Intervento del Patriarca durante la consegna alla città del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi (Marghera / Teatro Aurora, 4 ottobre 2019)
04-10-2019

Consegna alla città del Documento sulla fratellanza umana di Abu Dhabi

(Marghera / Teatro Aurora, 4 ottobre 2019)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Gentili autorità, cari amici,

già il nostro unanime convergere qui stasera è una testimonianza bella e significativa del valore dell’incontro e, insieme, un’attestazione che è proprio vero quanto è scritto, subito all’inizio, nella prefazione del Documento sulla fratellanza umana sottoscritto nel febbraio scorso ad Abu Dhabi e che il direttore Tarquinio ci ha ben inquadrato nel suo intervento: “La fede porta il credente a vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. Dalla fede in Dio, che ha creato l’universo, le creature e tutti gli esseri umani – uguali per la Sua Misericordia –, il credente è chiamato a esprimere questa fratellanza umana, salvaguardando il creato e tutto l’universo e sostenendo ogni persona, specialmente le più bisognose e povere”.

Vogliamo dare seguito, nella concretezza della nostra storia e nella vita di questa città (è il senso del gesto di consegna che faremo tra poco), a questi propositi e così fare degna e consapevole memoria del grande evento che ricordiamo in questo giorno, per la Chiesa festa di san Francesco d’Assisi. Il suo incontro con il sultano Malik al-Kāmil, in Egitto, è stato un evento che ha certamente segnato la storia delle relazioni tra Cristianesimo e Islam.

Sia l’incontro tra Francesco e il Sultano che, su altro piano, la stessa sottoscrizione del Documento sulla fratellanza umana, sono stati gesti di coraggio “ragionevole” perché dettati dalla fede, dall’amore, dalla speranza, da quelle virtù dette “teologali” perché da Dio discendono e ci rendono capaci di una vita bella e buona, di incontri autentici e positivi che possono cambiare lo scorrere degli eventi del mondo, di un popolo e di una comunità.

In particolare la figura di san Francesco d’Assisi, oggi più che mai, ci ricorda che il mondo va amato sempre ben sapendo che il Vangelo porta spesso il nostro modo di guardare le persone, le situazioni e i fatti, spesso distante da quello del mondo; essere liberi vuol dire, allora, anche saper fare scelte controcorrente e al di fuori del comune pensiero dominante.

Il Santo d’Assisi – seguendo alla lettera il Vangelo – ci insegna così ad abbracciare l’intera umanità, andando incontro ad ogni uomo, anche a quello a noi più “lontano”. Francesco si mise in viaggio per incontrare il Sultano e fu un evento straordinario ed ancor’oggi umanamente poco spiegabile, che non smette di interrogarci dopo così tanto tempo e di cui noi ricordiamo, proprio in questi giorni, gli 800 anni.

L’incontro e il dialogo con l’altro, poi, in Francesco non significa venire meno e non comporta la conseguenza di annacquare la propria identità; anzi, la si afferma e la si condivide – con amore e nella verità – andando verso l’altro nel nome della comune e “fraterna” umanità – “che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali”, recita il testo di Abu Dhabi – e dei valori fondamentali della vita – innanzitutto di libertà originata dalla Sapienza divina e di giustizia intessuta di misericordia – che l’unico Dio, Onnipotente e Misericordioso, ci ha trasmesso e consegnato.

Il cristiano è chiamato, secondo lo spirito del Vangelo e insieme ad ogni uomo di buona volontà e, in particolare, a tutti i credenti in Dio, a perseguire e testimoniare, ogni giorno, con la parola e i fatti il percorso che Papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar hanno delineato e ribadito nel Documento sulla fratellanza umana.

È singolare e interessante notare che nel documento si accenna anche all’incontro che attende tutti i credenti in Dio, ossia “l’incontro finale con Lui e il Suo Giudizio”. Ci accomuna allora, nel nostro incontrarci, il senso di responsabilità che sentiamo nei confronti di Dio, di noi stessi, degli altri, dell’intero Creato. Ed è ancor più significativo osservare che i firmatati hanno voluto porre, nel legame con la realtà contemporanea, anche tali parole: “Questa Dichiarazione, partendo da una riflessione profonda sulla nostra realtà contemporanea, apprezzando i suoi successi e vivendo i suoi dolori, le sue sciagure e calamità, crede fermamente che tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi siano una coscienza umana anestetizzata e l’allontanamento dai valori religiosi, nonché il predominio dell’individualismo e delle filosofie materialistiche che divinizzano l’uomo e mettono i valori mondani e materiali al posto dei principi supremi e trascendenti”.

