Intervento del Patriarca alla Veglia di preghiera e testimonianza “Insieme contro la tratta di persone” (Verona, 8 febbraio 2019)
08-02-2019

Veglia di preghiera e testimonianza “Insieme contro la tratta di persone”

(Verona, 8 febbraio 2019)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

“…uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: una bestia feroce l’ha divorato! Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». Ma Ruben sentì e, volendo salvarlo dalle loro mani, disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro: «Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre” (Gen 37,20-22).

Inizio questa breve riflessione riproponendo i versetti del testo della Genesi che abbiamo appena ascoltato: ci consegnano un messaggio fondamentale che, in questa sera di veglia, dobbiamo fare nostro e portare alle nostre comunità.

Per il credente la preghiera è un momento realissimo di vita, il momento in cui chiediamo a Dio di non lasciarci soli perché da soli non ce la facciamo!

Ruben – nel suo buon proposito – fallisce perché si trova solo. Intendeva liberare il fratello Giuseppe ma non vi riesce perché è solo e da soli siamo fragili, siamo impotenti, falliamo.

Oggi dobbiamo chiedere al Signore di riuscire a capire proprio questo, soprattutto di fronte ad un problema così grande come la tratta delle persone. E che ci doni l’umiltà, che non presumiamo di farcela da soli, da soli con le nostre forze, ognuno per la sua strada e in modo autoreferenziale.

Non possiamo farcela da soli. Ecco perché bisogna, anche, avere delle leggi capaci di tutelare i fragili, i più deboli.

Se ci illudiamo di poter fare da soli, allora la nostra volontà – di fronte ad una tragedia immane come la tratta degli esseri umani e soprattutto delle donne – rimarrà un desiderio, un progetto incompiuto. Se, invece, si cammina insieme, si portano gli uni i pesi degli altri (cfr. Gal 6,2) e se si uniscono le voci, un gemito diventa una voce forte e chiara e che grida anche per quanti e per quante non hanno voce.

Per noi il fratello è sempre importante e ci ferisce vedere una nostra sorella costretta a stare su un marciapiede a vendersi.

Le parole sono come pietre e rivestono una grande importanza. Noi, abitualmente, diciamo: la “prostituta” e il “cliente”… Ma un conto è essere – di volta in volta – il cliente del fornaio, del fruttivendolo, del tappezziere, del tassista e gli esempi potrebbero continuare all’infinito. In questi casi, di fronte al cliente, c’è una persona che, liberamente, esercita una attività lavorativa dignitosa.

Solo chi non vuol vedere non riesce a cogliere la totale differenza di situazione che riguarda chi – nel modo più gentile – viene indicata come “prostituta”. Ma qui la situazione è totalmente un’altra.

Tutto ci parla di una storia diversa e faticosa, di uno sradicamento totale, di un linguaggio difficoltoso e che limita ogni possibile relazione, di una solitudine infinita che possiamo facilmente intuire.

Papa Francesco, proprio un anno fa e in questa stessa occasione, aveva detto: “Sul tema della tratta c’è molta ignoranza. Ma a volte pare ci sia anche poca volontà di comprendere la portata del problema. Perché? Perché tocca da vicino le nostre coscienze, perché è scabroso, perché ci fa vergognare…” (Papa Francesco, Incontro con i partecipanti alla IV Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, 12 febbraio 2018).

Una delle prime cose da considerare è che ci troviamo di fronte a persone che non sono libere e, quindi, a “non-persone” che non hanno scelto d’esser lì dove sono. Chi è costretto, chi è obbligato, chi è stato ed è ricattato, infatti, diventa “non-persona”.

Persone che constatano più volte durante il giorno e, soprattutto, la notte che sono solo oggetti, non più persone, che il loro corpo non è espressione della loro anima, della loro volontà libera, della loro intelligenza, dei loro sentimenti… ma è solo qualcosa che si guarda, che si tocca e che poi si butta via.

Il “cliente” che dice di non aver nulla da rimproverarsi e si sente a posto – non trovando alcunché di strano, perché lui paga… – cosa proverebbe e cosa direbbe se al posto di quella donna sconosciuta ci fosse una persona a lui cara, la propria figlia, la propria moglie, la propria madre?

Riprendo quanto detto all’inizio dell’incontro e chiediamo al Signore di comprenderne intimamente il valore: «Solo insieme potremo percorrere il lungo cammino della libertà, promuovere la dignità di ogni persona, solo insieme possiamo realizzarci come persone, insieme, come sorelle e fratelli, figlie e figli tutti dello stesso Padre. Sì, “Insieme, contro la tratta!”».

Sì, aiutaci Signore a non voltarci dall’altra parte; aiutaci a non chiamarci fuori, dicendo come Caino all’inizio della vicenda umana: «Sono forse io il custode di mio fratello?>> (Gen 4,9).

Questa sera il Signore ci ha parlato, anche attraverso la presenza di tanti nostri fratelli e sorelle – abbiamo ammirato il coraggio di chi ha saputo raccontare la propria storia – ed alcune drammatiche testimonianze che ci hanno aiutato ad aprire gli occhi. Non possiamo, quindi, più far finta di non sapere.

Concludo recitando la preghiera con cui ci siamo già rivolti al Padre nostro che è nei cieli: «Donaci, o Padre, occhi per vedere e un cuore per amare. Ti supplichiamo, Padre, di darci i tuoi occhi per vedere come tu vedi il mondo, gli uomini, la nostra vita, il nostro essere amici, il nostro amare».

Santa Giuseppina Bakhita ci aiuti col suo esempio e la sua preghiera!