Intervento del Patriarca durante l'incontro con gli insegnanti di religione cattolica della Diocesi (Zelarino / Centro pastorale card. Urbani, 12 marzo 2024)
12-03-2024

Incontro con gli insegnanti di religione cattolica della Diocesi

(Zelarino / Centro pastorale card. Urbani, 12 marzo 2024)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Carissime e carissimi insegnanti,

all’inizio di questo incontro – significativo per la nostra Chiesa particolare – desidero, prima di tutto, esprimere la mia stima, il mio apprezzamento e il mio sostegno e quello di tutta la Chiesa che è in Venezia per l’impegnativo e fondamentale compito che vi è affidato e che portate avanti, ogni giorno, con passione e spesso in condizioni faticose.

Tutti incoraggio a mantenere vive e a rinnovare le migliori motivazioni e lo spirito che vi hanno portato a seguire la strada dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) nelle scuole.

Saluto in particolare il prof. Mauro Ceolin che, già da alcuni mesi, guida l’Ufficio diocesano che si occupa dell’IRC mentre volentieri rivolgo un sentito e pubblico grazie alla prof.ssa Monica Voltan che, per tanti anni, lo ha preceduto in questo delicato e prezioso servizio in cui ha profuso passione, intelligenza ed una competenza a 360 gradi.

Uno speciale incoraggiamento rivolgo ai singoli docenti che si dovranno cimentare nella prova concorsuale – sia straordinaria che ordinaria – e li invito anche, se possibile, ad aiutarsi e sostenersi a vicenda nel tempo di preparazione seguendo con cura tutte le indicazioni ricevute nel relativo bando.

Ai docenti di religione che sono già “di ruolo” (che hanno cioè superato il concorso del 2004 e sono attualmente in servizio) rivolgo l’invito a rendersi disponibili a far parte delle commissioni esaminatrici, così da poter dare il loro contributo e vigilare anche sulla correttezza della prova. Del resto, è lo stesso Decreto del Ministero dell’Istruzione e del merito uscito alcuni giorni fa che, parlando della composizione delle commissioni (art.11 comma 1), stabilisce che la nomina a commissari venga attribuita “in via preferenziale” a insegnanti di religione cattolica di ruolo.

Vorrei oggi riflettere con voi sul valore e sulle caratteristiche fondamentali dell’impegno di insegnante della religione cattolica nelle scuole.

Vale la pena, prima di tutto, ricordare come la figura del docente IRC è definita ed inquadrata nel protocollo addizionale che ha accompagnato la revisione del Concordato tra Santa Sede e la Repubblica italiana: “L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole (…) è impartito – in conformità alla dottrina della Chiesa e nel rispetto della libertà di coscienza degli alunni – da insegnanti che siano riconosciuti idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità scolastica”.

Tale definizione, com’è evidente, traccia un preciso senso di appartenenza dell’insegnante che, da un lato, è chiamato a svolgere la sua opera in riferimento e in “conformità” alla dottrina della Chiesa e, dall’altro, è una persona che ha ricevuto un mandato e un riconoscimento da parte della stessa Chiesa.

Di fronte a questo “riferimento” ecclesiale, poi, viene rimarcato “il rispetto della libertà di coscienza” degli studenti i quali, del resto, partecipano su base e scelta volontaria alle lezioni dell’IRC che, come ben sapete, si distinguono in modo netto ed inequivocabile dal momento della catechesi che può essere vissuto in parrocchia o in ambito associativo.

È importante, allora, innanzitutto riconoscere e valorizzare questo senso di appartenenza che sta all’origine del vostro impegno professionale di insegnanti della religione cattolica e, quindi, svilupparlo come una risorsa preziosa – non certo un problema – per il vostro lavoro quotidiano.

Non va nascosto o trascurato tale aspetto, perché è elemento di chiarezza e forza. Sarebbe sbagliato, insomma, perseguire una impossibile e irrealistica “neutralità” in ambito culturale ed educativo e sarebbe anche una sorta di inganno nei confronti di voi stessi, degli altri colleghi, degli alunni e delle loro famiglie.

