Intervento del Patriarca all'inaugurazione del Padiglione della Santa Sede per la 56.a edizione della Biennale d'Arte di Venezia (Venezia - Arsenale, 8 maggio 2015)
08-05-2015
Inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla 56.a Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (Venezia – Arsenale, 8 maggio 2015)
Intervento del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia
Visitando il padiglione della Santa Sede certamente godremo di molteplici sensazioni legate al bello: immagini, prospettive, forme. Se nell’edizione 2013 l’impegno era tradurre in immagini, suoni e sensazioni l’incipit della Genesi – “In principio (…) Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu” (Gen. 1,1.3) -, in questa edizione 2015, invece, l’incipit è quello del Nuovo Testamento: “In principio era il Lógos, il Verbo… Il Lógos era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui…” (Gv 1,1-3).
Nel Primo Testamento Dio/creatore squarcia il velo del silenzio; nel Nuovo, invece, porta a compimento l’opera creatrice in modo del tutto inimmaginabile: “… il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Il “farsi carne” di Dio si esplicita ulteriormente nella narrazione della parabola del buon samaritano. Siamo così invitati a scoprire la fragilità e grandezza dell’uomo; fragilità e grandezza della carne umana che rimandano all’azione nella storia di Colui che, fin da principio, è e – nel tempo – ha scelto di “farsi carne”. Due artisti diversissimi – per storia personale – possono introdurci nella proposta antropologica, culturale e artistica qui espressa invitandoci, in modi differenti, a guardare all’uomo spirito-carne. 
Il primo è il poeta, narratore e filosofo francese Charles Peguy (1873-1914), arrivato alla fede all’età di trentaquattro anni. Per lui l’evento cristiano entra nel più intimo dell’uomo: “Lo Spirituale è, esso stesso, carnale, o non è”; la legge dell’incarnazione diventa così “luogo” emblematico e “cifra” della storia. Tale affermazione evidenzia come – per il cristiano – l’umano e il divino non siano alternativi; piuttosto, l’umano si compie nel divino e l’uomo è carne-spirituale e spirito-incarnato. Logos e carne sono realtà perennemente in relazione.
Il secondo è il pittore russo Wassily Kandinsky (1866-1944) per il quale – al lascito “comune” del positivismo e di Nietzsche: “Il cielo è vuoto e Dio è morto” – bisogna opporsi ritornando all’uomo. Emblematiche queste sue parole che, alla fine, sono ancora un chiaro invito a guardare all’uomo: “Quando – scrive Kandinsky – la religione, la scienza e la morale (quest’ultima per i colpi rudi di Nietzsche) sono scosse e quando i sostegni esterni minacciano di crollare, l’uomo distoglie il suo sguardo dalle contingenze esteriori e lo riconduce su se stesso” (Dello spirituale nell’arte, cap. 3 Svolta Spirituale).
Secondo Kandinsky l’uomo deve distogliere lo sguardo dalle cose esteriori per guardare dentro di sé e scoprirsi, come dice Peguy, realtà “spirituale” che, alla fine, o è “carnale” o non è. L’uomo si manifesta così come il riflesso di Dio creatore mentre l’opera d’arte riverbera l’universale nel particolare, il tutto nel frammento. Con Peguy l’uomo è piccola ma significativa parte nella linea dello spirituale che “è carnale, o non è”; per Kandinsky l’uomo deve distogliere il proprio sguardo da ogni carente sostegno esteriore per posarlo su di sé. La rinnovata partecipazione della Santa Sede alla Biennale di Venezia esprime il forte impegno a ridurre le fratture tra fede e cultura e, concretamente, tra “arte” e “sacro”, tra “arte colta” e “fruizione popolare” instaurando un dialogo a 360° con le arti e le culture contemporanee in quello che è uno dei suoi luoghi “simbolo”.