Celebrazione dei Primi Vespri della solennità di San Marco per la chiusura della fase diocesana del Cammino sinodale
(Venezia / Basilica Cattedrale di San Marco, 24 aprile 2022)
Intervento del Patriarca Francesco Moraglia
Carissimi,
con questa celebrazione dei Primi Vespri nella solennità dell’evangelista Marco giunge al termine la fase diocesana della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi che ha come tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.
Ringrazio tutti per l’impegno profuso in questo primo tratto di strada condiviso in un tempo difficile e ancora segnato dalle restrizioni imposte dalla pandemia.
Come sappiamo, il Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia (225 diocesi) ci accompagnerà fino al 2025, anno in cui Papa Francesco ha indetto l’Anno Santo.
Proprio nel 2025 vivremo la terza fase del Cammino sinodale, quella “profetica” che, dopo la fase “narrativa” tuttora in corso (biennio 21-22 e 22-23) e la fase “sapienziale” (anno 23-24), metterà le nostre Chiese nella condizione di riconsegnare al popolo di Dio alcune scelte evangeliche incarnandole nella vita delle comunità nella seconda parte del decennio, ossia negli anni dal 2026 al 2030.
Il mio grazie va all’équipe diocesana, ai referenti e al Vicario per la pastorale per il lavoro compiuto in spirito di servizio.
La sinodalità appartiene alla natura stessa della Chiesa e non è solo una questione quantitativa (numero di incontri) ma piuttosto qualitativa.
Siamo grati al Signore per i primi passi mossi insieme ma siamo consci d’aver percorso solo la prima tappa. Abbiamo vissuto l’ascolto di narrazioni personali, comunitarie, ecclesiali e sociali che riguardano il nostro presente e il nostro futuro: ansie, attese, timori, progetti, ferite. Su tutto emerge il desiderio da parte di molti di mettersi in gioco.
Il momento dell’ascolto – non ancora concluso – riguarda tematiche specifiche. L’ascolto è un metodo che intende ravvivare la comunione e quindi, riguarda l’essere stesso della Chiesa. L’ascolto sinodale, infatti, non è fine a se stesso ma propedeutico al momento sapienziale e a quello profetico.
Alcuni passi importanti sono stati compiuti ed altri lo saranno per metterci sempre più in ascolto, innanzitutto, dello Spirito Santo.
La sinodalità è uno stile che si “impara” o, meglio, si fa proprio aiutandosi gli uni gli altri; nessuno può chiamarsi fuori. La sinodalità è un metodo che ci aiuta ad entrare sempre più nel mistero della Chiesa che in modo sinfonico (armonico) è mistero ed istituzione. La sinodalità, in tal modo, plasma le componenti del popolo di Dio, nessuna esclusa, introducendo nella pienezza della vita ecclesiale.
Il frutto del cammino diocesano si traduce in una riflessione comune, una proposta a modo di sintesi, che viene offerta – tramite la Conferenza Episcopale Italiana – alla Segreteria Generale del Sinodo; è il piccolo ma sincero e collaborativo contributo della Chiesa che è in Venezia.
Solo donandosi si entra nel Cammino sinodale. Chi, invece, vuole solo insegnare agli altri o cambiarli, formulando critiche non all’interno di una sana e previa autocritica, è destinato alla sterilità.
Nello stesso tempo, ci troviamo dinanzi ad un punto di partenza e le parole di Evangelii gaudium sono la nostra bussola: “Ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo, è… chiamata alla conversione missionaria. Essa è il soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell’unica Chiesa in un luogo del mondo, e in essa «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica». È la Chiesa incarnata in uno spazio determinato, provvista di tutti i mezzi di salvezza donati da Cristo, però con un volto locale. La sua gioia di comunicare Gesù Cristo si esprime tanto nella sua preoccupazione di annunciarlo in altri luoghi più bisognosi, quanto in una costante uscita verso le periferie del proprio territorio o verso i nuovi ambiti socio-culturali” (Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 30).
Sì, queste parole di Papa Francesco devono illuminare il presente e il futuro del nostro cammino, insieme a quello delle altre Chiese, progredendo verso il momento sapienziale e profetico.
Sapienziale è quel momento in cui, dopo aver ascoltato, si è chiamati al discernimento scegliendo sotto l’azione dello Spirito ciò su cui convergere.
Facciamo, in tal modo, un’esperienza ecclesiale in cui siamo arricchiti dalle nostre molteplici e reciproche vocazioni. E sono proprio queste che contribuiscono a raccontare la bellezza della Chiesa, rendendoci più umili e pacati, comprendendo come dei molti carismi presenti in altri noi siamo privi. Annche in ciò il Cammino sinodale ci fa crescere a livello ecclesiale e proprio nella stima degli altri operai della vigna del Signore.