Qui dobbiamo essere chiari, fino in fondo: non esiste una persona “neutrale”, ossia scevra da ogni tipo di condizionamento di pensiero o di mentalità; tutti, insegnanti compresi, hanno un riferimento ideale principale (o più vicino) a cui ci si rifà, più o meno consapevolmente, e che in qualche modo orienta e suscita parole, pensieri ed azioni. Chi non ha opinioni o non ha orientamenti, anzi, potremmo dire che “non esiste” e chi si professa “neutrale”, in realtà, una certa scelta l’ha già fatta.

“Deve considerarsi falsa e, al limite, disumanizzante, l’idea che per essere veri educatori bisogna essere neutrali, non avere convinzioni, non avere nulla da dire e da trasmettere – scriveva tempo fa il Vescovo Mariano Crociata, già segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana -. Avere idee, convinzioni, visioni ideali non è una minaccia per la libertà e l’autonomia, ma è, al contrario, l’unico modo di renderle possibili. Rispettare l’altro, specialmente colui che deve essere educato, non vuol dire nascondergli una scelta possibile e una decisione per la verità, ma offrirgliela come una strada possibile. Solo se si vedono strade da percorrere si può camminare; e solo conoscendo strade che sono state positivamente percorse, ciascuno per sé e noi insieme possiamo trovare la nostra strada” (Mariano Crociata, Sulla formazione degli insegnanti di religione cattolica: prendere forma come processo di autoformazione, in CEI – Servizio Nazionale per l’IRC, “Io non mi vergogno del vangelo” (Rm 1,16). Irc per una cultura a servizio dell’uomo. Meeting IDR 2009, EDB Bologna 2010, pp. 55-68).

Educare ed insegnare è un compito delicato e difficile perché chiama in causa – e non potrebbe essere altrimenti – la libertà di ogni soggetto. Questo vale anche in ambito religioso, perché la relazione tra l’uomo e Dio è intessuta e vive di libertà.

Quando, parecchi anni fa, la Chiesa italiana individuò proprio il tema dell’educazione come centrale negli orientamenti pastorali per il decennio appena trascorso, racchiuse nel documento “Educare alla vita buona del Vangelo” alcune riflessioni importanti e validissime anche oggi per noi: “In una società caratterizzata dalla molteplicità di messaggi e dalla grande offerta di beni di consumo, il compito più urgente diventa, dunque, educare a scelte responsabili. Per questo, sin dai primi anni di vita, l’educazione non può pensare di essere neutrale, illudendosi di non condizionare la libertà del soggetto. Il proprio comportamento e stile di vita – lo si voglia o meno – rappresentano di fatto una proposta di valori o disvalori. È ingiusto non trasmettere agli altri ciò che costituisce il senso profondo della propria esistenza. Un simile travisamento restringerebbe l’educazione nei confini angusti del sentire individuale e distruggerebbe ogni possibile profilo pedagogico” (Conferenza Episcopale Italiana, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 10).

Qui, è evidente, entra in gioco decisamente il valore della testimonianza personale e del coinvolgimento autentico che l’insegnante riesce ad offrire agli altri in relazione a ciò che trasmette e propone. C’è qui tutta la rilevanza del reale orientamento e del concreto stile di vita (umano ed anche spirituale) che traspare dal vostro insegnare e dal vostro “stare” in relazione nel mondo della scuola che frequentate ogni giorno.

Gli studenti che vi stanno di fronte (e, aggiungo, anche le loro famiglie) hanno, in un certo senso, il diritto di incontrare nell’insegnante di religione «una personalità credente, che suscita interesse per quello che insegna, grazie anche alla coerenza della sua vita e alla manifesta convinzione con cui svolge il suo insegnamento. E un impegno che va svolto “con la solerzia, la fedeltà, l’interiore partecipazione e non di rado la pazienza perseverante di chi, sostenuto dalla fede, sa di realizzare il proprio compito come cammino di santificazione e di testimonianza missionaria” (sono, queste ultime, parole di san Giovanni Paolo II). Questa nota specifica e qualificante del docente di religione caratterizza la sua stessa professionalità e comunque ne costituisce un elemento insostituibile» (Conferenza Episcopale Italiana, Nota pastorale dell’Episcopato italiano sull’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche – anno 1991, n. 18).

