Dies academicus
Facoltà di Diritto canonico San Pio X di Venezia
(Venezia, 30 marzo 2017)
Intervento del Gran Cancelliere Francesco Moraglia
Eccellenza, preside, professori, cari studenti, sono lieto di partecipare a questo appuntamento che, oltre a rappresentare l’annuale e solenne atto del “dies academicus”, raccoglie e certifica anche – come avremo modo di ascoltare nel dettaglio dall’intervento del Preside – la realtà viva della nostra Facoltà di Diritto Canonico, oggi sostenuta dal Patriarcato di Venezia con l’aiuto delle Chiese del Nordest.
Il Patriarcato intende potenziare, in Venezia, la Facoltà di Diritto Canonico San Pio X, sorta oltre cento anni fa per iniziativa del Patriarca Giuseppe Sarto il quale, per concessione della Santa Sede, costituì – con lettera circolare del 19 ottobre 1902 – un Istituto di Diritto Canonico che aprì le sue porte nell’anno accademico 1902/1903. Il 16 novembre 1905 il Patriarca – eletto Sommo Pontefice – con il Motu proprio Summo sane afficimur gaudio erigeva la Facoltà col potere di conferire i gradi accademici.
Nell’anno accademico 1931/1932 la Facoltà dovette sospendere la propria attività. Ad un secolo dalla sua istituzione, nel 2003, la mutata situazione e le connesse situazioni pastorali consentivano – nel solco di quanto fatto dal Patriarca Sarto – di erigere un nuovo Istituto di Diritto Canonico che iniziava le attività accademiche sotto la guida del Patriarca Angelo Scola.
Rivolgo ora il mio saluto e un ringraziamento particolare a mons. Andrea Migliavacca, Vescovo di San Miniato, che con la sua prolusione ci aiuterà a riflettere sul dono della vocazione al presbiterato a partire dalla Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis.
In proposito, faccio mie le parole dell’incipit della Ratio: “Il dono della vocazione al presbiterato, posto da Dio nel cuore di alcuni uomini, impegna la Chiesa a proporre loro un serio cammino di formazione….” (Ratio Fundamentalis, n.1).
Di seguito richiamo alcuni elementi che, sempre più, emergono come essenziali nella formazione dei candidati al presbiterato.
Ciò che deve caratterizzare il presbitero è, innanzitutto, il rapporto personale con Gesù e il legame col presbiterio (Vescovo e confratelli); è pertanto necessario sottrarsi da ogni atteggiamento funzionalista che nasce da una teologia monca e che, a sua volta, genera un progetto educativo, una spiritualità e una pastorale di stampo riduzionistico.
Il funzionalismo è, alla fine, esito di una mentalità che riduce tutto al fare, per cui il ministero del prete si snatura e ne soffre; così il presbitero, presto, si estenua in quello che fa e non ha più un vero fondamento teologico e spirituale, finendo per rimanere smarrito in una vita efficientista che, per un certo tempo, sembra appagare ma poi, ben presto, mostra la sua insufficienza e genera scontento.
Per questo, in ogni momento della vita sacerdotale ma iniziando dagli anni formativi del Seminario, bisogna porre al centro di tutto il rapporto personale con Gesù, con la comunità ecclesiale e, all’interno di essa, il legame col Vescovo e col presbiterio.
Ci si estranea, altrimenti, dalla pastorale reale della Chiesa coltivando se stessi e il proprio campo d’elezione. Chi è dotato di sensus Ecclesiae, ossia di un sentire obiettivamente ecclesiale, percepisce tutto questo.
Nella omelia della Messa del Crisma del 2014 Papa Francesco ha parlato di una gioia che “unge”, penetrando “fino alle ossa” e che configura il presbitero a Cristo e lo segna nell’intimo; è un’immagine molto eloquente. E, come ebbi già modo di dire, l’odore delle pecore (espressione cara a Papa Francesco) è – in ultima istanza – il buon profumo di Cristo testimoniato e sacramentalmente trasmesso dal presbitero che, poi, ritorna a lui arricchito dalla “storia” – gioie e dolori – della sua gente, attraverso una vita condivisa realmente e concretamente col suo popolo.
Già il Concilio Ecumenico Vaticano II, nel decreto sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis, insegnava: “…il sacerdozio dei presbiteri (…) viene conferito da quel particolare sacramento per il quale i presbiteri, in virtù dell’unzione dello Spirito Santo, sono segnati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome di Cristo, capo della Chiesa…” (Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Presbyterorum ordinis, n. 2).
Sottolineo anche l’altro elemento che contribuisce all’identità del presbitero: la sua appartenenza al popolo di Dio. La separazione, infatti, ne determinerebbe l’indebolimento dell’identità; la mancanza di tale senso d’appartenenza al popolo di Dio è, per un presbitero, ferita strutturale.
In questo senso, è proprio vero che il presbitero non può stare da solo ma deve avere uno sguardo aperto sulla Chiesa particolare e sulla Chiesa universale, sul mondo. E più ha questo sguardo “cattolico” (universale) più intercetta chi vive accanto.
Il realismo cristiano nasce da uno sguardo rivolto a Cristo. E Cristo – sulla croce – ha le braccia aperte, spalancate. Certo, il prete ha bisogno di conoscere la teologia ma ha bisogno, sul piano umano, d’esser persona d’incontro e di relazione. Il prete non è solo capacità pastorali, organizzative, teologiche o amministrative; è sempre qualcosa di più, è il segno di Gesù nella Chiesa e nel mondo.
La nuova Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis è strumento che aiuterà a fare in modo che questo avvenga concretamente nei nostri presbiteri.
Affido tutti voi che, a vario titolo, operate nella Facoltà di Diritto Canonico San Pio X alla cura materna della Madonna della Salute, affinché vegli su tutti e ciascuno; a tutti assicuro il ricordo nella preghiera.