Intervento del Gran Cancelliere Francesco Moraglia al Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto (Padova, 24 aprile 2015)

24-04-2015

Dies academicus della Facoltà Teologica del Triveneto
(Padova, 24 aprile 2015)
Intervento del Gran Cancelliere mons. Francesco Moraglia

Rivolgo un cordiale saluto alle autorità, al corpo docente e agli studenti, con un pensiero grato a tutte le realtà e istituzioni che, a vario titolo, sostengono l’attività della Facoltà Teologica del Triveneto.
Sono veramente lieto che, quest’anno, la nostra Facoltà possa avere per il dies academicus un relatore di vera eccezione nella persona del Segretario di Stato di Sua Santità, il Cardinale Pietro Parolin. Eminenza, grazie d’aver accolto l’invito. Ci disponiamo ad ascoltarla con attenzione su un tema di grande attualità.
Per una Facoltà di Teologia, soprattutto, è essenziale interrogarsi – con libertà intellettuale e rigore – su come dire la fede. La teologia è, infatti, saper dire in modo “critico” la fede “oggi” e, quindi, avvertiamo il tema “Visione e teologia di un mondo aperto” come nostro, in modo del tutto particolare. Inoltre, in un mondo sempre più globalizzato, quello che oggi vale in una parte del pianeta, domani ne riguarderà la totalità. I mezzi di comunicazione hanno realmente accorciato i tempi e abbreviato le distanze, il pianeta è diventato veramente  un villaggio.
Il confronto obbligato oggi, almeno nel nostro Occidente, è con la post-modernità che si caratterizza per il rifiuto di ogni tipo di vincolo e di norma. Più radicalmente, ricusa ogni fondamento e tutto è consegnato alla sola libertà individuale.
Attraverso il sapere critico – che le è specifico – la teologia è così chiamata a discernere a partire dall’evento Gesù Cristo, non dalle culture. Il metodo non può che essere quello del dialogo ovvero suscitare con empatia, ma andando a fondo nel modo più radicale, le domande antropologiche dell’uomo e, in particolare, dell’uomo contemporaneo, quello post-moderno.
Cinquant’anni orsono – era il 1964 – il beato Paolo VI promulgava l’enciclica Ecclesiam suam, incentrata sul dialogo Chiesa-mondo; un testo emblematico e paradigmatico circa il metodo da usare sempre, mantenendo però l’identità ecclesiale. Rileggiamone un passo particolarmente significativo: “Vi è un terzo atteggiamento che la Chiesa cattolica deve assumere in quest’ora della storia del mondo, ed è quello caratterizzato dallo studio dei contatti ch’essa deve tenere con l’umanità. Se la Chiesa acquista sempre più chiara coscienza di sé, e se essa cerca di modellare se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall’ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina[1].
Si tratta di un passo di grande attualità per il metodo che propone e deve essere considerato di costante riferimento. In teologia, a differenza della filosofia, tutto nasce dall’ascolto. Un ascolto intelligente, scientificamente critico che riconosce, ovunque vi siano, semi di giustizia, bene, verità e, quando li ha individuati, non ha paura di riconoscersi debitrice di una o più culture o, se è il caso, di prenderne le distanze, ad esempio se tale cultura fosse espressione del pensiero unico dominante.
Ma ritorniamo al tema della prolusione e consideriamo il nesso tra i due termini: “visione” e “teologia”. Papa Francesco ripropone tale nesso nell’Evangelii gaudium dove – richiamandosi all’Evangelii nuntiandi di Paolo VI – si serve di due altri termini: “Vangelo” e “vita concreta”.
“…«l’evangelizzazione – scrive Francesco – non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo». Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo” [2].
Come membra della Chiesa siamo chiamati, innanzitutto, ad annunciare l’amore di Dio e il Santo Padre parla dell’amore di Dio in termini di volontà salvifica universale : “…il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino… ”. L’amore di Dio e la sua volontà salvifica universale si identificano e costituiscono il nucleo portante della Rivelazione cristiana. Il Dio di Gesù Cristo è, insieme, Amore e Logos e, quindi,  Amore sensato e Logos amante.
Ma – se Dio è insieme Amore e Logos – la Chiesa non è più solamente una comunità di persone chiamate a credere (la fede) ma una comunità di persone che credono amando e amano in modo sensato; fede e amore, così, si richiamano. E la Chiesa deve impegnarsi affinché il Regno di Dio venga realmente. L’invocazione “Venga il tuo Regno” – posta al centro della preghiera che Gesù ci ha insegnata – chiede d’esser detta in verità e sincerità, con la mente e col cuore. La Chiesa, in tal modo, è chiamata ad esprimere la propria vocazione all’universalità diffondendo parole e compiendo opere di misericordia, di perdono e di riconciliazione.
I rapporti Chiesa-mondo si possono delineare in vari modi: possono esser ridotti al minimo, la Chiesa può isolarsi dalla società o ergersi a giudice o, ancora,  assumere il ruolo di guida egemone. Il dialogo, comunque, è l’unico metodo praticabile e sempre più va privilegiato, senza escludere “altre forme legittime” e considerando bene l’interlocutore che ci sta innanzi e le circostanze concrete  in cui operiamo[3].
Il beato Paolo VI spiega ancora: “… il dialogo [suppone] uno stato d’animo in noi, che intendiamo introdurre e alimentare con quanti ci circondano: lo stato d’animo di chi sente dentro di sé il peso del mandato apostolico, di chi avverte di non poter più separare la propria salvezza dalla ricerca di quella altrui, di chi si studia continuamente di mettere il messaggio, di cui è depositario, nella circolazione dell’umano discorso[4].
E, a proposito del dialogo, è significativo questo testo del gesuita francese François Varillon che – trattando della forma più impegnativa dell’annuncio di fede, il dogma – lo presenta non in termini di mera costruzione intellettuale o rigida formulazione linguistica ma come servizio all’evangelizzazione, superando il ripiegamento individualistico su di sé e dischiudendo il dialogo in termini d’amore. Tale dialogo risponde alla pienezza dell’atto di fede.
Se esistono dogmi nella Chiesa – scrive Varillon –, è perché nessuno si inganni su ciò che è l’amore. Essi danno adito al rimprovero di ideologia: in realtà essi hanno per scopo e debbono avere per effetto di impedire che l’amore venga trasformato in ideologia La loro funzione è di opporre dei limiti alla soggettività scatenata per trattenerla dall’affermare secondo il proprio impulso… Queste formulazioni sono dei punti di partenza tanto e più che dei punti di arrivo. Esse rendono possibile la reciproca conoscenza di tutti i fratelli di Gesù nella medesima adorazione. Se manca un linguaggio comune regna l’anarchia, generatrice di divisioni…[5].
Come già detto, l’annuncio cristiano avviene nel contesto della post-modernità, la cui cifra è il pensiero debole e l’esaltazione della libertà individuale.
Se l’amore è l’anima dell’agire ecclesiale e se la verità è amata, allora è l’amore stesso a suscitare la fede e la sua professione; non siamo più di fronte alla  ripetizione di pure dottrine. Se è l’amore a suscitare la fede, allora, è lo stesso Dio/ Amore per essenza l’unico in grado di suscitare la fede; così, partendo da Dio/Amore e Dio/Misericordia si muovono i primi passi che dischiudono una “Visione e teologia di un mondo aperto”.
Ed è l’esortazione apostolica Evangelii gaudium che introduce il “criterio di universalità” come qualifica specifica della dinamica evangelica, a partire esattamente dal Dio misericordioso che  esprime  il progetto salvifico universale del Padre che vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Riprendiamo allora il testo di Papa Francesco: “…«l’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il Vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo». Si tratta del criterio di universalità, proprio della dinamica del Vangelo, dal momento che il Padre desidera che tutti gli uomini si salvino e il suo disegno di salvezza consiste nel ricapitolare tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra, sotto un solo Signore, che è Cristo[6].

