Intervento del Gran Cancelliere mons. Francesco Moraglia al Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto (Padova, 26 febbraio 2013)
26-02-2013

Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto

 

(Padova, 26 febbraio 2013)

 

Intervento del Gran Cancelliere mons. Francesco Moraglia

 

‘L’ecclesialità della teologia’

 

 

 

Ringrazio in modo particolare l’Arcivescovo Gerhard Ludwig Műller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha accettato l’invito del Gran Cancelliere della Facoltà Teologica del Triveneto a tenere la Prolusione sul tema ‘La fede fondamento dell’esperienza cristiana’, in occasione del Dies academicus 2012-13.

 

Ringrazio anche gli eccellentissimi arcivescovi e vescovi, membri della Conferenza Episcopale del Triveneto qui presenti; un saluto cordiale, poi, va al preside, alle autorità accademiche, ai docenti, al personale tecnico amministrativo, a tutti i collaboratori e, infine, ai carissimi studenti della Facoltà.

 

Agli sponsor che, in modi diversi, sostengono la Facoltà Teologica del Triveneto va la nostra gratitudine; siamo consapevoli dello sforzo che essi compiono in questo periodo di persistente crisi economica.

 

In questo contesto – come Facoltà Teologica del Triveneto – vogliamo essere a servizio della cultura in genere e di quella teologica in specie, sempre più radicati nelle nostre terre del Nordest di antica tradizione cristiana e, oggi, bisognose di nuova evangelizzazione.

 

L’affermazione della Trascendenza – nell’attuale società della tecno scienza, la nostra – è per tutti garanzia di vero servizio all’uomo considerato nell’integralità del suo essere personale, sociale e, appunto, trascendente.

 

In questo intervento desidero soffermarmi sullo stretto legame che intercorre fra teologia e fede. Premetto che la teologia, per la Chiesa, non è un lusso, non è un di più; anzi, è condizione perché la fede possa rispondere pienamente a se stessa e, così, possa essere degna dell’uomo.

 

Se, infatti, l’uomo non ponesse atti sensati e motivati in ordine alla fede mancherebbe, innanzitutto, nei confronti della sua umanità. La teologia, quindi, accompagna l’atto di fede; lo rende più umano, libero, responsabile e motivato.

 

La fede, che deve prendere le distanze da ogni forma di fideismo e  razionalismo, si volge all’uomo inteso come un’unità – spirito, anima e corpo[1] – e ne considera le prerogative. In tal senso la fede non si impone ma si propone e, quindi, rispetta e, a sua volta, chiede rispetto.

 

Risposta a Dio che liberamente si dona, la fede dev’essere atto pienamente umano: il ‘sì’ dell’uomo a Dio che si rivela in Cristo, un ‘sì’ che l’uomo dice con tutto il suo essere. La teologia, infatti, è sviluppo dell’intellegibilità antropologica del Mistero che, sempre, rimane tale.

 

In tal modo la teologia comporta l’assunzione critica delle culture. Il teologo si pone in ascolto critico delle molteplici culture, ne riconosce gli obiettivi valori, ne sa diventare debitore e, nel caso, prenderne le distanze per non diventarne succube. Secondo tale logica, il teologo s’impegna a dire l’assolutezza e la condiscendenza del mistero di Dio: Dio è unicità molteplice, è verità saporosa, è bellezza armonica, è amore misericordioso.

 

Al sostantivo ‘teologia’ si addice il plurale e, infatti, le teologie sono molte. Mentre fede e magistero sono unici, le teologie – nel succedersi dei secoli (diacronia) – sono molteplici, come sono varie nella stessa epoca (sincronia). Il loro valore dipende sempre dalla consistenza teoretica di ciascuna. Il teologo – uomo, donna, chierico, religioso, laico – è chiamato alla libertà intellettuale e alla comunione ecclesiale. E, quindi, al servizio. 

 

Come sapere della fede, la teologia partecipa della scientificità e dell’ecclesialità. Le due parole potrebbero sembrare fra loro contraddittorie ma non lo sono; infatti, la teologia è scientifica proprio perché ecclesiale ed è ecclesiale proprio perché è scientifica.

 

Benedetto XVI, il 6 ottobre 2005, ricordando un teologo e un amico ha evidenziato l’ecclesialità della teologia. L’occasione era il messaggio inviato ai partecipanti al convegno internazionale svolto nel centenario della nascita di Hans Urs von Balthasar.

 

Ecco come si esprimeva il Santo Padre: ”è stato un teologo che ha posto la sua ricerca a servizio della Chiesa, perché era convinto che la teologia poteva essere solo connotata dalla ecclesialità. La teologia, così come lui la concepiva, doveva essere coniugata con la spiritualità; solo così, infatti, poteva essere profonda ed efficace’ La sua [della teologia] esigenza di scientificità non viene sacrificata quando essa si pone in religioso ascolto della Parola di Dio, viva della vita della Chiesa e forte del suo Magistero. La spiritualità non attenua la carica scientifica, ma imprime allo studio teologico il metodo corretto per poter giungere a una coerente interpretazione[2].

