Cerimonia di inaugurazione della restaurata Casa natale di Albino Luciani (Canale d’Agordo, 23 aprile 2022)
Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia
Saluto il Cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di beatificazione di Albino Luciani, il Vescovo di Belluno-Feltre Renato Marangoni, il Vescovo di Vittorio Veneto Corrado Pizziolo e tutti voi qui presenti. Un saluto particolare va anche al Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e al Vescovo emerito di Belluno-Feltre Giuseppe Andrich che non hanno potuto essere presenti oggi.
Una casa parla di chi la abita (o l’ha abitata) e, perciò, ho deciso di far parlare soprattutto – attraverso questo mio intervento – Albino Luciani.
Verso la fine dell’anno 1969, morto il cardinale Giovanni Urbani, Paolo VI decise che gli succedesse come Patriarca di Venezia il Vescovo di Vittorio Veneto, Albino Luciani che fece il suo ingresso in laguna l’8 febbraio 1970 e vi rimarrà – ma questa è storia, ormai, della Chiesa universale – fino a quando nell’estate del 1978 verrà chiamato, per il breve tempo di un sorriso come è stato talora scritto, al soglio di Pietro.
Mi sembra significativo rileggere, nel singolare contesto della sua casa natale di Canale, alcune delle parole dette dal Patriarca Luciani al momento dell’ingresso a Venezia e che già racchiudono tutta l’ “humilitas” e, insieme, il grande spessore dell’uomo e del pastore.
Rispondendo al saluto del sindaco si espresse così: “Fanciullo di montagna, ho conosciuto Venezia coll’immaginazione e quasi in sogno. Mi dicevano: «A Venezia le strade d’acqua sono solcate da gondole e le gondole le legano ai pali come noi quassù leghiamo gli animali agli alberi! Laggiù, tra tante case e tante chiese, si innalza un campanile altissimo, famosissimo, ma così mite, così galantuomo che, quando nel 1902 decise di accasciarsi a terra, lo fece con tale garbo da non recar danno ad alcuno e senza uccidere nemmeno un colombo!». Studente e insegnante, ho incontrato Venezia nei libri. Una Venezia prima palafitticola… poi serenissima e dominante, poi scaduta da capitale splendida a città di provincia: città tuttavia sempre unica, capace di attirare attenzione, stupore e visitatori da tutte le parti del mondo. Vescovo di Vittorio Veneto, sono stato a contatto con Venezia attraverso i pendolari, che quotidianamente da quella diocesi scendono a Mestre e a Marghera. Era l’altra Venezia; pochi i monumenti, ma tante le fabbriche, tante le case, tanti i problemi spirituali, tante le anime. È in questa multiforme Venezia che la provvidenza mi inserisce. La mia disposizione d’animo è questa: prego Dio che mi faccia molto amare la città, i suoi problemi religiosi; che mi aiuti a mettere a disposizione di tutti quel poco che ho e che sono, concorrendo con lei, signor sindaco, con tutte le altre autorità, con i sacerdoti e i cittadini miei fratelli al bene comune… entro i limiti della mia competenza e sempre rispettoso dei compiti altrui” (Albino Luciani, Indirizzo di saluto all’ingresso a Venezia, 8 febbraio 1970).
E quello stesso giorno, nella sua prima omelia pronunciata nella basilica cattedrale di San Marco, dirà poco dopo: “…non è facile imitare Dio nella difficilissima arte di guidare spiritualmente un popolo, ammesso pure che si tratti del buon popolo veneziano! Se non mi scoraggio davanti a un’impresa che fa tremar le vene e i polsi, gli è perché confido nell’aiuto, che il Signore concede anche a chi vale poco. Dio, infatti, certe cose grandi ama talvolta scriverle non sul bronzo o sul marmo, ma addirittura sulla polvere, affinché se la scrittura resta, non scompaginata o dispersa dal vento, risulti chiaro che il merito è tutto e solo di Dio. Sono io la polvere: l’ufficio di patriarca e la diocesi di Venezia sono le grandi cose unite alla polvere; se un po’ di bene verrà fuori da questa unione, è chiaro che sarà tutto merito della misericordia del Signore” (Albino Luciani, Omelia nella S. Messa d’ingresso a Venezia, 8 febbraio 1970).
Traspare subito quella fortezza degli umili che lo accompagnò sempre, anche nei momenti difficili che un Vescovo si trova ad affrontare e che, certamente, non mancarono nemmeno ad Albino Luciani a Venezia in quei tumultuosi anni Settanta che scossero molto il tessuto sociale ed ecclesiale e lo stesso suo episcopato in laguna, come avvenne – solo per citare un episodio – nell’aprile 1974 sulla vicenda che riguardò la Fuci veneziana in occasione del referendum sul divorzio.
Lo stesso Patriarca Luciani, certamente ripensando anche a quegli anni, una volta confidò con franchezza: “Parecchi accennano – sempre protestando – alla durezza del pastore. Se è lecita una citazione di Bernanos: «Il buon Dio non ha detto che dobbiamo essere il miele della terra, ma il sale, il sale sulla carne brucia, ma impedisce anche di imputridire». D’altronde, essere miele con la gente è molto facile; essere il sale che brucia è molto difficile. Anche i poveri pastori d’anime hanno le loro tentazioni. Contro una di esse li ha messi in guardia san Gregorio Magno: «Il pastore ponga ogni sua diligenza di non lasciarsi vincere dalla tentazione di piacere agli uomini»”.
