Conferenza “Vivere il presente per costruire il domani”
(Rovigo, 8 ottobre 2022)
Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Saluto le autorità, i presenti, gli organizzatori e ringrazio dell’invito.
“Vivere il presente per costruire il domani”: è un tema che fa riflettere e richiede uno sguardo attento al tempo che viviamo, un tempo che porta i segni della “crisi”, i segni dell’“emergenza” e, soprattutto, del “cambio d’epoca”.
Se il cambio è epocale, richiede un ripensamento epocale, cioè una nuova visione, un nuovo approccio; è in gioco qualcosa che va oltre la “crisi” o l’“emergenza”.
Ci stanno dinanzi: la gravità della questione ambientale, con pesanti ricadute sulla vita del pianeta; a livello planetario, una democrazia a macchia di leopardo poiché in vaste aree del pianeta dominano le “autocrazie”, un potere assoluto senza un reale controllo e senza contrappesi.
In Italia, dove la democrazia è realtà ben salda, preoccupa l’astensionismo: nelle ultime consultazioni politiche l’affluenza si è fermata al 64% (con un saldo negativo di quasi dieci punti rispetto alla consultazione precedente): un elettore su tre ha scelto di non andare a votare. È questo un segno che non può essere trascurato in quanto evidenzia che troppi cittadini non si sentono rappresentati dai partiti, almeno dagli attuali.
La democrazia risulta poi condizionata da poteri, per cui ci si domanda quanto risponda al vero l’equazione “uno vale uno”. Ci si riferisce ai poteri forti, quello mediatico, economico, finanziario. Un esempio: la Grecia ha ricevuto 243,7 miliardi di euro dagli altri Stati membri, ma l’operazione ha avuto costi politici e sociali enormi. L’Europa, che doveva vigilare, si è mostrata più l’Europa della politica o della finanza?
Altra “crisi” o “emergenza” prospettica che ci sta dinanzi è la denatalità o il cosiddetto “inverno demografico” in cui l’Italia è immersa da decenni; è un vuoto di futuro, un vuoto di vita.
C’è, poi, da considerare l’ambito delle tecnoscienze che guarda al transumano e al post-umano; si attende dalle nuove scoperte della scienza e dalle nuove applicazioni della tecnica un superuomo, possibilmente immortale.
Così l’uomo, “capax Dei” secondo l’antropologia cristiana – capace di conoscere Dio e di accogliere il dono che Dio fa di Sé -, diverrebbe altro, ossia il transumano o il post-umano. Sogni o realtà? Comunque si lavora ad un uomo “nuovo”, un soggetto diverso. Dopo le grandi rivoluzioni, quella francese (1789) e quella sovietica (1917) – rivoluzioni politiche -, si guarda ora a quella della tecnoscienza.
La modernità prende le distanze dall’antropologia cristiana ed anzi siamo dinanzi ad una nuova forma di pelagianesimo, quel pensiero che affermava la salvezza dell’uomo senza la grazia di Dio. Si punta ad un superuomo prodotto dalla tecnoscienza.
È necessario richiamare la commistione fra economia, finanza, tecnica, scienza e media con la politica che si trova sempre più a recitare la parte della comparsa. Non è accettabile che economia, finanza, tecnica, scienza e media costituiscano un’antropologia post-umana, illudendosi di potenziare l’uomo mentre non riconoscendone i limiti ne costruiscono una caricatura.
Immaginiamo quale futuro ci starebbe dinanzi se dovessimo affidare la guida della nostra società a chi non riconosce i limiti dell’uomo e sogni un superuomo.
Tra le realtà “epocali” che richiedono grande attenzione vi sono i giganti della rete (Gates, Jobs, Zuckerberg, Musk ecc.), i nuovi Paperon de Paperoni che sono la testimonianza dell’intreccio strutturale tra economia, finanza, scienza, tecnica e media.
In questi anni, due recenti avvenimenti hanno sorpreso e sconvolto – seppur differentemente -la vita quotidiana di miliardi di persone in tutto il mondo: la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina.
Di fronte a tali avvenimenti è necessario avere una visione chiara dell’uomo perché proprio da una tale visione dipende il nostro futuro. Questa è la seconda parte del nostro tema.
Non ci si deve concentrare solo sulla crescita quantitativa del Pil (e di altri indicatori economico-finanziari), ma si deve guardare ad uno sviluppo integrale dell’uomo. E, perché ciò avvenga, si deve comprendere tutto l’uomo, ovvero la realtà economica insieme alle relazioni (personali, sociali, politiche, sia nazionali sia planetarie).
La guerra in Ucraina ci fa capire quanto sia essenziale un nuovo tipo di relazionalità a livello internazionale attraverso uno o più soggetti, tra loro coordinati, in grado di dialogare con autorevolezza senza dare spazio al più forte o al ricatto delle armi, soprattutto di quelle nucleari.
Come comprendiamo sempre più in queste settimane, la guerra non è fatta solo con i missili e i carri armati (in ciò Putin appare un uomo del Novecento) – missili e carri armati che seminano morte – ma è anche guerra di informazioni/disinformazioni, una guerra di distruzione dei beni necessari ai popoli e agli Stati (energia e cibo). La guerra si combatte su molti fronti e non più solamente con gli eserciti e le truppe militari; la guerra diventa sempre più “onnicomprensiva”.
Una prima conclusione può essere sintetizzata in tal modo: non possiamo accettare in modo acritico l’esistente (il tempo presente), in primis l’ineluttabilità della guerra! Occorre senso critico, discernimento, coraggio e una “visione” per il futuro. Qui il Papa c’è d’esempio.
