Intervento del Patriarca al convegno "The identity oh catholic school in the 21st century Europe"
14-02-2004

Current Trends, Social Circumstances and Catholic School

1. «Erunt semper docibiles Dei» (Gv 6,45)
«Erunt semper docibiles Dei». L’icastico latino della Vulgata dà una singolare pregnanza a questa affermazione del Vangelo di Giovanni che riprende il profeta Isaia (cfr. Is 54,13). L’avverbio sempre, individuando nell’educazione una costante dell’umana esistenza, la segnala come una dimensione ultimamente non superabile.
Da dove scaturisce questa sua caratteristica? La risposta è talmente evidente da suonare ovvia: si tratta di un dato dell’esperienza elementare dell’uomo. Un’esperienza che si presenta in se stessa come drammatica (dramma non ha nulla di tragico ma deriva dal greco drao=agisco). «Vivo come un uomo ‘scacciato’ dalla propria personalità più profonda, e nello stesso tempo condannato ad indagarla a fondo» . Così, fin dalla prima battuta messa sulle labbra del suo Adamo, uno dei protagonisti di Raggi di paternità, Karol Wojtyla individua il dramma costitutivo del cuore di ogni uomo: egli si percepisce lontano da sé (scacciato dalla propria personalità) e contemporaneamente presso di sé (condannato ad indagarla a fondo). Per quanto alienato dal centro del proprio io sempre l’uomo deve fare i conti con la domanda delle domande, genialmente espressa da Leopardi nel Pastore errante dell’Asia: «Ed io che sono?» .
Questa tensione drammatica connota l’esperienza elementare di ogni uomo dal momento che questi la ritrova negli affetti e nel lavoro (e diciamo subito che la scuola è una delle più imponenti forme dell’umano lavoro) che sono gli assi portanti della sua esistenza. Assumere consapevolmente ed equilibratamente questa polarità (tensione) in sé naturale non è automatico per nessuno. Richiede appunto una educazione permanente. Lasciandosi educare permanentemente a questa verità dell’esperienza elementare, tutto l’io, esaltato nella sua libertà, viene introdotto a tutta la realtà (non dimentichiamo l’etimo del termine: e-ducere!).
La realtà mostra in tal modo la sua corrispondenza alle esigenze costitutive dell’uomo così come emergono nel quotidiano, fatto di affetti e di lavoro.

2. Mater et magistra
La scuola di ogni ordine e grado, ambito di ricerca e di comunicazione dei saperi attraverso l’insegnamento e lo studio, occupa un posto del tutto privilegiato nell’esaltante avventura dell’umana paideia.
La Chiesa, che è in se stessa un soggetto educativo permanente, ha sempre dato vita a scuole. Esse hanno assunto le più variegate forme, facendosi carico, nella logica dell’Incarnazione, dei bisogni concreti e delle tradizioni culturali e sociali dei diversi paesi del mondo. Nello straordinario impegno di elaborazione e di comunicazione dei saperi la Chiesa però si è sempre mostrata consapevole di quanto ha acutamente osservato Jacques Maritain: «la cosa più importante nell’educazione non è un ‘affare’ di educazione, e ancora meno di insegnamento» . Andando al cuore della questione educativa, infatti, la lunga tradizione scolastica della Chiesa non ha mai identificato la paideia con la mera istruzione. E non lo ha fatto perché «l’esperienza, che è un frutto incomunicabile della sofferenza e della memoria, e attraverso la quale si compie la formazione dell’uomo, non può essere insegnata in nessuna scuola e in nessun corso» . Solo se resta riferita all’esperienza umana elementare, integralmente svelata in Gesù Cristo, la scuola può educare la persona, accompagnandola, nella libertà, al progressivo incontro con tutto il reale.
Un grande maestro del pensiero teoretico di matrice cattolica, Gustavo Bontadini, ha definito la filosofia «lo scegliersi dell’uomo di fronte al reale» . E la filosofia stessa, che sta all’origine della scuola, è amore del sapere che nasce dal ‘sapere’ dell’amore, tratto imprescindibile – ma da secoli radicalmente rimosso ‘ della riflessione sull’esperienza elementare .
La paideia quindi, squisito compito ecclesiale, è oggi più che mai attuale. Il che non significa che non debba essere reinterpretato. Anzi, le questioni brucianti di cui sono ben coscienti quanti operano in questo delicato settore, ne chiedono con forza un’adeguata riformulazione. Basti citare, a semplice titolo di esempio, la collaborazione tra genitori ed insegnanti nell’educazione dei figli, la presenza delle scuole cattoliche in una società multietnica e multireligiosa, il peso della proposta della fede nel percorso educativo di una scuola cattolica, la necessità o meno di istruire nella dottrina cattolica gli studenti in una simile scuola, la rilevanza pubblica della scuola libera, il rapporto tra identità cattolica e costruzione di una società civile pluralista’ ma l’elenco sarebbe molto lungo. In sintesi ci si può chiedere: nell’Europa che si apre ad una nuova delicata fase della sua ancor giovane unione è bene o no moltiplicare le scuole cattoliche?

