Intervento del Patriarca e Gran Cancelliere al Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto (Padova, 13 marzo 2024)
13-03-2024

Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto

(Padova, 13 marzo 2024)

Intervento del Gran Cancelliere e Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Saluto cordialmente il Vescovo di Padova e Vice Gran Cancelliere della Facoltà, i confratelli Vescovi presenti, le autorità civili e militari, le autorità accademiche, i docenti, gli studenti, il personale amministrativo-tecnico e quanti, a vario titolo, sostengono la nostra Facoltà.

Un ringraziamento va a S.E. Mons. Cesare Pagazzi, nominato da Papa Francesco poco più di un anno fa Segretario della Sezione Educazione del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione e Arcivescovo da poco più di un mese. Ascolteremo con attenzione la sua prolusione – “Le esperienze comuni e l’unico necessario. Teologia ed evangelizzazione” – che ci riporta al compito e al ruolo essenziale della teologia.

“Quella che oggi emerge di fronte ai nostri occhi – afferma Papa Francesco nella “Veritatis gaudium”è «una grande sfida culturale, spirituale ed educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione», anche per le Università e Facoltà ecclesiastiche” (Papa Francesco, Costituzione apostolica “Veritatis gaudium” circa le Università e le Facoltà ecclesiastiche, 29 gennaio 2018, n. 6). E da questa constatazione nasce quindi l’indicazione di misurarsi e confrontarsi sempre, nella ricerca teologica e nell’impegno formativo e culturale, con la “fede gioiosa e incrollabile in Gesù crocifisso e risorto, centro e Signore della storia” affinché esprima frutti copiosi. 

Il tema della prolusione odierna ci riconduce a Cristo e al nostro essere “in Cristo”, per usare l’archetipo paolino, e ancora all’essere tutti “tralci” dell’unica vera vite che è sempre Lui, per stare alla parallela immagine giovannea; qui nasce e si sviluppa ogni teologia autenticamente cristiana ed ogni azione o iniziativa che voglia essere realmente evangelizzatrice.

«Se la teologia cristiana vuol essere “scienza”, allora essa deve possedere un metodo adeguato al suo oggetto e determinato a partire da lui – scriveva von Balthasar a proposito della “semplicità” della teologia – (…). L’obiettività della riflessione e dell’affermazione teologica esige che essa si svolga non in uno “star l’uno di fronte all’altro” prendendo distanza, ma in un “in-essere” ed “essere a partire da”. L’affermazione di Gesù: “Chi non rimane unito a me, si secca” e “senza di me non potete far nulla” è per il pensiero e l’affermazione teologici non meno importante che per l’esistenza e per l’operare esteriore” (Hans Urs von Balthasar, La semplicità del cristiano, Milano 1984, p. 85).

C’è come un atto di umiltà e senso del reale che, negli studi teologici, si è chiamati continuamente a rinnovare. E concerne appunto l’essere e lo stare “in Cristo” perché, per utilizzare ancora il linguaggio balthasariano, “Cristo è l’immagine archetipa di ogni teologia e la garanzia della sua possibilità” (Hans Urs von Balthasar, op. cit, p. 86).

Gesù Cristo – vero Dio e vero uomo – non solo ci schiude alla piena conoscenza e comprensibilità del Padre ma ci apre alla possibilità di portare a compimento le capacità, le doti, le risorse della nostra umanità libera e responsabile dinanzi a Dio. Divino e umano si toccano e si amplia così lo spazio e l’orizzonte di libertà, verità e amore che all’uomo è dato di abitare non come spettatore ma come partecipante consapevole.

Tale riferimento primo ed essenziale – lo sguardo a Cristo, l’essere “in Cristo”, il legame vitale quale è quello che passa tra la vite e i tralci – non sottrae nulla alla persona – in particolare, nello specifico, a chi si applica negli studi ed esercizi teologici – né la limita ma, anzi, dona alla persona una privilegiata e concreta via di accesso al Mistero e per affrontare la realtà, la vita quotidiana e le relazioni sociali, preservandola semmai da pretese e presunzioni.

In questo senso, può essere importante riprendere in mano la storia della Chiesa e del suo magistero, a partire dalla “formula calcedoniana” adottata nel Concilio dell’anno 451 sulla vera natura divina e sulla vera natura umana della persona di Cristo, sulle caratteristiche di questa unità – fatta per distinzione e non per separazione – e poi da quanto opportunamente precisato, al riguardo, dal terzo Concilio di Costantinopoli (anni 680-81) nel quale si compone la cosiddetta teologia neocalcedoniana.

Con lo spessore del suo pensiero teologico, Joseph Ratzinger si esprimeva così: “L’unità di Dio e uomo in Cristo non include alcun genere di amputazione e di riduzione della natura umana. Se Dio si congiunge con la sua creatura, l’uomo, né lo ferisce né lo diminuisce; lo porta piuttosto alla sua pienezza” (Joseph Ratzinger, Guardare al Crocifisso. Fondazione teologica di una cristologia spirituale, Milano 1992 pp. 34-ss.). Così si dischiudono anche per l’uomo orizzonti di vera libertà non più angusti ma, semmai, più accentuati.

Lungo questo solco anche oggi si può articolare e rendere feconda la nostra ricerca e opera teologica e di evangelizzazione che trae ispirazione e fondamento dalla fede nell’Unico Necessario e che si nutre di intimità profonda con Cristo e di una preghiera incessante, intensa, fedele ed assidua anche nel tempo.

“Nell’unità della persona di Gesù, che abbraccia l’uomo e Dio – sono ancora parole di Ratzinger – è tracciata quella sintesi di uomo e mondo, al cui servizio dovrebbe stare la teologia. Io credo che si possa intravedere qui la bellezza e la necessità del compito del teologo. In un mondo contrassegnato dalle divisioni egli dovrebbe portare alla luce i fondamenti d’una possibile unità” (Joseph Ratzinger, Guardare al Crocifisso. Fondazione teologica di una cristologia spirituale, Milano 1992 p. 41).

Lo sviluppo di questa riflessione porta poi a sottolineare che tutto ciò può avvenire nel momento in cui il teologo accetta di entrare in una sorta di “laboratorio dell’unità e della libertà” in cui si è disposti a lasciar trasformare e rinnovare la propria volontà inserendola in quella volontà divina che scaturisce dal guardare a Cristo e dal conformarsi a Lui divenendo, in qualche modo, simili a Dio nel Figlio Gesù, il solo in cui si dà la piena inclusività e cattolicità dell’unico necessario.

A tutti i battezzati – la teologia infatti è per tutti, laici/che, consacrati/e ministri ordinati -, a tutti, sia pure in modi differenti, spetta il compito e la responsabilità di introdursi in questo “laboratorio” teologico e raccogliere con gioia e coraggio – anche attraverso le sollecitazioni e gli spunti offerti dalla prolusione dell’Arcivescovo Cesare Pagazzi – questa prospettiva decisa e decisiva.