Trattiamo, allora, in maniera critica ma costruttiva alcuni ambiti specifici che richiedono tali attenzioni. Riprendo quanto detto circa il rapporto fra finanza, economia ed etica: è indispensabile che si recuperi una relazione virtuosa tra finanza, economia ed etica e questo può avvenire riscoprendo la centralità della persona, dell’essere umano. Qui la politica ha da dire qualcosa che solo lei può dire.
“Il denaro deve servire e non governare! (…) Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium n. 58): sono parole di Papa Francesco in continuità col magistero di Benedetto XVI, il quale già nel 2008 – inizio della grande crisi nata in America e che poi si è diffusa in molti Stati – aveva sollecitato la riforma della visione complessiva dell’economia e della finanza a livello planetario insieme alla riforma di un organismo / un’istituzione globale (come le Nazioni Unite) per dare concretezza ad una vera “comunità internazionale” in grado di incontrarsi e risolvere insieme i problemi che l’assillano, come fosse una comunità di famiglie.
C’è bisogno di una “autorità” globale, capace di agire a livello planetario nell’ambito della politica; una richiesta, questa, già presente in Papa Giovanni XXIII. Parliamo di un’autorità che operi in termini di sussidiarietà e solidarietà (principi fondamentali della dottrina sociale della Chiesa) in vista della realizzazione del più ampio bene comune possibile e dello sviluppo umano integrale; è stato un magistero espresso anche da Paolo VI, la cui enciclica “Populorum progressio” del 1967, riletta oggi, conserva una fortissima valenza profetica e implica, appunto, non solo la crescita ma uno sviluppo più ampio nella giustizia (che deve tenere conto anche delle fragilità), il valore della relazionalità politica come, pure, la spiritualità e il rispetto dei diritti della persona (che non vanno confusi con i desideri) e l’apertura alla solidarietà/ carità.
Le strutture politiche nazionali e sovranazionali mai potranno fare a meno del dinamismo della solidarietà e della carità presenti nelle differenti forme di volontariato che caratterizzano la nostra epoca. È essenziale tener viva tale componente della società.
Lo stesso diritto internazionale risulta “compresso” fra lo strapotere di Stati di cui, di volta in volta, uno prevale sugli altri perché più forte o per le materie prime o per la popolazione o la tecnologia o per retaggi storici; pensiamo, per esempio, al diritto di veto all’Onu.
Ci vorrebbe, quindi, un potere autorevole in grado di agire nel tempo della globalizzazione e, oggi, della post-globalizzazione. Ci si era illusi che la globalizzazione avrebbe aiutato i soggetti più deboli riducendo squilibri e diseguaglianze; tutto ciò è stato, in gran parte, disatteso.
A livello internazionale si deve anche operare affinché i rapporti tra gli Stati abbiano come prerequisito l’impegno reciproco a rispettare i diritti “personali” degli individui, dei popoli, degli Stati. È indispensabile il riconoscimento della dignità della persona e trovare i mezzi per “convincere” e far comprendere anche i più riottosi che ledere tali principi non conviene loro. È essenziale che la politica sappia e voglia esprimere e rappresentare i diritti delle persone, dei popoli e degli Stati.
C’è bisogno di una economia planetaria fatta di responsabilità e attenzione al bene comune, poiché – cito ancora Papa Francesco – “l’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium n. 206).
La globalizzazione ha, infatti, generato un’interdipendenza così fitta e diffusa per cui non è più pensabile che determinate questioni, problemi strategici o contingenti, siano risolvibili da una sola realtà o da un singolo Paese. La politica dei singoli Stati, così, dovrebbe tener conto di tutto questo e mai abbandonare il terreno della comune responsabilità.
“Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium n. 206). Non solo, quindi, di alcuni e non solo dei Paesi che appartengono ai club elitari del mondo, ma di tutti. Certo, per realizzare questo, è indispensabile maturare una pratica effettiva e condivisa di collaborazione internazionale.
In questo quadro, a più livelli, è richiesto quel radicale “cambiamento” di pensiero, di paradigmi, di progettazione, di stili di vita a cui ci richiamano due encicliche di Papa Francesco: “Laudato si’” e “Fratelli tutti”. È un processo di cambiamento che – in un’ottica cristiana di “laico” contributo al bene comune – ha uno scopo preciso, quello di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 13), ossia “transitare” dai sistemi di produzione e di consumo attuali a forme che preservino e facciano crescere, insieme, le differenti risorse del creato – sempre più grave è l’emergenza ambientale – e, quindi, considerare il capitale economico, sociale, naturale e umano.
Ancora la “Laudato si’” afferma che “tutto è connesso”: la difesa dell’ambiente, la difesa della vita dell’uomo, sia che si tratti di un povero o di una persona con disabilità oppure di un embrione umano, e se non si riconoscerà tale realtà difficilmente si saprà ascoltare il grido della stessa natura (cfr. Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 117).
Ecco perché oggi deve risuonare, con forza, la parola “responsabilità” che domanda d’essere associata a libertà e non è riducibile ad una questione di pura “filosofia” o a teorici principi disincarnati, ma chiede d’essere declinata nei differenti e concreti ambiti, quello individuale, personale, sociale, politico-istituzionale, economico, mediatico.
C’è ancora un altro passo da compiere: il cambio di paradigma richiesto deve portare a dar maggiore spazio alla libertà che non è mai puro desiderio o delirio di onnipotenza (qualcosa di illimitato), ma connessa ad un confine che è la relazione con l’altro, la responsabilità per altri in ordine ad un bene comune superiore, una responsabilità che oltrepassa la libertà.
Il nuovo intreccio fra libertà e responsabilità consente di rispondere alle domande di “Laudato si’” al n. 160 e che si possono porre come inizio di un’ulteriore riflessione: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? (…) A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?“ (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ nn. 160).