Intervento alla Veglia di preghiera per i cristiani perseguitati (Duomo S. Lorenzo - Mestre, 11 dicembre 2014)
11-12-2014
Veglia di preghiera per i cristiani perseguitati
(Duomo S. Lorenzo – Mestre, 11 dicembre 2014)
 
Intervento del Patriarca mons. Francesco Moraglia
 
 
 
E’ difficile parlare di martirio, perché il martirio appartiene alla grazia di Dio e il Vangelo ci insegna che vi sono realtà che non si possono descrivere dall’esterno ma bisogna vivere. Noi guardiamo allora questi nostri fratelli e pensiamo – cerchiamo – di capirli ma il più non riusciamo a coglierlo, perché il martire è sempre l’espressione di una grazia particolare.
 
Già nei primi secoli Felicita – di fronte a chi la derideva perché in prigione stava per dare alla luce un figlio e si contorceva nei dolori del parto (dicendole: ma per una cosa così naturale ti lamenti? E che cosa succederà quando, tra poco, sarai di fronte alle belve?) – rispondeva: “In quel momento ci sarà un Altro che soffrirà con me e per me”.
 
Abbiamo appena ascoltato delle testimonianze a noi contemporanee, iniziando da quella del padre siriano François Mourad: “Dopo aver bruciato la chiesa dei greci, dopo aver distrutto un santuario mariano dei latini, hanno portato devastazione e saccheggio nel mio monastero e dai protestanti…”.
 
Stasera siamo qui per pregare e pregare che cos’è? E’ affidarsi a Dio, affidarsi a Dio nel modo più radicale, ponendo nelle sue mani ciò che le nostre mani di uomini non riescono ad ottenere. Pregare è riconoscere che un Altro – Dio – può arrivare là dove noi uomini non arriviamo e può fare quello che noi uomini non riusciamo a fare.
 
Pregare, allora, non è chiamarsi fuori ma entrare in una responsabilità più grande, coinvolgendo Dio nella nostra vita. Ogni nostra richiesta rivolta a Dio – per essere onesta, per essere vera, per essere ascoltata – sottintende infatti un nostro impegno senza del quale il nostro domandare, la nostra preghiera, sarebbe solamente una pretesa falsa e arrogante.
 
Dio opera molte volte attraverso gli uomini; nel Vangelo il miracolo della moltiplicazione dei pani nasce da un ragazzo che porta due pani ed alcuni pesci e a partire da lì si innesca il miracolo. La nostra preghiera deve partecipare di questa responsabilità. Pregare per la pace vuol dire sempre e anche essere costruttori di pace; pregare per chi è perseguitato vuol dire lavorare e cioè impegnarsi affinché la libertà sia garantita.
 
La testimonianza del Patriarca di Baghdad dei Caldei Louis Sako dice poi il nostro impegno a fare in modo che queste persone possano continuare a rimanere in patria e il punto è come aiutare quelli che vogliono rimanere in patria…
 
Noi, intanto, dobbiamo rendere onesta la nostra preghiera ed impegnarci affinché la libertà dell’altro sia garantita quanto la mia libertà, comprendendo che, se si ha rispetto del nome di Dio e qualunque fede si proclami, non si può costringere nessuno in nome di Dio.
 
La verità e la fede vanno proposte, non vanno imposte e bisogna avere il coraggio di proporle, di accettare gli altri – lo abbiamo appena ascoltato nelle testimonianze – essendo noi stessi, dicendo liberamente chi siamo ed avendo a cuore che anche gli altri possano dire chi sono.
 
Il nucleo fondamentale della persona – l’Occidente lo deve capire perché, se non lo capisce, si appresta a vivere periodi tristi – è il rapporto con Dio. La prima libertà è la libertà religiosa, che garantisce le altre libertà e non copre le altre libertà, non surroga le altre realtà ma libera le altre libertà, proprio perché il nucleo fondamentale della persona è il rapporto con Dio.
 