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Rendo anche noto, con vera soddisfazione che, oggi, la Facoltà Teologica del Triveneto e la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X firmano una Convenzione.
La Convenzione, su richiesta della Facoltà San Pio X, avvia – tra i due Istituti accademici – una relazione istituzionale e uno scambio per cui sarà possibile agli studenti della Facoltà San Pio X di frequentare il biennio teologico propedeutico alla licenza in diritto canonico presso gli Istituti affiliati alla Facoltà Teologica del Triveneto, con pieno riconoscimento degli studi e senza necessità di integrazioni. La collaborazione tra i due Istituti renderà, altresì, possibile uno scambio di docenti per moduli, per interi corsi o per il dottorato, previo accordo tra i Presidi.
Nella veste di Presidente della Conferenza Episcopale del Triveneto, di Gran Cancelliere della Facoltà Teologica del Triveneto e della Facoltà di Diritto Canonico San Pio X,  desidero ringraziare i Vescovi della Regione Ecclesiastica del Triveneto per la pronta disponibilità mostrata a sostegno dell’attività accademica della Facoltà San Pio X.
Un particolare e sentito ringraziamento va al Cardinale Segretario di Stato che, col Suo consiglio, ha accompagnato questo delicato passaggio della vita accademica della Facoltà San Pio X e della Regione Ecclesiastica del Triveneto.


[1] Paolo VI, Enciclica Ecclesiam suam, n.60.
[2] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n.181.
[3] Cfr. Paolo VI, Enciclica Ecclesiam suam, n. 80.
[4] Paolo VI, Enciclica Ecclesiam suam, n. 82.
[5] F. Varillon, L’umiltà di Dio, Edizioni Paoline, pag. 56, Alba 1978.
[6] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n.181.
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