Intervento del Patriarca al Convegno della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice “La trasformazione sostenibile: ambiente, economia e società. Le sfide che ci attendono, le azioni possibili” (Venezia / Isola di S. Giorgio, 11 giugno 2022)
11-06-2022

Convegno della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice 

“La trasformazione sostenibile: ambiente, economia e società. Le sfide che ci attendono, le azioni possibili”

(Venezia / Isola di S. Giorgio, 11 giugno 2022)

Intervento del Patriarca di Venezia Francesco Moraglia

 

 

Un cordiale saluto agli illustri relatori e a tutti i partecipanti a questa giornata di studio.

Ringrazio Giovanni Bazoli, Presidente della Fondazione Giorgio Cini che ospita il convegno, e la Presidente della Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice, Anna Maria Tarantola, per l’invito a tenere l’intervento conclusivo.

Il tema della giornata non è solo attuale ma di rilevanza primaria per il futuro del nostro pianeta, ben sapendo che il futuro ha le sue radici nel presente.

Per questioni di tempo mi limito ad alcune riflessioni.

Una premessa: la dottrina sociale della Chiesa ha un’ispirazione e un’antropologia ben precise. Si pone, però, come sapere “laico” che intende offrire un contributo al bene comune, cioè al bene della persona, della famiglia e della comunità a livello sociale e politico/istituzionale, in un quadro, oggi, di geopolitica planetaria che considera le questioni del bene comune legate ai territori e vede negli Stati degli organismi che hanno un loro divenire e necessitano di uno spazio vitale.

È necessario, quindi, considerare con attenzione l’attuale contesto storico in cui si parla di transizione ecologica integrale, di trasformazione sostenibile nell’interagire strutturale tra ambiente, economia e società.

A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso (anni ‘80/’90), è tramontato l’ordine internazionale ed istituzionale che aveva governato la scena mondiale da Yalta alla caduta del muro di Berlino e progressivamente sostituito – come scrive il prof. Vittorio Emanuele Parsi – da un nuovo ordine “globale neoliberale” che è subentrato all’all’ordine “internazionale liberale” e che rende più complessa la navigazione, soprattutto per il mondo occidentale chiamato a confrontarsi con attori ed eventi imprevisti o non adeguatamente considerati e tutto ciò soprattutto in questi ultimi anni.

Tra questi attori vi sono l’emergere di Paesi che si impegnano per acquisire posizioni – Russia e Cina, e non solo loro, con basi di partenza e modi differenti – e poi va sottolineata la sostanziale crisi o stato di grave difficoltà delle democrazie tradizionali “afflitte dalla contrapposizione tra forme di populismo identitario e sovranista e tendenze oligarchiche e tecnocratiche” (V. E. Parsi, Titanic. Il naufragio dell’ordine liberale, Bologna 2018).

La guerra in Ucraina, sempre più cruenta e drammatica, risente di tale contesto ed è evidente che mostri gravi ricadute non solo per le vite umane e in ambito politico, diplomatico e, più in generale, delle relazioni internazionali ma anche in quello della tutela dell’ambiente (cosa rimarrà dell’Ucraina dopo le tonnellate e tonnellate di missili e bombe che ne hanno devastato il territorio?) e sulla vita quotidiana dell’economia e delle società a livello planetario (la questione dell’energia e delle materie prime, agricole in particolare, con il rischio concreto di una crisi umanitaria per la carenza di cibo e beni di prima necessità). A pagare saranno, come sempre, i Paesi più poveri.

In questo quadro, e a più livelli, è richiesto quel radicale “cambiamento” di pensiero, di paradigmi, di progettazione, di stili di vita a cui ci richiamano le due encicliche di Papa Francesco “Laudato si’” e “Fratelli tutti”. È un processo di cambiamento che ha uno scopo preciso, quello di “unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 13), ossia “transitare” positivamente dai sistemi di produzione e di consumo attuali a forme che preservino e facciano crescere, insieme, tutte le risorse del creato e, quindi, dal capitale economico a quello sociale, dal capitale naturale a quello umano. E questo perché “tutto è connesso”, come si ricorda nella “Laudato si’” quando si lega strettamente la difesa dell’ambiente alla difesa della vita dell’uomo, sia che si tratti di un povero, di una persona con disabilità o di un embrione (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ n. 117).