La coscienza di chi mi sta dinanzi mi sta a cuore come la mia coscienza, altrimenti non rispetto la mia coscienza. La coscienza di chi mi sta dinanzi è un santuario inviolabile, piegare una coscienza – psicologicamente o fisicamente – è un comportamento disumano; anche se avessi la possibilità di illudere, irretire o ingannare una persona facendola franca, non lo potrei fare perché, in quel momento stesso, non sarei più una persona. Pensate a fare questo in nome di Dio! È una bestemmia radicale.
 
Di un atto che non sia libero e responsabile Dio non sa che cosa farsene, di un atto che non sia ascrivibile alla dignità della persona Dio non sa che cosa farsene. E’ triste allora – ma soprattutto, prima che triste, è assurdo e una contraddizione di termini – pensare che talvolta la persecuzione si muova, da parte di chi agisce, in nome di Dio.
 
Per Papa Francesco risulta – l’abbiamo ascoltato – incomprensibile e preoccupante che nel mondo permangano discriminazioni e restrizioni di diritti per il solo fatto di appartenere ad una determinata fede e di professarla pubblicamente. E allora con il Papa diciamo che è motivo di grande dolore constatare che i cristiani, nel mondo, subiscono il maggior numero di queste discriminazioni. La persecuzione dei cristiani – sono parole di Papa Francesco – è addirittura più forte oggi che nei primi secoli della Chiesa. Ci sono più martiri oggi che in quell’epoca.
 
La libertà religiosa deve essere una libertà degna dell’uomo, richiede di non ridursi ad un puro atto interiore e neppure ad un culto privato. La libertà religiosa è vivere secondo i propri principi consegnati alla verità di una vita interiore ed esteriore, privata e pubblica. Gli ordinamenti giuridici – cioè quell’insieme delle norme che organizzano una comunità e che corrispondono ad un fine della comunità – sono pertanto chiamati a riconoscere, a garantire e proteggere la libertà religiosa che è intrinsecamente inerente all’uomo, alla dignità dell’uomo. Ed è anche l’indicatore di una vera democrazia.
 
Torna alla mente quel versetto del vangelo di Matteo: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22, 21). Il principio di laicità – non di laicismo – è una scoperta cristiana che offriamo a tutti e sulla quale riflettiamo e vogliamo crescere. La libertà religiosa favorisce il rispetto reciproco delle diverse fedi; è una sana collaborazione tra uno Stato che fatica ed una società che non riesce a ritrovarsi.
 
Concludo richiamando due passaggi di altrettanti discorsi di Papa Francesco e che “corrispondono” bene anche a questa nostra serata.
 
Di fronte a fratelli cristiani di altre confessioni, il 20 novembre scorso, Papa Francesco ha detto: “Riguardo all’ecumenismo del sangue, proprio Unitatis redintegratio invitava a valorizzarlo riconoscendo, nei fratelli e nelle sorelle di altre Chiese e Comunità cristiane, la capacità – donata da Dio – di dare testimonianza a Cristo fino al sacrificio della vita (cfr n. 4). Tali testimonianze non sono mai mancate in questi cinquant’anni e continuano anche ai nostri giorni. Sta a noi accoglierle con fede e lasciare che la loro forza ci spinga a convertirci ad una fraternità sempre più piena. Coloro che perseguitano Cristo nei suoi fedeli non fanno differenze di confessioni: li perseguitano semplicemente perché sono cristiani” (Papa Francesco, Udienza ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, 20 novembre 2014).
 
E dopo questa parola – che riguarda le differenti confessioni cristiane – voglio richiamare anche quanto il Papa ha affermato in un recente discorso – pronunciato il 28 novembre ad Ankara, durante la sua visita in Turchia – che riguarda proprio le differenze religiose. Anche questo è particolarmente attuale, in questo momento,  per il nostro incontro.
 
“E’ fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione -, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa. La libertà religiosa e la libertà di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell’amicizia, diventando un eloquente segno di pace. Il Medio Oriente, l’Europa, il mondo – concludeva Papa Francesco – attendono questa fioritura” (Papa Francesco, Discorso durante l’incontro con le autorità turche ad Ankara, 28 novembre 2014).
 
Chiediamo al Signore che Lui arrivi dove noi uomini, troppo spesso, fatichiamo ad arrivare.