Viene così riaffermato quel terreno comune di umanità, di grandi valori umani, sul quale incontrarci e camminare insieme, con rispetto e cordialità, in una reciproca conoscenza sempre più da sviluppare. Ad iniziare dal valore primo e ultimo, quello della vita (anche quando essa è particolarmente fragile e bisognosa di aiuti, attenzioni e cure), a cui il Documento dedica un passaggio molto forte: “Il primo e più importante obiettivo delle religioni è quello di credere in Dio, di onorarLo e di chiamare tutti gli uomini a credere che questo universo dipende da un Dio che lo governa, è il Creatore che ci ha plasmati con la Sua Sapienza divina e ci ha concesso il dono della vita per custodirlo. Un dono che nessuno ha il diritto di togliere, minacciare o manipolare a suo piacimento, anzi, tutti devono preservare tale dono della vita dal suo inizio fino alla sua morte naturale. Perciò condanniamo tutte le pratiche che minacciano la vita come i genocidi, gli atti terroristici, gli spostamenti forzati, il traffico di organi umani, l’aborto e l’eutanasia e le politiche che sostengono tutto questo”.

Uomini e donne credenti sono chiamati ad individuare oggi modalità capaci di trasmettere in maniera “sensata” la fede in un contesto storicamente e culturalmente determinato, secondo un approccio che permetta d’entrare in dialogo proficuo con gli uomini e le donne del nostro tempo che portano in sé, oltre a forti contraddizioni, anche non pochi valori e richiami alla Trascendenza.

Ciò si manifesta, per esempio, attraverso le ricorrenti ed ineludibili domande sul senso della vita e, più in generale, dell’essere. A ben vedere, infatti, le realtà create e l’uomo in primis rimandano sempre a Qualcuno – qualcosa non basta – che va oltre loro, così da poter render ragione della precarietà strutturale che le caratterizza. Le creature, in quanto tali, sono realtà fragili che denunciano la loro insufficienza interrogandosi sulla loro origine e fine, la morte. Tale fragilità strutturale appartiene all’uomo in quanto tale e può mostrare in ogni momento tutta la sua forza dirompente.

Le domande che interpellano oggi l’uomo sono, ad un tempo, le più profonde e universali, sono quelle di sempre ma, anche, le più semplici e più vere: “Io, chi sono?”, “Da dove vengo?”, “Dove sono diretto?”, “Cosa mi aspetta dopo questa vita?”, “Ha senso una felicità destinata a finire?”, “Chi garantisce la mia domanda ultima di felicità?”.  Sono domande che non appartengono a determinate culture o scuole di pensiero ma, come costanti, ritornano continuamente, pesanti come macigni e destinate – come sono – a riemergere perché esprimono i problemi eterni dell’uomo e dell’intera umanità. Sono le grandi domande che l’uomo si porrà sempre in ogni tempo e luogo.

Abbiamo, qui, una sorta di pista che ci permette di entrare, in modo concreto, in dialogo con gli uomini e le donne che ogni giorno incrociamo lungo le strade delle nostre città e nei luoghi ove viviamo.  Questi “tu” molteplici – uomini e donne che incontriamo ogni giorno – ci richiamano la pienezza personale di quel “Tu” di Dio che solo può darci ragione della nostra fragilità e precarietà personale. E solo a partire da una vita superiore possiamo rispondere alle domande che la libertà, la coscienza e l’autocoscienza ci pongono.

Siamo, infatti, consapevoli “la fede in Dio unisce i cuori divisi ed eleva l’animo umano”, come dice ancora il Documento di Abu Dhabi, e che la fede in Dio ha molto da dire e da dare per la vita buona di una città, per la convivenza pacifica, ordinata e cordiale tra tutti coloro che condividono, qui ed ora, la nostra comune umanità.