Intervento alla Veglia per la Vita (Duomo di Mestre, 26 marzo 2012)
26-03-2012

Veglia per la vita (Duomo di Mestre, 26 marzo 2012)

 

Intervento di mons. Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia

 

 

 

Alla domanda ‘Maestro che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?’ Gesù risponde e chiede il rispetto della vita.

 

Infatti, inizia dicendo: ‘Non uccidere – e, subito, aggiunge – non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso’.

 

Insomma, all’inizio del cammino dell’uomo verso la vita eterna, Gesù pone il rispetto della vita e ci ricorda che la vita deve essere  rispettata sempre in ogni sua espressione e circostanza.

 

E, rispettare la vita, vuol dire: rispettare l’amore degli altri. Concretamente: non commettere adulterio, ma la vita da rispettare è anche il lavoro degli altri – allora Gesù dice: non rubare -, ancora la vita da rispettare è la verità della storia di una persona – per cui non si deve testimoniare il falso -.

 

Ma, soprattutto, Gesù conclude chiedendo il rispetto di quelle che sono le sorgenti della vita stessa, coloro che hanno donato la vita e che, per questo motivo, assurgono al ruolo di simboli della tua stessa vita; onora tuo padre e tua madre.

 

Gesù, poi, esige – cosa non da poco – l’amore verso il prossimo amato come se stesso.

 

E’ veramente opportuno che questa sera la nostra Veglia per la Vita, muova proprio da questa consapevolezza e da queste riflessioni; si tratta di riflessioni concretissime. La nostra Veglia, così, abbia un tale ampio respiro e riguardi, veramente, tutti i momenti più significativi della vita umana, finendo, per concentrarsi, con un’attenzione nuova e un nuovo vigore, proprio, lo ripetiamo, nei tempi e frangenti in cui la vita si rivela più debole, più indifesa, più fragile.

 

Questa concretezza è salutare perché, alla fine, la vita o la si tutela e promuove o non la si tutela e promuove.

 

Proprio dove la vita umana è più abbandonata a se stessa ed più  bisognosa d’aiuto e, quindi è, di fatto, affidata agli altri, più si deve guardare ad essa con più cura, simpatia, amore e intraprendenza; là dove la vita principia, là dove ha la sua origine e là dove ha il suo termine naturale si deve essere più presenti; le parole del Vangelo, appena ascoltate, ci conducono quasi per mano ad una saggezza del vivere o sapienza nei confronti della vita.

 

            Le parole pronunciate da Giovanni Paolo II, in occasione della XV giornata mondiale della gioventù ci indicano, soprattutto, un metodo. Noi, ai nostri giovani, dobbiamo parlare della vita, dell’accoglienza della vita, del rispetto e promozione della vita, perché i nostri adolescenti sono i futuri papà e le future mamme. E la paternità e la maternità più di ogni altra cosa non si improvvisano.

 

Per noi, per il nostro presente e per il nostro futuro, deve essere motivo di non poca preoccupazione una società in cui si banalizzano le relazioni tra le persone, soprattutto, quelle più significative, come quelle affettive.

 

Giovanni Paolo II si rivolgeva ai giovani dicendo loro: voi siete le sentinelle del mattino, dovete impegnarvi a difenderete la vita in ogni momento e situazione.

 

Questo è il punto: bisogna innanzitutto educarci e poi educare alla vita; si devono educare i figli, si deve dir loro che la vita è il bene più grande che ci è stato dato, e, se noi non testimoniamo, soprattutto ai giovani, un senso di profondo rispetto, amore e valorizzazione della vita, allora, contribuiamo ad impoverire la stessa esistenza del mondo.

 

Il gesto dell’aborto e dell’eutanasia sono le ultime conseguenze di un modo d’intendere la vita che ha le sue premesse prima, molto prima dell’aborto e dell’eutanasia; aborto ed eutanasia sono l’esito triste di chi non trova più in sé la passione nei confronti della vita e del vivere.

 

La vita è il primo diritto, ed è un diritto su cui non si possono porre dei ‘se’ e dei ‘ma’ e, questo, non perché si è religiosi o credenti ma perché si è uomini.