3. Reinterpretare un compito
Riferirsi al contesto europeo è cosa ovvia, a partire dalla Vostra stessa presenza in questa sede e dalla ricchezza dei contenuti delle relazioni che saranno svolte. Ma, oggi, la scuola in Europa deve fare i conti con un contesto sociale segnato da una parte dalla multietnicità, dalla multiculturalità e dalla multireligiosità e dall’altra da quel complesso ‘ per non dire subdolo – fenomeno che va sotto il nome di secolarizzazione.
Come si pone la scuola cattolica di fronte a questa duplice sfida? Rispondere a questo interrogativo significa di fatto gettare uno sguardo, necessariamente troppo rapido, sulla situazione sociale ed i relativi trends culturali che segnano una complessa realtà in rapida transizione.
Vale la pena recuperare anzitutto una chiave di lettura del ‘fenomeno Europa’ che il filosofo Rémi Brague ha messo in evidenza. Egli parla della secondarietà come caratteristica propria dell’europeo.
Qual è infatti il nucleo vitale, irrinunciabile, dell’identità dell’Europa, pur dentro le inarrestabili e radicali trasformazioni cui essa è oggi sottoposta? Brague lo riconosce nella secondarietà, il carattere fondamentale di quello che egli chiama atteggiamento romano. Roma fu capace di recepire, custodire e trasmettere come patrimonio proprio la sintesi di Atene, Gerusalemme ed Alessandria. Non comunicò, innanzitutto, qualche cosa che produceva direttamente in proprio, ma ciò che le era stato trasmesso. Da Roma era considerato patrimonio primario ciò che essa aveva ricevuto. In questo starebbe la sua secondarietà. «È romana l’esperienza di cominciare come (ri)cominciare’ l’atteggiamento di chi si sa chiamato a rinnovare l’antico» .
Il Cristianesimo si innesta facilmente su questo atteggiamento romano perché è in se stesso pure caratterizzato dalla secondarietà. Esso porta anzi la secondarietà culturale a livello del rapporto con l’Assoluto stesso. Il cristianesimo, infatti, riconosce di essere, nella sua genesi, secondo rispetto all’Alleanza ebraica. Lo percepiva lo stesso Maimonide quando affermava che «Gli incirconcisi [cioè i cristiani] sono convinti del fatto che il testo della Torah sia proprio lo stesso» .
In che senso la fede cristiana ha inverato il principio della secondarietà proprio della tradizione romana, che da vita all’Europa? Per rispondere occorre rifarsi alla figura (forma) costitutiva del Cristianesimo.
Nella prospettiva giudaico-cristiana la Verità, in forza della sua radice trinitaria, è sempre una verità vivente e personale. Non è un’idea, né il puro frutto di una ricerca teorica, ma la persona e la vicenda storica del Figlio di Dio fatto uomo, morto e risorto per noi che, senza nulla perdere della sua assolutezza, ha scelto la strada della libertà umana per rendersi presente nella storia. Ne consegue che più la Verità si comunica, più la libertà è chiamata in causa. Più la Verità si propone, più la libertà è pro-vocata. Anzi, in questo suo ‘vertiginoso’ offrirsi alla libertà, la Verità giunge fino a farsi da essa crocifiggere. E la Sua vittoria nella Risurrezione è una vittoria gloriosa, pagata a caro prezzo, quello cioè di salvaguardare l’umana libertà. Con Gesù Cristo e con il cristianesimo il principio della differenza nell’unità (che vive nel mistero della Trinità) trapassa, in forza dell’Incarnazione, nella storia e diventa, in tal modo, nel rispetto della legge dell’analogia, principio di comprensione e di valorizzazione di ogni differenza. Questa non viene solo tollerata, ma esaltata, perché trattenuta in unità da quella Verità che giunge fino all’estrema Thule dell’umana esperienza, impedendo che persino la differenza più radicale degeneri in fattore di dissoluzione più o meno violenta . La Chiesa – afferma Giovanni Paolo II – «ha il compito di ravvivare nei cristiani d’Europa la fede nella Trinità, ben sapendo che tale fede è foriera di autentica speranza per il Continente. Molti dei grandi paradigmi di riferimento sopra accennati, che sono alla base della civiltà europea, affondano le loro radici ultime nella fede trinitaria. Questa contiene uno straordinario potenziale spirituale, culturale ed etico, in grado, tra l’altro, di illuminare anche alcune grandi questioni che oggi si agitano in Europa, come la disgregazione sociale e la perdita di un riferimento che dia senso alla vita e alla storia» . A questo proposito continua il Papa: «dalla Chiesa cattolica, infatti, viene un modello di unità essenziale nella diversità delle espressioni culturali, la consapevolezza dell’appartenenza a una comunità universale che si radica ma non si estingue nelle comunità locali, il senso di quello che unisce al di là di quello che distingue» .

4. La crisi della traditio
All’identità europea appartiene dunque radicalmente questa secondarietà romano-cristiana che le permette di rimettersi continuamente in gioco…CONTINUA