A colpire positivamente e a farlo rimanere tuttora nella memoria e nel cuore dei veneziani – ma poi anche dei cristiani di tutto il mondo – fu proprio quella sua semplice, gioiosa e forte umiltà, accompagnata da una rigorosa vita di fede, da un’obbedienza piena e da un annuncio evangelico franco, compiuto sempre a nome della Chiesa e per amore della Chiesa, senza timori e calcoli umani, anche di fronte al rischio dell’impopolarità.
Ancor’oggi del Patriarca Luciani sento parlare molto spesso a Venezia e a ricordarlo con affetto è davvero gente di ogni tipo e provenienza e che conserva intatta nel cuore, a distanza ormai di molti anni, la sua figura. E ben viva è la stima della sua santità.
Mi soffermo qui solo su un tratto caratteristico di Albino Luciani e che anche a Venezia è risaltato in modo particolarissimo: è stato un grande e vero catechista, capace di trasmettere con schiettezza il Vangelo proponendolo a tutti, ed ha perciò seguito con grande cura chi nella Chiesa svolge il compito di catechista tanto da inventarsi, nel 1977, un incontro all’inizio dell’anno pastorale con tutti i catechisti parrocchiali – divenuto poi tradizionale, fino ai nostri giorni, con il nome di “Mandato ai catechisti” – ai quali riversava sovente consigli e suggerimenti sia di carattere teologico e spirituale che molto pratici ed operativi per entrare in sintonia con i ragazzi e con le loro famiglie.
Numerose furono in quegli anni, con la Chiesa impegnata nel rinnovamento della catechesi, le sue riflessioni – espresse per iscritto o in conferenze ed autentiche lezioni – che meriterebbero, pur essendo passato quasi mezzo secolo, di essere riprese anche oggi per la loro vivace e fresca attualità nel fornire indicazioni e vie concrete da seguire per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo a bambini, ragazzi, giovani, adulti e famiglie.
E non mancano anche delle opportune raccomandazioni, come questa: “…che ci sia unità. Una catechesi a ruota libera potrebbe produrre male invece che bene. Stiamo uniti nell’insegnare le stesse cose: non opinioni più o meno rispettabili, ma ciò che il magistero della Chiesa propone (…) Il criterio di catechizzare è, dunque, il depositum custodi di san Paolo, non l’altro, talora usato: «che cosa piace? che cosa è oggi alla moda? che cosa mi farà apparire aggiornato e brillante?». San Paolo diceva: «Il Cristo, come lo predico, è scandalo agli ebrei e stoltezza ai pagani; ma io vado avanti lo stesso»” (Albino Luciani, Incontro con i catechisti parrocchiali nella Basilica di S. Marco a Venezia, 29 ottobre 1977).
Concludo infine, sempre a proposito degli anni veneziani di Luciani, accennando al fatto che – sfogliando le annate della rivista del Seminario Patriarcale di Venezia – è interessante notare nel fascicolo dell’anno 1978 un pezzo in cui l’allora rettore monsignor Giuliano Bertoli, in uno scritto che ricordava il viaggio di Paolo VI a Venezia (16 settembre 1972), annotava un particolare che, post factum, fa molto riflettere: “Certamente – scriveva Bertoli – fu un giorno dai risvolti provvidenziali e profetici… Leggendo il testamento spirituale di Paolo VI c’è un particolare che non sfugge a noi veneziani. È la data da lui apposta sul foglio contenente le note complementari ad esso: 16 settembre 1972, ore 7.30. Esattamente la mattina stessa del suo viaggio a Venezia… questo fa pensare che allorquando in piazza San Marco… si tolse la stola papale e la pose sulle spalle del nostro patriarca… fu quasi a rivelare apertamente a chi avrebbe desiderato passare il peso del servizio pontificale”.
Anche quell’imprevista e straordinaria vicenda finale, che lo ha portato ad essere – per soli 33 giorni – Vicario di Cristo, ci ha permesso però di cogliere meglio quel senso di meraviglia e di stupore – generato dall’accogliere e dal contemplare l’opera di Dio – che ha sempre accompagnato l’esistenza di Albino Luciani contribuendo a mettere in evidenza davanti al mondo – e non solo alle genti venete – quei suoi tratti di semplicità, limpidezza e soavità mai disgiunti da un’intelligenza viva e un carattere che sapeva essere anche deciso e fermo. Il tutto sempre e comunque in integra obbedienza e fedeltà al Signore, da lui tanto amato e continuamente servito nei diversi tornanti della sua vita, da Canale a Vittorio Veneto, da Venezia a Roma.
Declinare insieme umiltà e fortezza: è il grande insegnamento che Albino Luciani ci ha lasciato indicando così tutta la libertà della sua persona.
Noi Vescovi del Veneto siamo davvero grati al Signore per il dono che è stato per tutti noi Albino Luciani, giovane uomo e prete formato in queste terre, Vescovo qui in Veneto ed infine capace di parlare eloquentemente e di trasmettere fede, speranza e carità al mondo intero.