Intervento del Patriarca all’incontro di presentazione dell’enciclica “Laudato si’” (Padiglione Aquae – Expo 2015 / Venezia – Marghera, 6 ottobre 2015)

06-10-2015
Incontro di presentazione dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato si’”
Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia
(Padiglione Aquae – Expo 2015 / Venezia – Marghera, 6 ottobre 2015)

Saluto e ringrazio tutti voi qui presenti e in particolare chi ha voluto realizzare questo momento di riflessione su quanto, con abbondanza di argomenti e profondità di analisi, Papa Francesco ci ha offerto nelle pagine della lettera enciclica “Laudato si’”.
Soffermarci su questo testo qui, all’interno del Padiglione Aquae – che prolunga e rilancia in area veneziana i grandi temi di Expo 2015 – e posizionati come siamo in questo particolarissimo tratto del nostro territorio – situato non solo simbolicamente ma proprio “fisicamente” adagiato tra terraferma e laguna, tra la città storica / d’arte e le zone industriali, di antica e rinnovata costituzione -, rende a dir poco singolare e non banale il nostro pensare, ragionare e dialogare sulla “Laudato si’”.
Basta, insomma, guardarci intorno e allargare più ampiamente lo sguardo sul panorama originalissimo di quest’area che ci ospita per comprendere l’urgenza e l’importanza del dono che Papa Francesco ci ha fatto con questo suo articolato testo che punta – sono parole sue – ad “ entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune” (n. 3).
E così cogliamo immediatamente anche la verità di quel legame necessario, e perciò insopprimibile, tra ecologia ambientale ed ecologia umana che costituisce uno dei cardini dell’enciclica. Non per nulla, il Santo Padre lo afferma sin dalle prime pagine e ci avverte che “la sfida urgente” nella cura della “nostra casa comune”  consiste nell’ “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare” (n.13).
Anche il nostro ritrovarci qui stasera, in fondo, è una risposta al suo appello accorato “a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti – continua il Papa -, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti” (n. 14).
Ci troviamo di fronte ad uno scritto che non possiamo permetterci di leggere in maniera affrettata o “scontata”, magari secondo i canoni o pregiudizi concettuali (se non, addirittura, ideologici) che spesso ci accompagnano e ci condizionano; è, anzi, un documento fondamentale che fa compiere un ulteriore e decisivo passo in avanti alla dottrina sociale della Chiesa.
Nella “Laudato si’”, infatti, Papa Francesco indica e chiama per nome i dissesti ecologici e ambientali che sono sotto gli occhi di tutti ma anche, e soprattutto, ricerca con coraggio e franchezza evangelica la radice profonda dei problemi e dei mali che li hanno generati e li alimentano.
E – come già accennavo un momento fa – non disgiunge mai la questione ambientale dall’ecologia umana, secondo una visione ed un pensiero integrale dell’uomo e del creato, in costante rapporto col Dio Creatore e Redentore. Il tutto, poi, è accompagnato di continuo da una viva e coinvolgente concretezza che sollecita ciascuno di noi, nessuno escluso, all’auspicata “conversione ambientale”.
Sottolineo, in proposito, il notevole valore in particolare del terzo e quarto capitolo da approfondire con grande attenzione: “La radice umana della crisi ecologica” e “Un’ecologia integrale”. I titoli manifestano già la volontà d’andar oltre una generica e scontata denuncia, impegnandosi in una reale fondazione del discorso a livello antropologico ed etico. E specialmente qui – a volte sottotraccia e a volte più esplicitamente – emergono i grandi temi della dottrina sociale cristiana e tra essi il bene comune, la destinazione universale dei beni – e, solo dopo, il diritto alla proprietà – fino ai principi di solidarietà e sussidiarietà, da vivere non solo tra i componenti della nostra generazione ma tra le generazioni presenti – genitori, figli, nipoti – e quelle future.
Sì, l’invito che Papa Francesco rilancia continuamente è quello di allargare lo sguardo e ampliare gli orizzonti. Ciò vale per gli uomini e le donne di fede ma vale anche, e contemporaneamente, per tutti coloro che sono impegnati nel mondo della scienza e della tecnica, della cultura e dell’economia, della politica e della vita sociale nelle sue molteplici forme. Tutti uniti, in fondo, nel medesimo dinamismo che deve portare fede e ragione a lasciarsi vicendevolmente “fecondare” e “purificare”, per poter crescere e andare oltre. Insieme.
Papa Francesco annota, tra l’altro, che “la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe” (n. 62), ricorda come l’uomo non sia Dio e come la terra che abita esistesse già prima di lui e a lui sia semplicemente affidata (n. 67). La fede nel Dio di Gesù Cristo ci dà la certezza che solo Lui – e non noi – è l unico, l’onnipotente, il creatore, il vero padrone del mondo; altrimenti, l’uomo “tenderà sempre a imporre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi” (n. 75).