 

Ora, in vari ambiti, ad es: politici, sociali, come in sede contrattuale, si danno valori sui quali non si è disposti a contrattare, valori non negoziabili; e se preferiamo un’altra terminologia, usiamola, vale a dire: si danno valori in cui è in gioco l’uomo e su questi valori non si può tergiversare, non sono in vendita. Sono i valori in cui – lo ripeto – è in gioco l’uomo, valori in cui si manifesta l’uomo, si accoglie o si rifiuta l’uomo. Dobbiamo evitare di cadere in complessi di inferiorità culturale. Ci sono valori sui quali non si può far finta di niente.

 

E’ necessario riscoprire l’importanza dell’educazione alla vita; ora, quando c’è poco amore per la vita, c’è poca passione per l’educazione e, viceversa, quando c’è poca passione educativa c’è poco amore per la vita; le due cose vanno insieme ed è, anche, facile comprenderne il motivo.

 

Quindi per educarci ed educare alla vita in modo continuo, momento dopo momento, dobbiamo poter incontrare persone che siano appassionate della vita. Si ama la montagna, si ama il mare, si amano i viaggi se abbiamo incontrato persone che ci hanno dischiuso il significato, la bellezza, il fascino della montagna, del mare o del viaggiare.

 

Anche qui, come in altri ambiti, ci vogliono testimoni appassionati!

 

La comunità cristiana allora dovrebbe essere, in tutti i suoi membri – bambini, adolescenti, adulti, anziani – una comunità innamorata della vita, educata alla vita, impegnata per la vita.

 

Vorrei sottolineare, in tale prospettiva, il valore educativo del Progetto Gemma, soprattutto quando, da soli, non abbiamo la forza di realizzarlo, e per riuscirci dobbiamo fare rete, cioè, unirci con gli altri; si tratti di più associazioni, più conoscenti, più colleghi, più amici.

 

Fare rete, creare una complicità, formare una mentalità, ingenera intorno a noi la cultura della vita; in questa prospettiva, allora, non avere da soli la forza di dar vita a un Progetto Gemma è, addirittura, un bene.

 

Prima ho fatto un cenno a complessi d’inferiorità culturali; tali complessi sono l’esito di un confronto col pensiero dominante che ci vede perdenti. Abbiamo smarrito il senso e il valore della vita, presa per quello che è nella sua interezza. Siamo vittime – anche senza saperlo – dell’ideologia del riduzionismo.

 

Così se non sei bello, non vale la pena vivere; se non sei più giovane la tua vita perde molto del valore che aveva dieci anni prima; se non hai raggiunto la notorietà e il successo, che senso ha la tua vita? Questi sono i messaggi che il pensiero dominante, di volta in volta, ci presenta.

 

I  nostri ragazzi, ricchi di ideali, buoni d’animo, ma così fragili, rischiano di perdere il gusto della vita semplicemente perché credono di non essere abbastanza belli, oppure sufficientemente magri oppure perché ritengono di non avere una vita che dia sufficienti scariche di adrenalina, senza le quali non è possibile vivere; così i giovani,  il venerdì e il sabato sera, mettono a repentaglio la loro vita e quella  degli altri, per, come si dice, una scarica di adrenalina.

 

Le nostre comunità debbono – per narrare a sé e agli altri la bellezza del passo del Vangelo che abbiamo ascoltato – essere più appassionate della vita, rispettare la vita in ogni sua manifestazione perché là, dove la vita è più debole, colui che è disposto a farsene carico, diventa più necessario.

 

 Lì, dove il bambino sta nascendo o il malato sta spegnendosi, proprio lì è necessario che ci siano persone che amano la vita senza se e senza ma, sempre e in ogni sua forma; amare solo alcuni aspetti della vita non permette di percepire la vita in quanto tale, là dove si manifesta seppur in forme tenuissime. Talvolta capita di confondere la vita con alcuni suoi aspetti, anche importanti, ma non essenziali.

 

Se incontrassimo una persona che in modo diretto e brutale ci domandasse e portasse via le nostre ricchezze, il nostro portafoglio, di fronte al rischio della vita daremmo tutto e subito; se, poi ci chiedesse la bellezza, gli daremmo anche la bellezza e lo stesso per quanto riguarda la cultura e il successo; ma, se ci chiedesse la vita, resisteremmo strenuamente, ad oltranza, perché togliendoci la vita tutto ci è tolto, in modo irreparabile.

 

Guardiamo con tanto amore ma anche con occhio critico la nostra società e la nostra cultura che pretendono di disporre della vita altrui. Si può rinunciare a tutto ma di fronte a chi mi chiede, al di là di tante parole, la vita io non posso porre dei distinguo, dei se e dei ma.