Intervento del Patriarca alla presentazione del restauro del Crocifisso della chiesa antica di San Zaccaria (Venezia / Chiesa parrocchiale S. Zaccaria, 15 settembre 2022)
15-09-2022

Presentazione del restauro del Crocifisso della chiesa antica di San Zaccaria

(Venezia / Chiesa parrocchiale S. Zaccaria, 15 settembre 2022)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

Rivolgo un cordiale saluto al parroco, don Roberto Donadoni, al parroco emerito don Carlo Seno e a tutti i presenti. In modo particolare desidero esprimere la riconoscenza della Chiesa che è in Venezia alle istituzioni e ai comitati privati, qui rappresentati da alcuni loro esponenti, che con vari contributi hanno reso possibile quest’opera di restauro. Ancora una volta si sono così manifestate concretamente la passione, l’interesse e la partecipazione di soggetti europei ed internazionali alla vita e alle necessità della nostra città che è unica, bellissima, ricca di tesori artistici inestimabili e, nondimeno, tanto fragile e perciò bisognosa di attenzioni e di progetti a suo favore. Un ringraziamento speciale va a coloro che hanno progettato ed eseguito il restauro di questo Crocifisso.

Siamo dinanzi ad un’opera pregevole che oggi ci viene presentata dopo l’importante opera di restauro e che adesso sarà più facilmente visibile e fruibile.

Siamo, soprattutto, dinanzi ad un’alta espressione di fede che ci rimanda a Dio. E, in questo senso, possiamo sperimentare, davanti al Crocifisso restaurato che apparteneva all’antica chiesa gotica di San Zaccaria, come il “bello” sia una delle molteplici espressioni di Dio.

La bellezza, in ogni modo, nulla toglie alla realtà “drammatica” del Crocifisso che offre continuamente, al credente e al non credente, la possibilità e la capacità di comprendere tutta la serietà della storia umana, dell’impegno di Dio per l’umanità, della persona di Gesù Cristo – il Crocifisso – e dei soggetti che hanno vissuto tale storia.

Per questo il Crocifisso non può rimanere come un oggetto “bello” e da contemplare. Il Crocifisso è Colui che, nel progetto di Dio, dà senso alla storia; è il “caso serio” della vita, per usare l’espressione del teologo Hans Urs von Balthasar.

Nella libertà, il grande ingrediente che Dio ha voluto mettere nella creazione, si passa così dal divenire cosmico al divenire storico e la rivelazione cristiana ci dice che il grande progetto di Dio è realizzato e visibile nell’umanità di Gesù Cristo, l’uomo della croce. Sappiamo però che la libertà dell’uomo – che è parte strutturale del progetto di Dio che ci vuole liberi e non costretti – porta a costruire spesso un’umanità differente e dissonante rispetto al progetto originario ma, poiché Dio prende l’uomo sul serio, l’agire dell’uomo segna profondamente il progetto stesso di Dio. Questa è la premessa necessaria per capire il Crocifisso.

Il Crocifisso è la risposta che Dio dà al costituirsi di un’umanità “alternativa” rispetto al progetto creaturale originario; Gesù Cristo diventa così la “forma” dell’uomo pensato e voluto da Dio, espressione della vera umanità. Prima ancora di essere trasgressione, il peccato, allora, è eccepire a questo progetto di Dio e voler costruire un’altra umanità. Il Crocifisso è, quindi, quel riferimento alla libertà umana che rimane fedele a Dio in un mondo che si è allontanato da Dio.

La storia della salvezza ha il suo culmine nell’ “ora” di Cristo che tante volte, ed esplicitamente, il Vangelo di san Giovanni menziona ed evidenzia: è l’ora della croce. La croce è l’evento in cui Cristo è elevato da terra e questo avviene in pienezza nel momento della risurrezione. Nella scena del Calvario è, in un certo senso, rappresentata la storia dell’umanità, lì c’è la sapienza cristiana, il Logos, il sapere e il progetto di Dio: Cristo, nella sua piena fedeltà a Dio Padre, all’interno di un mondo avverso, si dona totalmente e sino alla fine. Emette lo spirito e il Padre raccoglie lo spirito del Figlio per poi ridonarglielo nel momento della risurrezione.

Gesù non parla mai solo della sua morte, parla sempre della morte e della risurrezione. Ne aveva parlato più volte ai suoi discepoli ed apostoli anticipando che sarebbe stata una morte drammatica, in solitudine e nell’incomprensione. E non dimentichiamo poi che la morte in croce – per il mondo greco e romano – era la morte tipica del delinquente per eccellenza.

Croce e risurrezione, per la fede cristiana, sono le due facce dell’unica medaglia; guai se siamo solo “terrestri”, guai se siamo solo “celesti”, sono le due derive “storiche” del cristianesimo e rappresentano due drammatiche distorsioni culturali (il materialismo e lo spiritualismo). Il triduo sacro della Pasqua ci restituisce ogni volta tutto questo, con il criterio della distinzione nell’unità; la liturgia è azione di Cristo nella quale poi entra la Chiesa che si unisce all’azione di Cristo. Nel momento della morte si costruisce già la risurrezione e la risurrezione è il prodotto del dono totale di sé nella morte.

San Bonaventura, riferimento ineludibile della teologia francescana, sottolinea che la fede, quando si esprime concettualmente nella teologia, tratta di tutto l’universo – dal suo culmine alla sua profondità ultima, dall’inizio alla fine – per trovarsi di fronte (per usare il termine tipico della teologia francescana di Bonaventura) alla “crux intellegibilis”. La fede, che è un sapere, e la teologia, che è la concettualizzazione della fede, ricostruiscono così la realtà totale che è disposta a forma di croce.

Nella “crux intellegibilis” è descritto, quindi, l’universo; c’è la storia e la libertà dell’uomo, il bene e il male. Nella croce c’è tutto: è l’unico libro necessario perché in essa c’è il principio, che è Dio, la creazione e la caduta (il peccato), la redenzione attraverso la passione di Cristo, la rinascita nella grazia, i sacramenti.

Nella croce di Cristo è riscontrabile – in modo pieno e totale – Dio e l’uomo, con tutte le vicende che intercorrono tra Dio e l’uomo. Questo è il significato del Crocifisso che ha trovato, nel tempo, molteplici espressioni attraverso l’arte.

Il pregevole Crocifisso dell’antica chiesa di S. Zaccaria, ricollocato e tornato a risplendere dopo il restauro, ne è una mirabile attestazione e viene posto ora, ogni volta, non soltanto all’ammirazione e contemplazione del senso “estetico” di coloro che vi passeranno dinanzi ma, prima di tutto, alla fede e all’adorazione dei cristiani.

Per questi motivi rinnovo la gratitudine a coloro che, in modi differenti, ne hanno permesso il restauro e la “restituzione” odierna.