Intervento del Patriarca alla Veglia diocesana per la vita (Chiesa S. Carlo / Cappuccini - Mestre, 20 febbraio 2016)
20-02-2016

Veglia diocesana per la vita

(Chiesa S. Carlo / Cappuccini – Mestre, 20 febbraio 2016)

Intervento del Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia

 

 

 

Vi ringrazio per la possibilità di questo spazio di preghiera. Saluto e ringrazio il vicario foraneo don Guido, tutti i confratelli, le persone qui presenti ed anche gli amici non udenti che sono con noi questa sera. Abbiamo l’atteggiamento di chi si mette di fronte al Signore e gli pone d’innanzi una questione, anzi, la questione capitale della nostra società: come accogliere gli altri nel momento in cui l’altro è più fragile, nel momento in cui tutto è nelle nostre mani.

Papa Francesco, di recente, ha ringraziato gli operatori dei Centri di Aiuto alla Vita e li ha soprattutto incoraggiati a proseguire quest’opera importante a favore della vita – e bisogna avere sempre il coraggio di precisarlo – dal concepimento al suo naturale tramonto. Dobbiamo aumentare in noi, dobbiamo aumentare negli altri, dobbiamo aumentare nella nostra società il desiderio di vita, in una cultura, invece, che sembra guardare sempre di più ad un desiderio di fine. Ed allora è fondamentale valorizzare i rapporti umani, valorizzare i rapporti familiari e amicali, quei rapporti di cura, del prendersi cura degli altri, per contrastare tutte le volontà di morte dall’aborto all’eutanasia.

La volontà di morte è spesso legata alla solitudine della persona. La strada per cambiare il volto alle nostre città e ai nostri quartieri è quella di non chiuderci in noi stessi, è quella di uscire verso il prossimo e prendersi cura dell’altro.

Ricordo e rilancio il Progetto Gemma: non ci dovrebbe essere comunità parrocchiale o collaborazione pastorale che non abbia il Progetto Gemma come pastorale ordinaria. La quota, che non è altissima, può essere suddivisa e anche questo può contribuire a creare una cultura e ci dice che insieme, non lasciando soli gli altri,  si possono salvare delle vite. Con il Progetto Gemma si adotta una mamma per salvare due vite: in 20 anni ha aiutato oltre 20.000 donne ed altrettanti bambini, 20.000 donne che da sole non ce l’avrebbero fatta. È importante diventare azionisti di un Progetto Gemma o averne delle quote di partecipazione; è importante che diventi qualche cosa di diffuso nella comunità e alla portata di tutti.

Qualche piccola rinuncia, qualche piccolo ridimensionamento del proprio budget personale, fa crescere una consapevolezza. È un po’ come l’obolo della vedova (Mc 12, 41-44). Gesù vede molti, molti ricchi, che fanno delle grandi offerte al tesoro del Tempio ma poi vede anche una vedova che dà due spiccioli, e allora Gesù la indica: ha dato più degli altri. Se i nostri adolescenti, se i nostri giovani, se anche le persone anziane potessero dare quei cinque euro, quei dieci euro, insieme ad altri… Si potrebbe così garantire una solidarietà condivisa, quella cultura della vita che inizia dalle piccole cose.

Se la cultura della vita inizia dalle piccole cose, tutto diventa possibilità di incontro e di vita, tutto diventa armonizzazione anche dei rapporti spiccioli, quotidiani; tutto diventa ricostruibile e i nostri quartieri, i nostri condomini, così anonimi prenderebbero un senso diverso. Tu mi interessi, tu mi appartieni. Ridare centralità alla famiglia, ridare centralità ai genitori, ridare centralità anche e soprattutto alla figura del padre nei confronti della nascita di un figlio. Riallacciare il filo spezzato di un umanesimo che deve ritrovare se stesso. Ritrovare se stesso è il grande problema, la grande sfida, per l’uomo d’oggi.

Bisogna ridefinire, allora, il senso del limite. Riscoprire il limite come possibilità per annodare nuovi legami; i nostri limiti diventano momenti e possibilità di incontro. E soprattutto bisogna riscoprire – come dato culturale fondamentale non legato ad una fede religiosa ma ad un realismo umano che ci lega tra uomini in quanto uomini – che nessuno è padrone delle sue origini. Nessuno è padrone delle origini altrui.

Il Papa ci indica con fierezza questa strada. Occorre nutrire sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza della nuova vita, verso le situazioni di povertà e sfruttamento che colpiscono i più deboli e i più svantaggiati. Il Papa però dice anche, nella Laudato si’: “Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano…” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n. 120). Ed ha avuto parole molto chiare e sofferte, ritornando dal viaggio pastorale in Messico, quando ha definito l’aborto un male in se stesso. Non un male legato ad una appartenenza di fede religiosa, ma un male umano.

La difesa della vita dovrebbe essere uno di quegli impegni trasversali che ci fanno ritrovare la nostra umanità e ci fanno risolvere uno dei problemi fondamentali della nostra società, ossia il ritrovare le radici prime del nostro essere umano. E allora i Centri di Aiuto alla Vita sono quei momenti, quei tempi, quei luoghi in cui molte persone sono rinate. Non mi riferisco solo a chi materialmente è potuto nascere attraverso gli aiuti di questi centri ma anche alla ritrovata coscienza di una società che oggi non arriva più a percepire la gravità di una vita che si poteva accogliere e che non è stata accolta.

Concludo con le parole del Santo Padre, quelle che ha rivolto agli operatori e ai partecipanti al convegno dei Centri di Aiuto alla Vita del novembre scorso: “Cari fratelli e sorelle, sono certo che la vostra attività, ma prima ancora – ed è questo che voglio soprattutto sottolineare – la vostra spiritualità, riceveranno uno speciale beneficio dall’imminente Anno Santo della Misericordia. Esso sia per voi forte stimolo al rinnovamento interiore…” (Papa Francesco, Discorso ai partecipanti al Convegno dei Centri di Aiuto alla Vita, 6 novembre 2015).

Siamo entrati da qualche mese nell’Anno della Misericordia e il Papa ci ha indicato le opere di misericordia corporali e spirituali. La prima opera è dire con i fatti: “Tu hai diritto di venire alla vita”. Sentiamo, come membri della comunità cristiana ed anche come Chiesa, quest’impegno grande affinché la misericordia di Dio – anche attraverso le nostre mani, le nostre intelligenze, le nostre volontà, le nostre voci – possa esercitarsi già là dove inizia la vita umana.

Chiediamo in modo particolare a sant’Antonio di Padova di aiutarci ad essere testimoni della misericordia di Dio in questo ambito così importante nella vita di una comunità, di una società, di un’epoca.