Per questo, con serenità e sempre nell’intento di crescere e migliorarsi, è bene ogni tanto farsi qualche domanda: il mio insegnamento è davvero autentico e significativo – e perciò “efficace” – nel senso che è percepito ed è realmente autentico e significativo in riferimento ai contenuti che trasmetto e alla fede cristiana che aiuto a conoscere ed approfondire nel particolare contesto scolastico? O ancora: lo studente, i colleghi e le famiglie che incontro ogni giorno a scuola percepiscono questo mio genuino coinvolgimento personale, insieme alla limpidezza e alla verità della mia testimonianza personale/professionale?

Non dimenticate che l’ora di religione rimane tuttora – e ognuno di voi, probabilmente, potrebbe raccontarlo in maniera convincente – un’opportunità quasi unica per tornare ad affrontare quelle grandi domande antropologiche che entrano – a volte in maniera soffusa e a volte in modo prepotente – nella vita di un ragazzo o di una ragazza che stanno crescendo e si apprestano a diventare uomo o donna. A partire da queste domande si possono aprire brecce inaspettate ed è qui importante saper indicare quel positivo e benefico sguardo sulla realtà che la storia e l’attualità della fede cristiana sono in grado di offrire.

Anche il fatto di essere insegnanti di religione cattolica “riconosciuti” idonei e, quindi, “mandati” a pieno titolo dalla Chiesa, è qualcosa che chiede d’essere valorizzato come risorsa; è, infatti, un elemento importante di comunione e di forza, l’espressione di un impegno più grande che coinvolge l’intera comunità ecclesiale nell’ambito formativo ed educativo.

Richiamando ancora il tema della supposta ed impossibile “neutralità”, l’essere legati alla Chiesa e, quindi, portatori di una “visione” precisa – e di un insieme di riferimenti, proposte e valori da immettere nella vita sociale e culturale – dovrebbe essere considerato e vissuto come un momento di “laicità positiva” che rende possibile e favorisce un vero dialogo con chiunque ed in particolare con tutte le molteplici provenienze ed origini culturali e religiose di tanti alunni oggi presenti nelle nostre scuole.

In questo contesto si potrà anche far emergere il profondo legame tra cultura e fede, aiutando a comprendere come una fede religiosa genera necessariamente una cultura, ispira e “forma” una società con tutti i suoi riferimenti che è necessario conoscere in sé e nella loro storia per essere cittadini realmente liberi, responsabili e capaci di partecipare a pieno titolo alla vita sociale e politica.

E sarà bello far riscoprire continuamente come i pilastri della nostra società “liberaldemocratica” (pur con tutte le inadeguatezze e le contraddizioni che mostra ogni giorno…) sono strettamente riconducibili alla fede cristiana, concretamente vissuta e praticata nella storia: pensiamo al primato della persona e al valore della coscienza umana e della sua libertà, ma pensiamo anche a tante realizzazioni sociali, dagli ospedali alle università e all’attenzione verso i più poveri e scartati.

Fa riflettere e crea irritazione – è notizia di questi giorni – la scelta del Comitato organizzatore dei Giochi Olimpici di Parigi 2024 di togliere la croce dalla cupola della chiesa degli Invalides dal manifesto ufficiale che promuove tale evento; in tal modo, si divulga con un’immagine non rispondente al vero – la croce è elemento qualificante di quella chiesa – una vera e propria fake news, cancellando la storia e urtando la sensibilità di molti cristiani e – aggiungo – di tutte le persone di buon senso. Non sarebbe stato più intelligente, a questo punto, scegliere un altro soggetto per promuovere la manifestazione?

Anche alla luce di questo triste e stupido episodio, ritengo che faccia parte del compito educativo coltivare un sereno ma reale spirito critico, specialmente di fronte alle crescenti ed ambigue – ma sempre più pervasive, -forme di “cancel culture” (cultura della cancellazione o del boicottaggio) propugnate da ambienti spesso colti – che dovrebbero essere intellettualmente e culturalmente “avanzati” – e che, in nome di un sedicente progresso, colpiscono sia la cultura d’ispirazione cristiana sia tutta l’eredità di matrice greco-romana. Ma così si distruggono le radici!

