Intervento del Patriarca alla Veglia diocesana per la vita “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo” (Mestre - Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista, 7 febbraio 2018)
07-02-2018

Veglia diocesana per la vita “Il Vangelo della vita, gioia per il mondo”

(Mestre – Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista, 7 febbraio 2018)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Care amiche e cari amici,

è importante ritrovarsi stasera a testimoniare qualcosa che il mondo fatica ad intendere.

Il mondo, ovvero la nostra società, la società dell’efficienza, la società della produttività, la società dell’estetica, la società che in questi giorni sembra quasi fermarsi per alcune canzonette o, magari, saranno anche grandi canzoni che segneranno la storia di molti incontri affettivi… Intendiamoci bene: il canto è un valore e una bellezza ma, certe volte, viene da pensare se non ci siano anche cose più importanti oggi guardando il mondo, gli scenari politici, il futuro dell’umanità.

Noi siamo, comunque, contenti di vivere in questa nostra società e siamo contenti anche di poter dire ciò che vogliamo affermare con tenerezza e con generosità, ma anche con fermezza e con libertà di coscienza.

Abbiamo ascoltato poco fa due testimonianze molto differenti tra di loro ma molto simili per ciò che riguarda l’accoglienza e l’accettazione del dono grande della vita, che non può mai prescindere dall’uomo e dalla donna ma che va oltre l’uomo e la donna.

Con voi adesso vorrei ritornare brevemente al Vangelo secondo Luca che è stato proclamato; abbiamo ascoltato il Vangelo della visita che Maria fa alla cugina Elisabetta. Quante volte abbiamo ascoltato questo Vangelo, quante volte abbiamo ascoltato aspetti, spunti e temi legati al testo di stasera!

Per esempio, la verifica credente – come colei che crede – che Maria fa delle parole dell’angelo. Anche sua cugina nella sua vecchiaia attende un figlio, lei che era sterile: “Nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37). Quante altre volte, in questo Vangelo, abbiamo messo in evidenza il servizio che Maria compie nei confronti dell’anziana cugina che attendeva un figlio e che quindi viveva un momento di prova e di fatica: “Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua” (Lc 1,56).

Quante altre volte, ancora, abbiamo messo in evidenza in questo Vangelo la prontezza con cui Maria si muove, lascia Nazareth, percorre circa 150 chilometri e raggiunge – come dice il testo lucano – con passo frettoloso la città di Giuda. La carità non va lenta. Cerca di precedere, cerca di non far attendere.

Forse però poche volte, in questo Vangelo, abbiamo messo in evidenza un altro aspetto e vorrei farlo con voi, oggi, in questa veglia a favore della vita. E ricordo che la Giornata della vita è stata istituita quarant’anni fa proprio per difendere, affermare e promuovere la vita  nascente.

Con voi oggi del Vangelo vorrei mettere in evidenza il fatto che Luca ci parla  di due vite non ancora nate: quella di Gesù nel grembo di Maria e quella di Giovanni Battista nel grembo di Elisabetta.

Appena Elisabetta sente il saluto di Maria, il bambino che porta in grembo – la vita che porta nel grembo – “sussulta” (cfr. Lc 1,40). E allora Elisabetta, ricolma di Spirito Santo, dice: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo – parla di Gesù nel grembo di Maria – ! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino – la vita che porta in grembo – ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,42-45)

Sì, il piccolo Giovanni sussulta nel grembo di Elisabetta. Ed Elisabetta parla del suo Signore che è ancora nel grembo di Maria, come un essere vivo e reale… Eppure Gesù si trovava solamente, semplicemente, ancora, nel grembo di Maria.

Il Vangelo è sempre molto reale: non è devozionismo, non è spiritualismo. Il Vangelo ci mette a contatto con la realtà: è la bussola del quotidiano, della nostra vita.

Diciamo spesso che la vita va accolta, che la vita va difesa, che la vita va  tutelata, ma sorge spontanea una domanda oggi è particolarmente attuale: quando comincia la tutela della vita? La vita la tuteliamo o non la tuteliamo? E, se diciamo di tutelarla, la tuteliamo sempre o ad iniziare da un determinato momento? E perché prima no? Sono le domande della ragione che vengono prima delle domande del credente. Sono le domande dell’uomo, che è interessato a se stesso. Sono le domande anche del cristiano, ma non sono domande confessionali; sono domande  profondamente laiche.

