Intervento del Patriarca alla Veglia diocesana per la vita “È vita, è futuro” (Mestre / Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista - 6 febbraio 2019)
06-02-2019

Veglia diocesana per la vita “È vita, è futuro”

(Mestre / Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Evangelista – 6 febbraio 2019)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

 

Cari fratelli, care sorelle,

grazie a tutti voi per la presenza e grazie anche ai sacerdoti che vedo qui stasera.

Dobbiamo fare una riflessione onesta, che non vuole essere teorica, e questa parte dalla lettera di san Giacomo, un testo che le nostre comunità dovrebbero prendere in mano un po’ di più e meditare; è una lettera che “disturba” e ci obbliga a fare i conti con noi stessi.

Uno dei passaggi più interessanti della lettera di San Giacomo è questo: «…mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede» (Gc 2,18). Le nostre comunità si devono interpellare su come la loro fede si traduca nelle opere di misericordia e le opere di misericordia sono anche quelle spirituali – che tante volte non consideriamo – come insegnare, consigliare, pregare, correggere… E poi ci sono le opere di misericordia materiali (corporali) come dar da mangiare, dar da bere, accogliere, visitare gli ammalati, i carcerati, accompagnare ad una morte dignitosa… Le nostre comunità devono interpellarsi di più sulla fede che diventa vita, sulla fede che diventa opera.

Non c’è persona, famiglia o comunità che non esprima una cultura. La cultura è, in modo molto semplice, la sintesi tra le cose che io conosco e le cose che per me sono un valore; la mia cultura personale o la cultura personale di una famiglia e di una comunità è esattamente il tipo di conoscenze che abbiamo e i valori in cui crediamo.

Se noi disincarniamo la cultura, ci saranno altri ad incarnare altre culture e cioè porteranno avanti conoscenze e valori che per noi possono essere anche non conoscenze e non valori. Bisogna, allora, che le nostre siano comunità oranti e credenti che celebrino e vivano la parola di Dio.

Non dimentichiamo che quando termina l’Eucarestia domenicale viene detto: “Andate in pace”. E questo “andare” richiama la conclusione del Vangelo secondo Matteo e di quello secondo Marco: “Andate…”. Ma cosa andiamo a portare? O portiamo una cultura evangelica e portiamo una cultura che abbia rispetto di quell’uomo che è costato il sangue di Cristo oppure noi abbiamo fatto una bella celebrazione rituale ma che lascia il tempo che trova!

Bisogna, allora, che nella pastorale ordinaria delle nostre comunità entrino delle opere reali e concrete. Una di queste è l’accoglienza degli altri: io devo accogliere gli emigrati, i carcerati che escono da un cammino di detenzione, chi bussa alle porte della vita lavorativa… ma la prima accoglienza fondamentale è quella della vita nascente. E bisogna anche riscoprire l’ordine: primum vivere! Per questo bisogna che nelle nostre comunità rientri come pastorale ordinaria il tema grande della vita, il tema dell’accoglienza e della cultura della vita.

Papa Francesco diceva ,nell’udienza generale del 10 ottobre 2018 dedicata al quinto comandamento (“Non uccidere”), una frase che qui riporto: “Si potrebbe dire che tutto il male operato nel mondo si riassume nel disprezzo per la vita”.

Dove inizia il disprezzo per la vita? Nelle notizie che ci danno i giornali o i telegiornali si parla di femminicidi, si parla di bambini praticamente abbandonati o lasciati a se stessi, si parla di bambine abusate, spesso anche nell’ambito familiare. E c’è poi la violenza prima: accettare che ci sia una legge che dice a qualcuno: a te non è lecito venire accolto.

Noi dobbiamo riconciliarci con la vita ma non solo con alcune espressioni di vita, con la vita là dove la vita sorge. In molti Stati, nei secoli scorsi, c’erano degli uomini che dicevano ad altri uomini: tu non sei degno di essere uomo. Ecco la schiavitù: tu hai un colore diverso e quindi non sei uguale a me; quando c’è qualche gruppo umano che dice ad altri se possono o non possono essere uomini – noi usciamo dal celebrare l’ottantesimo anniversario delle leggi razziali – ed alcuni che dicono ad altri: a te non è lecito esistere.

Dobbiamo riscoprire la riconciliazione con la vita non incominciando però dal momento in cui noi deciso che da lì in poi possiamo dire a qualcuno: tu hai diritto di esistere. Perché questa è ideologia e l’ideologia è piegare la realtà e la verità delle cose al mio pensiero, a quello che mi viene bene.

Se non vogliamo essere ideologici dobbiamo aprirci alla verità. E non è la fede o il Papa che mi dice dove c’è la vita; è la scienza che mi dice dove c’è la vita e io ho l’obbligo morale – che, peraltro, posso disattendere – di riconoscere che non posso fare nulla per spegnere quella vita. Questa è la vera laicità: lo Stato e gli uomini riconoscono che ci sono alcune realtà di fronte alle quali il potere politico e, in altri ambiti, anche il potere economico devono fermarsi.