 

La teologia – in quanto scientifica ed ecclesiale – si caratterizza secondo l’insieme di tali linee che la strutturano intimamente.

 

La teologia è scientifica perché ecclesiale, è l’immanenza dell’ecclesialità nella scientificità che rende scientifica la teologia. Il teologo, infatti, a differenza del filosofo, riceve l’oggetto del suo sapere. La Rivelazione viene ricevuta dalla Chiesa attraverso diverse mediazioni; così la Parola di Dio ci raggiunge tramite la sacra Scrittura, all’interno della Tradizione viva della Chiesa, nel rispetto del Magistero e si esprime secondo specifiche e molteplici modalità.

 

La teologia è ecclesiale perché è scientifica; è l’immanenza della scientificità nella ecclesialità che rende ecclesiale la teologia, ossia utile alla Chiesa in quanto nella Chiesa si pone come sapere rigoroso, tematizzato, scientifico. La teologia, infatti, non è la catechesi o l’omiletica.

 

La teologia non è un lusso per la Chiesa ma, piuttosto, un servizio necessario; la storia, poi, ci dice che la teologia non sostituisce il ministero apostolico e il ministero apostolico non sostituisce la teologia.

 

Così i teologi servono la Chiesa tramite il carisma dell’intelligentia fidei e il magistero della Chiesa – papa e vescovi – esplica il proprio carisma che consiste nell’annuncio, nella promozione e nella difesa della fede a 360° e non unicamente secondo l’aspetto dell’intelligentia fidei. Il magistero, quindi, non guarda solo alla teologia dalla prospettiva dell’intelligentia fidei ma considerando e promuovendo tutti gli ambiti in cui la fede si esprime nelle differenti funzioni ecclesiali.                                                                                                                                                                                                                                    

 

Sul nesso tra scientificità ed ecclesialità, tra teologia e magistero, rimane illuminante quanto scrive Karl Rahner negli anni subito successivi al Concilio ecumenico Vaticano II; era l’anno 1967. Circa le affermazioni non ‘irrevocabili’ del magistero, Rahner rimarca che a fondamento della fede e della Chiesa non vi sono le argomentazioni dei teologi ma la Chiesa stessa.  

 

‘Per lo più – così s’esprime Rahner – anche gli studiosi non riescono ad andare al di là di enunciati temporanei, validi qui e ora’ A maggior ragione quindi va riconosciuto al magistero il diritto di prendere decisioni del genere. Infatti la fede e la Chiesa non si fondano sui labirinti concettuali dei teologi, sì invece sul messaggio apostolico di una missione affidata in primo luogo al magistero della Chiesa, ai vescovi’[3].

 

È l’alleanza tra magistero e teologia che deve crescere a partire dalla specificità dell’uno e dell’altra, nel reciproco riconoscimento.

 

Ponendosi come conoscenza rigorosa, con un suo proprio metodo e oggetto, la teologia – in quanto scienza – si caratterizza come sapere umano. I teologi, così, sono chiamati a compiere – con libertà e competenza – le loro specifiche ricerche mantenendo sempre viva la comunione di fede con la Chiesa.

 

Il sensus fidelium è proprio di chi condivide il sensus fidei che fonda e nutre tanto il magistero della Chiesa quanto la ricerca e il sapere critico dei teologi. La teologia, quindi, è chiamata a investigare in maniera più rigorosa la fede ma mai a produrla, creandola ex novo; il teologo, infatti, è  prima di tutto un credente che fonda la sua fede personale su quella della Chiesa.

 

Il lavoro essenziale, generoso e disinteressato del teologo – a favore della comunità dei credenti – rimane un’offerta e una proposta fatte alla Chiesa e che richiedono, appunto, il discernimento ecclesiale affinché l’offerta e la proposta possano essere accolte dalla stessa Chiesa.  

 

 Si tratta, in particolare durante quest’Anno della Fede, di riscoprire e valorizzare il noi della Chiesa  – l’io credo unito al noi crediamo – per cui il carisma della verità non spetta ai singoli, anche se culturalmente dotati e eruditi, ma alla testimonianza che nasce dall’ecclesiologia di comunione, cardine dell’insegnamento del Concilio Vaticano II che così s’esprime: ‘La totalità dei fedeli, avendo l’unzione che viene dal Santo, non può sbagliarsi nel credere e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando «dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici» mostra l’universale suo consenso in cose di fede e di morale’[4] (Lumen gentium, n.12).

 

L’Anno della Fede sia per tutto il popolo di Dio – ad iniziare dai pastori e dai teologi – momento di crescita e conversione, non solo morale ma intellettuale.

 

 


[1] Cfr. 1Ts 5,23.

 

[2] La citazione è tratta dal messaggio inviato il 6 ottobre 2005 dal Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti al convegno internazionale di studi sulla figura e sul pensiero del teologo Hans Urs von Balthasar in occasione del centenario della nascita, svoltosi a Roma presso la Pontificia Università Lateranense.

 

[3] K. Rahner, Nuovi saggi, Edizioni Paoline 1969, pag. 146-147.

 

[4] Lumen gentium, n.12.