Il “noi” della Chiesa lo si scopre e lo si fa proprio ascoltando gli altri. Sì, coloro che appartengono a Cristo – che, come noi, sono suoi e sono, magari, più santi di noi! –. Insieme, con loro, tutti diventiamo testimonianza del “noi” della Chiesa. Non dimenticando che lo Spirito lavora nel cuore di tanti uomini anche al di fuori della Chiesa.
La santità, comunque, è il nutrimento e il sostegno di un Cammino sinodale che voglia essere vero, sincero, cordiale. L’ascolto è il frutto di un cammino personale di santità che entra nella quotidianità propria e altrui.
È la Chiesa stessa che ci prende per mano e ci guida ad assumere lo stile sinodale che, se è vero ed autentico, ci introduce e, anzi, ci pone al centro della realtà e del mistero della Chiesa, la sposa di Cristo, compagni di strada anche di chi ha scelto di vivere oltre il sagrato.
La Chiesa universale si rende presente nelle Chiese particolari. Sì, la Chiesa universale prende corpo e si fa visibile nelle Chiese particolari (ecclesia universalis est ex et in ecclesiis particularibus). Nello stesso tempo ogni Chiesa particolare è realmente tale, ossia è la Chiesa di Cristo – e non una sua caricatura – se si costituisce ad immagine della Chiesa universale (ecclesiae particulares sunt ad imaginem ecclesiae universalis). Questo vale più che mai, oggi, nell’epoca della comunicazione in cui tutto è condiviso, reso noto e diffuso in tempo reale.
Così il Cammino sinodale non può, in alcun modo, prescindere dalla comunione con la Chiesa universale, ossia col Vescovo di Roma, ed è proprio a partire da tale comunione che ogni Chiesa è invitata a percorrere il cammino per cui una comunità sia vera Chiesa di Cristo.
È proprio per questo che nella celebrazione eucaristica, culmine della vita della Chiesa (cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosanctum Concilium n. 10), si menziona il nome del Papa e del Vescovo, non per pura simpatia o per amicizia personale (sempre auspicabili) ma per motivo ecclesiale.
Il Cammino sinodale, nella Chiesa, prende forma grazie all’azione dello Spirito, come ricorda l’apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinti; è lo Spirito che ci unisce nell’unico Corpo di Cristo – interpellando le nostre libertà e mai a prescindere da esse – e così crea l’unità (cfr. 1Cor 12,12-26).
Certo, il Papa e il Vescovo non esauriscono la Chiesa, anche se il rapporto (la comunione) con essi è essenziale per essere Chiesa, tanto che nelle preghiere eucaristiche viene appunto menzionato il loro nome e, poi, si citano i presbiteri, i diaconi e il popolo di Dio. Non si tratta, quindi, di una Chiesa clericale ma di una Chiesa che riconosce l’essenzialità del ministero ordinato.
Che poi nella celebrazione eucaristica vengano anche menzionati coloro che hanno già concluso la vita terrena, e vivono nella gloria di Dio, è un invito a comprendere come nella Chiesa la comunione non riguardi solo il tempo presente ma anche quello futuro, per cui la Chiesa non può esser considerata una delle tante istituzioni politiche.
Una Chiesa autenticamente sinodale non assume né fa proprie le forme di rappresentanza e governo delle istituzioni politiche. Valorizzerà, piuttosto, le differenti vocazioni che la costituiscono: battezzati, sposi, ministri ordinati, consacrati, consacrate.
I presbiteri sono arricchiti dalla vicinanza degli sposi e dalle famiglie; i giovani dagli anziani, i sani dai malati, i consacrati dai laici e viceversa. Quanto una reciproca familiarità arricchisce il vescovo, i presbiteri, i diaconi, i consacrati/e, gli sposati!
Tutte queste vocazioni ecclesiali, però, non vanno colte solo in prospettiva terrena o, tantomeno, mondana.
La sinodalità ci porta, ora, a dire qualcosa sul sensus fidei che nulla ha a che fare col pensiero comune di una determinata epoca. Il sensus fidei è, piuttosto, l’esito dell’auditus fidei, ossia della fede ascoltata, vissuta e fatta propria dai fedeli; è la stessa fede professata dagli Apostoli che vive, oggi, nella testimonianza dei fedeli.
Lo Spirito Santo è la guida della coscienza dei credenti e ne rispetta la libertà in modo che la fede si esprima, nella storia, in modo consono all’epoca che viviamo e, nello stesso tempo, in fedeltà al Vangelo di sempre. Questo è il punto: in fedeltà al Vangelo, ossia a Gesù Cristo.
In ultima istanza è la Chiesa in tutte le sue componenti – battezzati, sposati, ministri ordinati, consacrati, consacrate – a garantire l’autenticità di un Cammino sinodale. I pastori, in essa, svolgono una funzione specifica a servizio di tutto il popolo di Dio da cui non possono essere separati; ne sono, infatti, parte rimanendo sempre, anche se pastori, pecore dell’unico Signore.
