Intervento del Patriarca alla Festa del Creato (Altino, 9 ottobre 2016)
09-10-2016

Festa del Creato (Altino, 9 ottobre 2016)

Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia

 

La terra, l’aria, l’acqua, le foreste, il mare, i fiumi, lo stesso clima: queste sono le realtà in cui viviamo e di cui viviamo. L’homo economicus che, per definizione, è individualista e razionalista, le studia non per farsene carico o valorizzarle ma per poterle meglio sfruttare.

Si dice poi che si vuole accedere a queste risorse per il bene e il progresso dell’umanità; in realtà,  se andiamo a vedere, esse sono messe a servizio non di tutti ma  di pochi o di pochissimi e, di volta in volta, abbiamo assistito alle corse ai ghiacci polari, alle foreste amazzoniche, ai fondali dei mari.

Si elaborano progetti e programmi a livello nazionale e internazionale che si presentano nell’interesse della collettività ma essi  garantiscano solo una parte di essa e non di rado compromettono le riserve naturali e depauperano la vita dell’intero pianeta.

“ …le risorse della terra  – scrive Papa Francesco nella Laudato si’ vengono depredate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. Le diverse specie contengono geni che possono essere risorse-chiave per rispondere in futuro a qualche necessità umana o per risolvere qualche problema ambientale” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’, n. 32).

L’attenzione in passato riservata alle risorse della terra non è stata sufficiente e così si va verso il loro consumo. Questi beni che sono – o dovrebbero essere – di tutti non possono esser pensati in rapporto a un fine temporalmente immediato che non tiene conto che tali risorse sono di tutti, non solo dei ricchi o dei poveri ma anche delle generazioni future; si tratta di beni che vanno pensati servendosi del pronome “noi”, un “noi” che comprende le attuali generazioni ma anche quelle future e, quindi, è un “noi” intergenerazionale.

La domanda “che pianeta lasceremo ai nostri nipoti?”  è sempre attuale e, anzi, urgente.

Non è stato difficile elaborare progetti per sfruttare al massimo le risorse di determinate zone del pianeta; si fatica, invece, a predisporre  un progetto condiviso a livello nazionale, europeo e mondiale per tutelare e valorizzare tali risorse attraverso un uso saggio, equilibrato e universalmente valido. E siamo lontani dal coglierle nella loro dimensione simbolica o nel considerarle in se stesse.

Si tratta di superare l’impostazione funzionale per ritrovare uno sguardo che sia capace di stupirsi; bisogna entrare nella logica di un pianeta non più da spartire, lottizzandolo secondo interessi politici, economici e finanziari. Sarebbe già un primo e importantissimo passo in avanti.

Il “cosmo”, considerato secondo una prospettiva di fede (teologica), diventa il “creato ”per cui il sole, le stelle, la luna, l’acqua, la terra e gli animali non son più realtà considerate solo secondo le loro caratteristiche materiali e per quello che possono produrre in termini di denaro ma sono visti – se non proprio francescanamente come fratelli e sorelle – almeno come termine dell’amore creatore di Dio.

Si tratta, allora, di cambiare filosofia di vita e modificare gli stili di vita iniziando da quelli quotidiani, semplici, di ogni momento che ciascuno di noi può porre in atto.

Mi servo qui di un episodio della vita di Francesco d’Assisi; è un episodio  narrato da Tommaso da Celano che scrisse due biografie su san Francesco e una su santa Chiara.

Un giorno – scrive il Celano – san Francesco, malato, ricevette in regalo un bel fagiano da un nobile di Siena. Ma non volle assolutamente che fosse ucciso e cucinato. Anzi nel riceverlo, lo salutò festoso:“Sia lodato il nostro Creatore, frate Fagiano”. E poi disse ai suoi frati: “Vediamo un po’ se frate fagiano vuol restare con noi , o se invece preferisce ritornare nei suoi luoghi soliti”. Si fece la prova. Un frate portò il fagiano in una vigna vicina e lo lasciò libero. Ma l’uccello volò subito alla cella di san Francesco. Allora lui lo fece portare più lontano ancora, ma quello fece ritorno velocissimo ed entrò dalla porta passando sotto le tonache dei frati. Allora San Francesco decise che restasse nel convento, nutrito dai frati, finché voleva. Un medico che curava San Francesco, chiese il fagiano ai frati, non per mangiarlo, ma per tenerlo in casa a ricordo del Santo. Glielo diedero, ma il fagiano, quando fu nell’abitazione del medico, rifiutò di mangiare, come se fosse offeso per essere stato separato dal suo amico. Allora venne presto riportato a san Francesco e, appena gli fu vicino, la sua tristezza svanì e riprese allegramente a mangiare” (Le sacre nozze del beato Francesco con Madonna Povertà, Tommaso da Celano).