In quest’enciclica Papa Bergoglio usa di nuovo l’originale espressione “inequità”, da lui “creata” e già usata nell’esortazione “Evangelii gaudium” e che qui assume la qualifica di “planetaria” perché riguarda la sempre più squilibrata distribuzione delle risorse del nostro pianeta.
Accanto alla denuncia contro un mercato che s’illude di risolvere tutto mentre non può farlo, perché “…da solo non garantisce lo sviluppo umano integrale e l inclusione sociale” (n. 109), non possiamo trascurare la critica radicale al dominio incontrastato del “paradigma tecnocratico” che conduce ad abusi di potere dell uomo sull uomo, sulla natura e, anche, a molteplici e deleterie forme di relativismo etico; un potere che travolge e stravolge l’uomo e dal quale bisogna difendersi e resistere.
Per dirla con il Papa, “quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come posizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare” (n.123). E questo è un punto molto delicato e che richiede una particolare e diffusa “conversione”.
Fin dalla primissima lettura di qualche mese fa, come ho avuto modo di dichiarare in altri contesti, mi è parso subito evidente che per Venezia – per la sua storia e per la sua conformazione attuale – quest’enciclica assume un valore particolarissimo. Alcune parole, anzi, sembrano scritte appositamente per la nostra città e per questo nostro territorio, in particolare per la Venezia d’acqua e la zona industriale di Marghera interessate da una vasta azione – progettuale ed operativa – di bonifica e riconversione.
Scrive, ad un certo punto, il Papa: “Quando parliamo di ‘ambiente’ facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita…. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di comprendere la realtà” (n. 139).
La vita della nostra città è sempre in bilico tra equilibri e dinamismi da verificare, ristabilire e talvolta da reinventare; è importante, quindi, non solo l’atteggiamento delle singole persone ma anche e soprattutto dell’intera comunità. Gli stessi, ormai familiari, flussi dell’alta e della bassa marea ci ricordano, ad ogni salire e scendere delle acque, quanto sia importante saper tradurre nel nostro contesto cittadino – così fragile – ritmi e standard di vita sostenibili, sapendosi dare dei limiti e riscoprendo, in termini di scelte, la vocazione della nostra città, realmente “posta” sull’acqua.
Accanto ai temi della riconversione post-industriale di queste aree a noi vicini e del loro più adeguato utilizzo a beneficio del territorio, siamo chiamati ad interrogarci – oggi alla luce e sulla spinta di quanto contenuto in questo ricchissimo documento – sul futuro, sulla salvaguardia e sul rilancio della nostra città, sul rapporto strettissimo e perciò non facile tra turismo / economia / cultura / grandi eventi e residenzialità quotidiana. E tutto si lega poi ad un corretto e responsabile utilizzo e mantenimento del bene comune della laguna e del territorio che la circonda.
Non dimentichiamo, infine, che al di là delle specificità veneziane bisogna sempre e di nuovo farsi carico dei grandi temi della giustizia sociale e dell accoglienza del povero, nelle sue varie e complesse sfaccettature odierne come ci insegna – anche tragicamente – l’attuale ed imponente, nonché strutturale, fenomeno migratorio.
Auspico perciò che tutti – politici e amministratori della cosa pubblica, manager e imprenditori, uomini e donne ogni giorno al lavoro in queste aree (dalle professioni più retribuite alle mansioni più umili), le comunità ecclesiali e quanti sono impegnati nelle diverse organizzazioni e associazioni del nostro tessuto economico e sociale ed hanno a cuore le vicende e il futuro di Venezia e del suo territorio – sappiano confrontarsi con sincerità e senza sconti con le molteplici suggestioni offerte da Papa Francesco nella “Laudato sì”. Ognuno di noi sappia operare anche quelle “conversioni” e quindi quei cambiamenti di rotta, quelle assunzioni di decisioni e responsabilità che risulteranno più preziose e necessarie.
Venezia, infatti, merita e richiede espressamente questo lavoro scrupoloso, umile, impegnativo e comune: è città unica al mondo, è insediamento urbano pregiatissimo, è “casa comune” che tutti devono custodire al meglio per le sue caratteristiche irripetibili e che la rendono laboratorio privilegiato, sempre aperto, dove possiamo verificare – nel senso etimologico del “render vero” – la nostra concreta attenzione allo spirito e alla lettera dell’enciclica.
Anche di fronte alle delicatissime sfide che l’epoca presente rivolge alla nostra comunità locale, nazionale e internazionale – soprattutto in termini di accoglienza, integrazione e comune convivenza – risaltano con chiarezza le parole del Papa poste nella prima parte dell’enciclica “Laudato si’” e che, in conclusione, desidero lasciare come “consegna” per ciascuno: “Abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio». Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità” (n. 14).

condividi su