L’esercizio sinodale del loro ministero permette la formazione del consenso col concorso di tutto il popolo di Dio. La Commissione Teologica Internazionale, a proposito della formazione del consenso ecclesiale secondo la modalità sinodale, così s’esprime: “Il processo sinodale deve realizzarsi in seno a una comunità gerarchicamente strutturata. In una Diocesi, ad esempio, è necessario distinguere tra il processo per elaborare una decisione (decision-making) attraverso un lavoro comune di discernimento, consultazione e cooperazione, e la presa di decisione pastorale (decision-taking) che compete all’autorità del Vescovo, garante dell’apostolicità e cattolicità” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n. 69).
Ancora la Commissione Teologica Internazionale – circa l’ascolto, il consenso e il discernimento comunitario – evidenzia come tutti i soggetti ecclesiali siano attivi nella formazione del consenso ponendosi in ascolto reciproco e non conflittuale, iniziando dall’ascolto dello Spirito e confessando i rispettivi doni e carismi: “Una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile. Nell’esercizio della sinodalità essa è chiamata ad articolare la partecipazione di tutti, secondo la vocazione di ciascuno, con l’autorità conferita da Cristo al Collegio dei Vescovi con a capo il Papa. La partecipazione si fonda sul fatto che tutti i fedeli sono abilitati e chiamati a mettere a servizio gli uni degli altri i rispettivi doni ricevuti dallo Spirito Santo. L’autorità dei Pastori è un dono specifico dello Spirito di Cristo Capo per l’edificazione dell’intero Corpo, non una funzione delegata e rappresentativa del popolo” (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, n.67).
Il Papa per la Chiesa universale e il Vescovo nella Chiesa particolare sono chiamati ad esprimere questo servizio vivendo nella loro coscienza il rapporto con Cristo e proponendolo a tutti a partire dalla comunione ecclesiale.
Ogni pastore, per essere fedele alla missione ricevuta, deve prima di tutto ascoltare la Parola di Dio e lasciarsi illuminare da essa; solo così potrà servire la Chiesa. Suggestivo è, nel rito dell’ordinazione, il momento in cui al neovescovo, inginocchiato, viene posto sul capo il libro dei Vangeli aperto; egli si trova, dall’inizio del suo episcopato, sotto la potenza della Parola di Dio, cioè di Cristo, ed è un gesto che dice bene chi è il Vescovo.
Gesù Cristo è la stessa Parola di Dio ed è parola viva, vera, reale, presente nel libro della Scrittura ma, innanzitutto, nella sua persona.
La sinodalità è un dono che ci porta a riscoprire la responsabilità, la comunione ecclesiale e la fedeltà al Vangelo. E tutto questo avviene in un cammino comune, condiviso e, appunto, sinodale.
Non si tratta solo di un “maggiore” esercizio della sinodalità, ma di una “migliore” sinodalità. La sinodalità, infatti, non si riduce ad un puro dato quantitativo; certo, dobbiamo chiederci se nelle comunità parrocchiali, nelle collaborazioni pastorali e nei vicariati esistano ed operino gli organismi di partecipazione e di maturazione del discernimento ecclesiale, ma bisogna crescere in una “migliore” sinodalità intesa qualitativamente.
Appartiene alla sinodalità il rapporto fra autorità e formazione del consenso, in vista di una più autentica intelligenza della fede e di una vita di carità.
Siamo qui di fronte a qualcosa che appartiene alla realtà costitutiva della Chiesa cattolica e che chiede di riconoscere la specificità delle vocazioni di ciascun membro della Chiesa, affinché lo Spirito Santo si manifesti attraverso un reale discernimento capace di ascoltare tutti e poi di vagliare tutto alla luce del Vangelo.
Non dimentichiamo, infine, e facciamo nostra la lezione umile ma potente che ci ha lasciato S. Teresina di Lisieux a proposito della carità e delle vocazioni nella Chiesa: “La carità è la via più perfetta che conduce con sicurezza a Dio… La carità mi offrì il cardine della mia vocazione. Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Compresi che la Chiesa ha un cuore, un cuore bruciato dall’amore. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il Vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Compresi e conobbi che l’amore abbraccia in sé tutte le vocazioni, che l’amore è tutto, che si estende a tutti i tempi e a tutti i luoghi, in una parola, che l’amore è eterno. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore…” (S. Teresa di Gesù Bambino, Manuscrits autobiographiques, Lisieux 1957, 227-229).
Santa Teresina di Lisieux, giovane, donna, consacrata, contemplativa, patrona delle missioni, dottore della Chiesa, ci accompagni a scoprire la ricchezza multiforme delle vocazioni ecclesiali e a vivere la grazia del Cammino sinodale.