Oggi qui deve risuonare, con forza, la parola “responsabilità” che domanda d’essere associata a libertà e non è riducibile ad una questione puramente “filosofica” o a principi disincarnati, ma chiede d’esser declinata nei differenti e concreti ambiti, quello individuale, personale, sociale, politico-istituzionale, economico, mediatico. Il convegno di oggi ha cercato di entrare ed esprimere tale concretezza.

Emergono così, a mio modo di vedere, tre priorità che riguardano altrettanti ambiti delicati e sui quali urge cambiare.

Il primo concerne il recupero della persona, il rapporto tra persona, ambiente, lavoro e capitale e chiede che le persone siano considerate non come “individui” ma in relazione fra loro e col creato, come esseri unici e irripetibili, contingenti (fragili). Pensiamo al dramma di una società governata da persone che non hanno imparato a riconoscere il senso del limite e della fragilità. L’ambiente, poi, non va inteso come risorsa da sfruttare, ma come “casa comune” da abitare con gli altri, come patrimonio da custodire, sviluppare e consegnare alle future generazioni.

C’è poi l’ambito che concerne gli stili di vita e le scelte di ogni consumatore, di ogni cittadino. Già Benedetto XVI, era l’anno 2009, nell’enciclica “Caritas in veritate”, metteva in risalto le responsabilità dei singoli soggetti: “È bene che le persone si rendano conto che acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico. C’è (…) una precisa responsabilità sociale del consumatore, che si accompagna alla responsabilità sociale dell’impresa. I consumatori vanno continuamente educati al ruolo che quotidianamente esercitano e che essi possono svolgere nel rispetto dei principi morali, senza sminuire la razionalità economica intrinseca all’atto dell’acquistare” (Benedetto XVI, Lettera enciclica Caritas in veritate n. 66).

Inoltre, nel perseguire l’obiettivo di una trasformazione sostenibile e di una transizione ecologica integrale, è necessario correggere, quanto prima, le storture presenti nel rapporto tra politica, economia, finanza e tecnica per liberarci dal “paradigma tecnocratico imperante” ed evitare che la tecnocrazia prenda il sopravvento imponendo un modello antropologico – pensiamo al transumanesimo (e mi riferisco alla cultura della Silicon Valley) – che, andando oltre l’uomo e, in teoria, illudendosi di “potenziarlo”, non ne riconosce la dignità che comporta anche il riconoscerne i limiti che lo caratterizzano. Lo ribadisco: immaginiamo cosa può voler dire affidare il mondo ad una generazione che non riconosce il senso del limite e non ammette la fragilità.

Papa Francesco, su questo punto, è chiaro e invito a rileggere i numeri 111 e 112 della “Laudato si’”: “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente, anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa logica globalizzata… È possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più sociale e più integrale” (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ nn. 111-2).

Si chiede, insomma, un cambio di paradigma che consenta di dare spazio – nel rapporto con se stessi, con gli altri e con il creato – alla gratuità, alla creaturalità e alla fraternità, al far proprio un rinnovato legame tra libertà e responsabilità, dove – accogliendo la lezione di Emmanuel Lévinas – la libertà non è mai desiderio o delirio di onnipotenza (e perciò qualcosa di illimitato), ma è connessa ad un confine che è la relazione con l’altro, la responsabilità per altri in ordine ad un bene comune superiore, una “responsabilità che oltrepassa la libertà”.

Il nuovo intreccio fra libertà e responsabilità permetterà allora di rispondere alle domande che “Laudato si’” pone al n. 160: “Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? (…) A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?“ (Papa Francesco, Lettera enciclica Laudato si’ nn. 160).

Domande che non solo non sono inutili, ma arricchiscono l’uomo in un tempo di tecnoscienza imperante come il nostro, in cui la riduzione al funzionale e al funzionalismo decreta l’asservimento anche dell’uomo che vive nelle parti più evolute e ricche del pianeta.