Già il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI ci hanno condotto e anche, oggi, quello di Francesco continua a insistere per farci comprendere sempre più il “cosmo” in termini di “creato”. Comprendiamo, in tal modo, d’essere innanzi a una questione decisiva per il nostro presente e futuro; cielo, terra, acqua, aria, fiumi, foreste appartengono, prima di tutto, a Dio e poi all’intero genere umano.

Gesù  insegna come la realtà porti in sé – anche nel suo frammento più piccolo – la  dimensione teologale; anche la creatura più piccola, infatti, viene da Dio, il Padre comune.

Ora la parola di Gesù è sempre viva e attuale. E, nel primo dei cinque grandi discorsi che strutturano il Vangelo di Matteo, Gesù premette alla questione della vera religiosità del discepolo queste parole: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Mt 6,24).

E’ una premessa importante, essenziale per chi vuole comprendere la realtà con lo stesso sguardo di Gesù. Ma il Vangelo richiede, innanzitutto, persone libere e non gravate da legami con altre persone o istituzioni; persone che siano libere dal denaro e da tutto ciò che ad esso equivale e ad esso può esser assimilato.

Insomma, si può vivere cristianamente il rapporto con il creato e il nostro ambiente solo se siamo liberi e se sappiamo usare con libertà i beni materiali ma, aggiungiamo – ed è doveroso sottolinearlo -, anche i beni spirituali.

Seguendo la pericope di Matteo, subito dopo Gesù si rivolge ai suoi discepoli con queste parole:  “Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?” (Mt 6,25-30).

Il testo di Matteo, infine, prosegue trattando della Provvidenza; noi, però, ci fermiamo qui e rimarchiamo l’attenzione che il Padre riserva agli uccelli del cielo e all’erba del campo. Siamo chiamati, quindi, ad avere più attenzione e cura nei confronti di ogni creatura, anche della più piccola, come dell’intero creato.

A questo punto per la nostra riflessione è importante richiamare la destinazione universale dei beni, principio del pensiero sociale cristiano che ha le sue radici nella tradizione più antica della Chiesa.

Il Concilio Vaticano II lo formula in questo modo: «Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati devono equamente essere partecipati a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 69).

Il fondamento teologico è chiaro, ossia la fede in Dio che crea il mondo e lo consegna  all’uomo perché in esso trovi quanto gli è necessario per un’esistenza dignitosa (cfr. Gen 2,16; 3, 1-3). Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice a proposito che «la creazione è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come una eredità a lui destinata e affidata»  (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 299). Da ciò deriva un’esigenza etica concreta, poiché i beni della creazione sono – in linea di diritto – destinati a tutti, «partecipati a tutti» in maniera equa.

Infine, il Papa nel messaggio per la giornata di preghiera e cura del creato 2016, ha proposto di aggiungere alle sette opere di misericordia spirituali e corporali un’altra opera che farà parte sia delle spirituali sia delle materiali.

Papa Francesco chiede così di vivere la sua proposta come impegno personale e comunitario: “Di solito – scrive – pensiamo alle opere di misericordia ad una ad una, e in quanto legate ad un’opera: ospedali per i malati, mense per quelli che hanno fame, ostelli per quelli che sono per la strada, scuole per quelli che hanno bisogno di istruzione, il confessionale e la direzione spirituale per chi necessita di consiglio e di perdono… Ma se le guardiamo insieme, il messaggio è che l’oggetto della misericordia è la vita umana stessa nella sua totalità». Ovviamente la vita umana stessa nella sua totalità comprende la cura della casa comune. Quindi, mi permetto di proporre un complemento ai due tradizionali elenchi di sette opere di misericordia, aggiungendo a ciascuno la cura della casa comune – e qui il Papa precisa -. Come opera di misericordia spirituale, la cura della casa comune richiede «la contemplazione riconoscente del mondo» (Laudato sì, 214) che «ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare» (ibid., 85). Come opera di misericordia corporale, la cura della casa comune richiede i «semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo […] e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore» (ibid., 230231)…” (Francesco, Messaggio  per la giornata mondiale per la cura del creato 2016, n.5).

Questa Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato 2016 faccia crescere in noi la fede in Dio creatore che, con amore, suscita dal nulla il cosmo, affinché gli uomini di tutte le generazioni – e soprattutto della nostra –  se ne prendano cura con rinnovato amore e fede sincera.