Sorge, dicevo, una domanda oggi particolarmente attuale: Quando incomincia la tutela della vita? Quando iniziamo a difendere la vita, quando la iniziamo a promuovere? E perché prima no? C’è una soluzione di continuità o la vita, quando c’è, è vita e rimane tale per sempre? Solo se sviluppa, cresce… Questa è la domanda che dice la verità, la genuinità, l’autenticità dell’impegno per la vita.

Il Vangelo della vita è dono di Dio. Abbiamo ascoltato il tema dell’attuale Giornata della vita: è dono di Dio ma, insieme, è compito affidato all’uomo. I Vescovi italiani, riprendendo le parole di Papa Francesco, parlano dei “segni di una cultura chiusa all’incontro, avverte il Santo Padre, gridano nella ricerca esasperata di interessi personali o di parte, nelle aggressioni contro le donne, nell’indifferenza verso i poveri e i migranti, nelle violenze contro la vita dei bambini sin dal concepimento e degli anziani segnati da un’estrema fragilità” (Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 40a Giornata Nazionale per la Vita, 4 febbraio 2018).

Parliamo delle aggressioni contro la donna e mi pongo la domanda: sopprimere la vita nascente non è tra le massime violenze o aggressioni che una donna può subire? Parliamo, appunto, delle aggressioni alla vita contro gli emigranti, contro i bambini concepiti, contro gli anziani fragili…

Ora, pensiamo a quell’aggredito che è privo in modo assoluto di voce, se non siamo noi – con le nostre comunità – a prestare la nostra voce: parliamo, allora, dei bambini e delle bambine non ancora nati. Loro non possono fare cortei o inalberare striscioni. Tra i deboli ci sono i più deboli, tra i silenziosi ci sono i più silenti.

I Vescovi italiani poi, nel loro annuale messaggio – intitolato “Il Vangelo della Vita, gioia del mondo” a un certo punto – citando sempre Papa Francesco, così si esprimono: “…solo una comunità dal respiro evangelico è capace di trasformare la realtà e guarire dal dramma dell’aborto e dell’eutanasia”. E poi – continuano i Vescovi italiani – parlano di “una comunità che sa farsi samaritana chinandosi sulla storia umana lacerata, ferita, scoraggiata” (Messaggio del Consiglio Episcopale Permanente per la 40a Giornata Nazionale per la Vita, 4 febbraio 2018).

Il significato profetico dell’enciclica Humanae vitae del beato Paolo VI – di cui ricorderemo tra poco i 50 anni – sottolinea come il significato dell’atto coniugale è, insieme, unitivo e procreativo. L’amore degradato a puro sesso – al “fare sesso”, ad esempio come compimento di una serata di divertimenti… – rende in modo irreparabile il sesso stesso come pura merce che in vari modi, non solo con il denaro, può diventare oggetto di compravendita.  E così, anche senza sborsare denaro, l’uomo e la donna – penso soprattutto ai giovani e agli adolescenti – diventano “merce” l’uno per l’altra (e viceversa).

L’educazione alla vera sessualità, alla paternità e alla maternità responsabile, al vero rispetto per la vita più che mai comporta, allora, l’educazione alla castità. Non dobbiamo avere vergogna di dire certe cose, che appartengono al Vangelo. Non dobbiamo arrossire – come direbbe san Paolo – per il Vangelo.

Anche fuori dal mondo cristiano – pensiamo a Gandhi, di cui abbiamo appena ricordato il 70° anniversario – a un certo punto si scopre (o si riscopre) il senso della castità. Riscopriamo allora – come modo di rapportarsi agli altri, prima del matrimonio e anche durante il matrimonio – il valore della castità.

Di fronte al grande male della soppressione della vita nascente il Vangelo dell’amore e della vita è sempre – come tutto il “Vangelo” – annuncio e festa di conversione, di perdono, di misericordia, che si rivolge all’uomo concreto e alla donna concreta, all’uomo peccatore, alla donna peccatrice, per risollevare tutti da qualsiasi caduta. Sì, da tutte le cadute possiamo rialzarci e medicare così tutte le ferite.

E, anzi, esattamente a partire dal proprio peccato e dalla propria conversione possiamo diventare annunciatori solleciti e gioiosi del Vangelo.