Incontro ecumenico nella Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
(Venezia / Basilica di S. Marco, 20 gennaio 2017)
Intervento del Patriarca Francesco Moraglia
Cari fratelli e sorelle,
desidero, innanzitutto, manifestare la mia gioia al Signore per questo momento di preghiera comune, infatti, guardando insieme verso di Lui ritroviamo noi stessi; un saluto cordiale a voi e alle vostre comunità.
Lasciamoci guidare dal testo appena letto e che, come sappiamo, è tratto dalla seconda lettera ai Corinzi (5,14-20). Teniamo sullo sfondo l’attenzione originaria che muove Paolo, ossia il Vangelo della grazia e della misericordia di Dio.
Lo sguardo con cui avviciniamo il testo paolino è quello di Lutero, il padre della Riforma e così, in quest’anno 2017, vogliamo ricordare nel consueto incontro di preghiera della settimana ecumenica i Cinquecento anni della Riforma, chiedendo al Signore che – in una maggiore capacità d’ascolto della Sua Parola e in una rinnovata comunione fra le confessioni cristiane – si compia la consegna dell’unità.
Innanzitutto, desidero richiamare quello che Papa Francesco ha detto nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, il 25 gennaio dello scorso anno, quando ha sottolineato come in Lutero il Vangelo della grazia e l’annuncio della misericordia di Dio rispondevano ad una sua struggente e intima domanda ma anche a istanze comuni agli uomini e alle donne del suo tempo.
Nel testo della seconda lettera ai Corinzi, l’apostolo dice: “Poiché l’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5, 14-15).
Per l’Apostolo la morte di Cristo in croce è l’evento risolutivo della storia e, quindi, l’evento escatologico (definitivo) in grado di vincere la lontananza dell’uomo dal peccato, l’evento che inaugura l’era nuova.
Il Vangelo – il buon annuncio – nasce proprio di qui, dalla croce, e a partire dalla croce continuamente sgorga l’azione salvifica di Cristo. Solo nella croce Cristo ci rivela la misericordia di Dio. Nella grazia e per grazia ha origine il mondo del Vangelo.
Il cristiano, quindi, è colui che crede e annuncia la Croce come evento di salvezza in cui Dio dona la fede che – come ricorda l’autore della lettera agli Ebrei vince il mondo, ossia quel sapere che si dispiega secondo la pura logica umana mentre per Lutero ciò che conta è la theologia crucis, dove Dio è totalmente implicato.
Il quarto Evangelo è chiaro: la croce è l’ora stessa di Gesù, l’ora per cui Gesù è venuto nel mondo; è l’ora in cui il Figlio si dona al Padre e il Padre accoglie il dono che il Figlio fa di se stesso “sino alla fine”. Tutto poi si compie nel “sì” della risurrezione che giunge a pienezza nel dono dello Spirito Santo, quando i discepoli vengono mandati in missione (Gv 19,28-30; 20,19-23).
La fede cristiana si esprime, in tal modo, nella theologia crucis in cui il Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo riconciliano il mondo; l’annuncio nel dono gratuito di Dio – la grazia – è il fulcro della predicazione di Lutero.
Con il padre della Riforma possiamo dire quindi che al centro del Nuovo Testamento sta proprio la Croce e che, in ogni epoca, tempo e cultura, la Croce rimarrà sempre il “caso serio” del cristianesimo da cui dobbiamo continuamente partire e rimanere fedeli.
Queste parole risuonano con forza particolare in questa Basilica che contiene le spoglie dell’evangelista Marco che, nel suo Vangelo, intende rispondere proprio alla domanda: “Ma chi è Gesù?”.
Per fare questo l’evangelista ci guida alla comprensione della croce che così diviene il centro del suo Vangelo. Non dimentichiamo, infatti, come la professione di fede del centurione non avvenga di fronte a un miracolo ma dinanzi alla croce: “Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!»” (Mc 15, 39).
Secondo alcuni esegeti Marco, nel suo scritto, voleva prendere le distanze da una fede incline a evidenziare la potenza di Gesù, dei suoi miracoli; Marco, in qualche modo, ne avverte il pericolo e così Egli teme una cristologia della gloria a scapito di una teologia della croce. Teme, quindi, una comunità che rifiuti sia la presenza sia la logica del Cristo crocifisso e, conseguentemente, il conformarsi a una theologia crucis (cfr. Bruno Maggioni, Un Dio fedele alla storia, San Paolo, 2012, pag. 99-103).
Porre, infatti, al centro della predicazione delle Chiese e, ancor più, del Nuovo Testamento qualsiasi altro fondamento che non sia il Cristo crocifisso è tradire la fede biblica, distorcendo la Parola di Dio e sviando l’uomo.
La Croce, quindi, è il caso serio del cristianesimo e con Balthasar diciamo: “Non meraviglia certo che, anche dopo la risurrezione, i discepoli abbiano potuto capire solo a poco a poco il senso della croce. A quelli di Emmaus il Signore in persona impartisce un primo ammaestramento catechetico, mostrando che quanto sembrava loro inconcepibile era l’adempimento di quanto era stato profetizzato, che gli interrogativi aperti dall’Antico Testamento solo qui trovano la loro soluzione (cfr. Lc 24,27)“ (Hans Urs von Balthasar, Piccola guida dei cristiani, Jaca Book, 1980, pag.78).