Recentemente ho letto in un libro – Giulio Meotti, I nuovi barbari. In Occidente è vietato pensare (e parlare)?, Torino 2023 – che alla Columbia University la lettura delle Metamorfosi di Ovidio viene preceduta da un trigger warming, un avvertimento agli studenti, perché quel libro “contiene materiale offensivo e violento che marginalizza le identità degli studenti”. Ad Oxford, poi, è stato ridimensionato lo studio di classici come l’Iliade, l’Odissea e l’Eneide per “facilitare la diversity nei literae humaniores insegnati da novecento anni”. A Princeton gli studenti non sono più tenuti a imparare il greco e il latino per favorire un ambiente “più inclusivo ed equo” e combattere il “razzismo sistemico”. Ma anche alcuni capolavori della pittura realizzati da Manet, Picasso, Gaugin e Cézanne sono stati sottoposti, nella nostra Europa, a singolari forme di revisione nella presentazione al pubblico e nella titolazione perché, in vario modo, definite in odore di “razzismo e sessismo” o troppo “occidentali”.

“La guerra contro le discipline umanistiche greco-latine ha appena svoltato – commentava un critico letterario di “Le Monde” (Pierre Assouline) –: non si tratta più di criticarle, denunciarle, ridurle, ma di distruggerle”. Tenete conto di quest’onda sempre più violenta e pericolosa che si va sempre più espandendo dai circoli universitari al mondo culturale, didattico e artistico del nostro mondo occidentale e in Europa.

Certo, conosco e non sottovaluto le difficoltà e le fatiche quotidiane che voi insegnanti di religione dovete fronteggiare ogni giorno sia nell’ambito specifico scolastico che anche, talora, nei rapporti con la stessa realtà ecclesiale che non sempre, magari, vi considera o vi supporta come dovrebbe, a cominciare forse da qualche parroco del territorio in cui insegnate… Ma, in ogni caso, non bisogna scoraggiarsi ed anzi è opportuno curare sempre molto bene questi rapporti intra-ecclesiali e far sì che la collaborazione e la reciproca stima possano sempre più crescere col tempo.

A conclusione del mio intervento affido soprattutto a Voi questo “ritratto” che non tocca solo l’insegnante di religione ma che riguarda, in realtà, ogni insegnante ed educatore cristiano.

Lo ha definito in modo molto puntuale Papa Francesco che, fra poche settimane, avremo la gioia di accogliere tra noi a Venezia: “La presenza di educatori cristiani nel mondo della scuola è di vitale importanza. E decisivo lo stile che egli o ella assume. L’educatore cristiano infatti è chiamato ad essere nello stesso tempo pienamente umano e pienamente cristiano. Non c’è umanesimo senza cristianesimo. E non c’è cristianesimo senza umanesimo. Non dev’essere spiritualista, in orbita, “fuori dal mondo”. Dev’essere radicato nel presente, nel suo tempo, nella sua cultura. È importante che la sua personalità sia ricca, aperta, capace di stabilire relazioni sincere con gli studenti, di capire le loro esigenze più profonde, le loro domande, le loro paure, i loro sogni. E che sia anche capace di testimoniare – anzitutto con la vita e anche con le parole – che la fede cristiana abbraccia tutto l’umano, tutto, che porta luce e verità in ogni ambito dell’esistenza, senza escludere niente, senza tagliare le ali ai sogni dei giovani, senza impoverire le loro aspirazioni. Nella tradizione della Chiesa, infatti, l’educazione dei giovani ha sempre avuto come obiettivo la formazione completa della persona umana, non solo l’istruzione dei concetti, la formazione in tutte le dimensioni umane” (Papa Francesco, Discorso del Santo Padre ai partecipanti all’Assemblea generale dell’Unione mondiale degli insegnanti cattolici, 12 novembre 2022).