Intervento del Patriarca al seminario sul tema “Giustizia e Pace: testimoni credibili per una cultura di Vita” (Venezia, 24 febbraio 2023)
24-02-2023

“Giustizia e Pace: testimoni credibili per una cultura di Vita”

 (Venezia, 24 febbraio 2023)

Intervento del Patriarca Francesco Moraglia

 

 

È necessario perseguire la giustizia se vogliamo giungere ad una vera pace e, infatti, non si dà pace senza giustizia. La verità, poi, è l’altro elemento costitutivo, sia della giustizia sia della pace.

Tutto ciò è richiesto, nella vita degli uomini, sia nelle macro questioni di politica internazionale sia in quelle spicciole di tutti i giorni, ovvero le relazioni personali, familiari, sociali. Giustizia, verità e pace non possono essere solamente oggetto di discussioni teoriche; al contrario, plasmano il vivere umano a tutti i livelli.

La spinta a farsi carico dell’istanza della pace, della giustizia e della verità è resa ancor più viva dal riferimento alle parole e alla bella figura del magistrato Rosario Livatino, venerato dalla Chiesa cattolica come beato e martire.

Siamo, oggi, ad un anno esatto dallo scoppio della guerra in Ucraina e avvertiamo come la parola “pace” – per non rimanere solo un’affermazione di principio – abbia sempre e di nuovo bisogno d’essere sostenuta da altri pilastri, supporti e realtà che concretamente la costruiscano e la consolidino.

Tra poche settimane ricorderemo i 60 anni dell’enciclica “Pacem in terris” di san Giovanni XXIII, in cui già si delineavano i pilastri fondamentali della pace, ossia quegli elementi essenziali che rendono la convivenza umana “ordinata, feconda e rispondente alla dignità di persone”.

I quattro pilastri sono, appunto, la verità – e questa richiede “che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri” -, poi la giustizia“nell’effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri” -, senza dimenticare l’amore che tutto rende vivo, integra e completa, e la libertà “nel modo – osservava Papa Roncalli – che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare” (Giovanni XXIII, Lettera enciclica Pacem in terris, n.18).

Vorrei anche menzionare un’enciclica, purtroppo, spesso dimenticata e che, invece, contiene pensieri lungimiranti e addirittura profetici che, se fossero stati, almeno in parte ascoltati, avrebbero reso più giusta, dignitosa e “pacifica” la vita degli Stati e dei popoli.

Mi riferisco alla “Populorum progressio” di san Paolo VI: era l’anno 1967. In essa si sottolinea che ogni programma tendente alla giustizia e alla pace deve coniugarsi inevitabilmente con uno sforzo comune “per lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità”, perché “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” (Paolo VI, Lettera enciclica Populorum progressio, nn. 5 e 87).

La voce e il magistero della Chiesa hanno sempre messo insieme e cercato di suscitare questo cammino convergente e l’ultimo anno – quello segnato dalla guerra in Ucraina – lo ha dimostrato, anche con l’impegno straordinario ed insistente (oltreché inascoltato) di Papa Francesco. Qualcuno, alcune settimane fa, aveva calcolato che dal febbraio 2022 –  ancor prima che iniziasse la guerra – alla fine dell’anno appena passato il Papa era intervenuto almeno 130 volte pubblicamente per chiedere la pace nella “martoriata Ucraina”. Il numero di interventi, ad oggi, è ulteriormente cresciuto.

Diventare operatori e testimoni credibili di giustizia e di pace richiede, dunque, di essere portatori di queste “parole d’ordine” che rinviano continuamente al valore e alla dignità della persona e di ogni popolo, che riconoscono – mai separandole – la sfera dei diritti e quella dei doveri e che hanno la capacità di seminare verità, libertà e solidarietà autentica. E tutto questo è, semplicemente, cultura di vita e di pace.

Non dimentichiamo, poi, che il concetto di pace non coincide mai con la semplice assenza della guerra o di conflitti, ma rimanda ad un’esistenza piena, realizzata, arricchita di valori, continuamente produttrice di buone relazioni e di buoni frutti, di un rapporto corretto e sincero con gli altri e con l’Altro per eccellenza che è Dio.

La costituzione del Concilio Vaticano II “Gaudium et spes” esprime così la natura della pace: “La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes n. 78).

Il termine “pace” – sia nella Bibbia, sia nelle altre religioni abramitiche – contiene tutto questo. Pensiamo al vocabolo ebraico “shalôm” che, nella sua radice, suppone qualcosa di “compiuto, perfetto” al punto che la pace biblica e messianica comprende certamente il tacere delle armi e dei conflitti ma richiede anche una realtà (da costruire e rafforzare) di benessere, prosperità, giustizia, gioia, pienezza di vita per tutti. Il salmo 84 dice: “Misericordia e verità s’incontreranno, giustizia e pace si baceranno”. La stessa parola araba “salām” esprime insieme i significati di salvezza, salute e, appunto, pace.

Tutto questo, in conclusione, ci chiede d’essere seri, consapevoli, responsabili e non ideologici quando si parla di pace; non sarà il pacifismo a salvarci come non sarà la pax romana, ossia il dominio e il prevalere di uno dei due soggetti contendenti (magari annientando l’altro o riducendolo al silenzio). La pace a cui aneliamo e che vogliamo costruire è qualcosa di molto più esigente e che sa tenere insieme tutto e tutti.

Per questo, l’impegno per la giustizia e per la pace vanno di pari passo e chiedono che ognuno – secondo il proprio livello di responsabilità e nel rispettivo contesto di vita – faccia la sua parte sempre e al meglio, in maniera limpida, credibile, veritiera, senza restare indifferenti e senza delegare altri.