura del progresso, dell’emancipazione e, infine, dell’autonomia, perdendo di vista il rapporto con Dio.

Gli uomini e le comunità – risulta da tutta la storia della salvezza – si realizzano come esseri liberi quanto più accolgono e compiono, in loro, il piano di Dio che sempre chiede d’essere accolto con coraggio nella libertà.

Dio agisce nella Chiesa, nella storia, nelle nostre vite, in modo particolare attraverso la preghiera che sta alla base di ogni reale discernimento comunitario, oggi sempre più necessario all’interno del Cammino sinodale, e che ci permette di non ripiegarci sulle nostre opinioni e abitudini aprendoci, invece, a ciò che va oltre le visioni particolari.

Il libro degli Atti degli Apostoli sottolinea che Pietro, per pregare, non abbandona il luogo dove vive ma sale in un luogo elevato, una terrazza. Ciò significa che anche noi, rimanendo nel nostro quotidiano, nei nostri contesti, nelle nostre fatiche di ogni giorno, dobbiamo – con la preghiera – sollevarci, guardare oltre, saper scorgere la logica del Vangelo.

La preghiera ci aiuta così a capire, a discernere, ad opporci ad una concezione dell’uomo in cui Dio o è negato o espulso al di fuori delle vicende storiche del nostro oggi che ci interpella come discepoli e discepole del Signore. Una fede disincarnata non è la fede del Vangelo.

Cornelio, alla fine, si fida e si affida alla parola di Pietro; non sa ancora di doversi battezzare ma accetta la Parola di Dio ed entrerà, così, nella comunità del Risorto.

Dio, prima, aveva parlato a Pietro attraverso un linguaggio che esprime un suo desiderio e bisogno umano, vitale, creaturale – il bisogno di mangiare, la tovaglia imbandita di ogni tipo di cibo –, ma lo introduce in una realtà ulteriore. Dio si adatta a noi ed entra nelle nostre esigenze, bisogni e povertà umane. Dio ci parla con un linguaggio che, se tendiamo le orecchie del cuore, è un linguaggio eloquente e sempre intendibile perché Dio ha sempre questa paternità e questa misericordia quando si accosta a ciascuno di noi e alle nostre comunità.

Sentiamo, quindi, la responsabilità di cogliere la chiamata e le indicazioni di Dio considerando la preghiera come primo momento e atto di ogni pastorale della carità.