In una cultura definita da Zygmunt Bauman liquido-moderna, in cui le situazioni si modificano prima che i modi d’agire degli uomini riescano a consolidarsi in abitudini e procedure, la comunicazione non è scontata e i linguaggi, talvolta, sembrano più separare che unire. Questa sera, invece, abbiamo avvertito come l’arte e la musica siano capaci di unire. Arte e musica sono un linguaggio comune che tutti possono intendere perché toccano l’umano.
‘Questo per noi – diceva Benedetto XVI, alludendo in particolare alla musica – non è solo una garanzia che la bontà e la bellezza della creazione di Dio non sono distrutte, ma che noi siamo chiamati e capaci di lavorare per il bene e il bello, e sono anche una promessa che il mondo futuro verrà, che Dio vince, che la bellezza e la bontà vincono‘ (Discorso del 2 agosto 2009 a Castel Gandolfo).
L’artista è chiamato a dare forma estetica a quanto, in modo misterioso ma realissimo, porta in sé. Egli, infatti, percepisce ed esprime ciò che altri non sono in grado d’intravedere e, tanto meno, di tradurre in forme artistiche: suoni, colori, versi e linee prospettiche. Così, l’opera d’arte dice ciò che l’artista è nell’intimo e ne manifesta la personalità.
Come prima dello Stato e della società viene la persona così, prima di una scuola filosofica, letteraria o artistica, vi è ancora la persona che sta all’inizio di ogni fare. In tale direzione vanno le parole di Giovanni Paolo II che, scrivendo nel 1999 la sua lettera agli artisti, annotava: ‘Attraverso le opere realizzate, l’artista parla e comunica con gli altri. La storia dell’arte, perciò, non è soltanto storia di opere d’arte ma anche di uomini. Le opere d’arte parlano dei loro autori, introducono nella conoscenza del loro intimo e rivelano l’originale contributo da essi offerto alla storia della cultura’ (Lettera agli artisti, n. 2).
Tutto ciò va ulteriormente considerato se l’artista condivide e vive la realtà della fede cristiana. Il suo io, in tal modo, entra a far parte di una storia e di una comunità – la storia e la comunità ecclesiale – in cui il singolo è introdotto nell’Evento cristiano. Tutto avviene grazie alla testimonianza della fede in Gesù morto e risorto.
L’artista riesce, con l’intuizione, ad andar oltre quanto percepisce con i sensi e, penetrando la realtà, è in grado di cogliere la cifra del mistero, arricchito dalla ‘realtà piena’ della sua fede. Ed è proprio la fede che, in modo obiettivo e attraverso un disegno compiuto, permette all’artista di cogliere la ricchezza dell’Evento cristiano che si caratterizza per volti concreti, vicende storiche, gesti e riti. Tutto diventa segno del mistero cristiano ed è consegnato a una vicenda reale, concreta, umana: è la logica dell’incarnazione.
Così la fede cristiana si pone in modo compiuto e si esprime in differenti contenuti e sfumature, entrando in rapporto con l’arte secondo le sue peculiarità.
Per l’arte cristiana non è però sufficiente un generico riferimento alla trascendenza. Essa richiede, piuttosto, un richiamo alla concretezza di un Evento della storia perché Dio è entrato nella storia, una volta per sempre: ‘E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità’ (Gv 1,14).
Non si tratta, quindi, di una vaga allusione alla trascendenza ma di un’esplicita affermazione dell’Evento cristiano attraverso la realtà storica che lo caratterizza, anche attraverso i volti che accompagnano e circondano il Volto per eccellenza: quello di Gesù Cristo, il Verbo incarnato. Proprio partendo da questo Volto s’incontrano, poi, quelli di Maria e Giuseppe, dei Dodici, di Marta, di Maria e di Lazzaro e, d’epoca in epoca, i volti di quanti si sono lasciati coinvolgere direttamente o indirettamente nella vicenda di Gesù di Nazareth.
Siamo a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II e nell’Anno della Fede. Il messaggio finale che il Concilio Vaticano II ha indirizzato agli artisti è, più che mai, attuale e ci ricorda come il mondo abbia bisogno della bellezza per non cadere nella disperazione. La gioia è, esattamente, il risultato della bellezza e della verità e ci permette di resistere al tempo che passa e tutti mette alla prova (cfr. Messaggio agli artisti, AAS (1966), 13).
Sì, come è stato opportunamente ricordato nel corso di alcune testimonianze e del monologo, la verità ha la forza di segnare un nuovo inizio in quanto purifica. Non a caso la riconciliazione sacramentale inizia dalla ricerca della verità di sé e dal confronto col valore del Bene, senza la cui percezione nemmeno si coglie la caduta.
E la gioia è ciò che hanno avvertito i primi discepoli, incontrando Gesù risorto, quando ”mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore‘ (Gv 20,20).
La bellezza e l’armonia – che mai prescindono dalla verità dell’essere – formano, alla fine, i lineamenti del Cristo e proprio dinanzi alla bellezza, all’armonia e alla verità del corpo risorto di Gesù – l’opera d’arte per eccellenza – la gioia s’impossessa dei discepoli che, in quell’incontro, scoprono un inizio nuovo e danno un nuovo significato alla loro vita. L’opera d’arte, se è tale, esprime e fa rivivere secondo modalità proprie la bellezza e l’armonia fondate sulla verità che le qualifica e dona la gioia del cuore.
La musica e l’arte – come abbiamo avvertito questa sera – sono capaci di dischiudere l’uomo alle dimensioni dello Spirito, ad innalzarlo oltre se stesso e, purificandolo, a dirci quanto Dio è grande e bello.
A tutti gli organizzatori il più vivo ringraziamento per essere andati al di là di quanto indicato e auspicato.
alle dimensioni dello Spirito, ad innalzarlo oltre se stesso e, purificandolo, a dirci quanto Dio è grande e bello.
A tutti gli organizzatori il più vivo ringraziamento per essere andati al di là di quanto indicato e auspicato.
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