La theologia crucis è la grande intuizione di Lutero che – rispettando lo specifico delle differenti confessioni cristiane – va tenuta desta e, incessantemente, va posta al centro della predicazione. E anche noi in questo nostro incontro ecumenico 2017 – a cinquecento anni dalla Riforma – vogliamo, a partire dallo specifico delle nostre Chiese, porre al centro la theologia crucis.
La theologia crucis è – e non potrebbe essere altrimenti – cristocentrica; Lutero infatti – a differenza della teologia cattolica – prenderà le distanze dalla teologia naturale per iniziare da Gesù Cristo, il solo capace di rivelare il vero volto di Dio.
E ora ritorniamo al testo di Corinzi; dice l’Apostolo: “Cosicché ormai noi non conosciamo più nessuno secondo la carne; e anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così. Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2Cor 5,16-17).
Così risulta che il vero opus Dei è Gesù Cristo; in Lui abbiamo il Dio nascosto che, nella sua infinita maestà, si fa carne e si riveste diventando il Dio nascosto nella nostra carne; così in Lui il contrasto delle apparenze, ossia la contraria species della carne, parola e sacramento, velano e insieme rivelano il Dio della grazia, in cui ogni condanna diventa premessa e promessa di salvezza.
Ora, l’opera di Cristo – ossia la Croce – non può in alcun modo esser diminuita o indebolita cadendo nella trappola dei ricorrenti pelagianesimi; l’unica fede che giustifica, infatti, è il “sì” pieno e definitivo che noi diciamo a Dio arrendendoci a Cristo, alla sua croce, alla sua grazia.
Anche qui l’uomo col suo sapere non deve dar la scalata a Dio; il sapere del mondo non è, infatti, il sapere di Dio. Il sapere di una ragione concentrata su di sé non è il sapere della fede che è, appunto, la sapientia crucis come ripete l’Apostolo all’inizio della lettera ai Corinti. Anche qui teologia cattolica e teologia della riforma possono reciprocamente fecondarsi dialogando, secondo le loro specificità, per oltrepassare le unilateralità sempre possibili.
Il seguente passo del Commento di Lutero alla lettera ai Romani ci può aiutare a capire: ”La giustizia non sarà data se non per mezzo della fede in Cristo: così è stabilito, così piace a Dio e non si cambierà; chi porrà resistenza alla sua volontà? Stando così le cose – continua il padre della Riforma –, è superbia ancor più grande voler essere giustificati, ma non per mezzo di Cristo” (Lutero, Commento alla Lettera ai Romani, vol. 56, pag. 255).
Ma, ora, ritorniamo, nuovamente, al testo di Corinzi: “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio“ (2 Cor 5, 18-20).
Così la soteriologia – ma qui il discorso vale per l’intera teologia – esprime un conoscere per passiones et crucem. Dio viene conosciuto solamente da chi assume la croce e coglie tutto a partire da essa; in tal modo, per il padre della Riforma, la theologia crucis – a differenza della theologia gloriae che vede Dio ovunque – lo scorge nel Cristo crocifisso, dove si dà anche il vero sapere teologico e la vera conoscenza di Dio.
Infine, dobbiamo ancora sottolineare come la croce non costituisca solo un oggetto e neanche l’oggetto materiale della teologia – o un suo capitolo – ma ne sia la stessa cifra, a partire dalla quale viene considerata tutta la teologia; la croce è, quindi, la prospettiva, il cono di luce dentro e attraverso cui si coglie ogni affermazione teologica. Sì, la theologia crucis è un modo di fare teologia, ossia di affrontare ogni questione teologica e mai si riduce al tema soteriologico; essa, infatti, riguarda tutte le singole affermazioni su Dio, su Cristo, sull’uomo e ne è il centro prospettico.
Solo il Cristo crocifisso è capace di rispondere alle domande di un’umanità che, a sua volta, è fatta di uomini e donne crocifissi a causa della loro storia di peccato, d’ingiustizia e prevaricazione. Solo Lui, il Cristo crocifisso, è in grado di rispondere ai gemiti e agli aneliti più profondi di questa umanità crocifissa al proprio peccato.
Solamente nel Cristo crocifisso noi abbiamo la risposta alle domande che s’innalzano da tutte le generazioni, nei momenti più drammatici della storia, e soprattutto quando gli uomini e le donne si pongono le domande sulla sofferenza, sull’ingiustizia e sulla morte, sulle sacche di povertà che continuano ad affliggere vaste aree del pianeta o sul fenomeno dei barconi e dei migranti a cui non può essere legata solo una lettura politico-economico-culturale ma che va compreso anche e soprattutto all’interno della più profonda lotta dell’uomo con se stesso, dell’uomo con gli altri uomini, dell’umanità che si è separata da Dio. A tutto questo solo la Croce di Cristo – la theologia crucis – offre uno squarcio di risposta.
Quando il malvagio ha il sopravvento sul giusto, quando la morte uccide la vita, allora ci poniamo queste domande e non come si trattasse di questioni filosofiche di tipo teorico-speculativo ma come le ferite sanguinanti della nostra stessa carne o che vediamo aprirsi nella carne delle persone che sono a noi più care.
Sì, la theologia crucis ci consegna la realtà cruda ma realissima del Dio crocifisso, nell’umanità di Cristo, che le nostre Chiese e comunità incontrano – come loro Salvatore – solo per grazia, nella fede.