Intervento al Dies Academicus dello Studium Generale Marcianum (Venezia, 20 maggio 2005)
20-05-2005

Studium Generale Marcianum

DIES ACADEMICUS

Venezia, 20 maggio 2005

Angelo Card. Scola, Patriarca di Venezia
Gran Cancelliere dello Studium Generale Marcianum

L’UNITÀ DEL SOGGETTO, LA COMUNICAZIONE DEI SAPERI E L’UOMO POST-MODERNO
Una pista di analisi

1. Educarsi al «pensiero di Cristo» (1Cor 2, 16)
Poco più di un mese fa, nella Basilica di San Marco, in occasione dell’Assemblea Ecclesiale che prepara la Visita Pastorale, ho avuto modo di far presente ai rappresentanti di tutte le parrocchie ed aggregazioni di fedeli che «una permanente educazione alla fede intesa come criterio con cui affrontare tutta la realtà» è fattore essenziale di quell’opera di rigenerazione del popolo cristiano in cui consiste la nuova evangelizzazione.
In che modo la realtà dello Studium Generale Marcianum ‘ un polo pedagogico-accademico che dalla scuola materna ed elementare, passando per quella superiore e universitaria, giunge fino alla ricerca post-grado – può accompagnare questo improcrastinabile compito della Chiesa che è in Venezia e non solo di essa?
Per dare una risposta non astratta a questa domanda voglio soffermarmi oggi sul panorama delle discipline che, a livello universitario, vengono coltivate al Marcianum. In futuro non mancherà l’occasione per riprendere il discorso a partire dalla realtà più specificamente pedagogica (dalla materna ed elementare, al liceo) del Marcianum.
Se consideriamo le Scienze Giuridiche coltivate presso l’Istituto di Diritto Canonico San Pio X ‘ recentemente ammesso al Programma Universitario Leonardo da Vinci dell’Unione Europea – la Filosofia e la Teologia, oggetto di ricerca e di insegnamento da parte dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Lorenzo Giustiniani, collegato alla Facoltà Teologica del Triveneto ‘ due istituzioni di cui è imminente l’erezione canonica da parte della Congregazione per l’Educazione Cattolica -, e le Scienze Sociali ‘ cui si dedica la più recente delle nostre iniziative con uno speciale Master in collaborazione con altra realtà accademica -, l’Arte e la Storia della Chiesa veneziana, lungamente praticate da parte di esimi studiosi sacerdoti e laici del nostro Patriarcato, soprattutto attorno allo Studio Cattolico Veneziano, vediamo delinearsi un articolato ambito che, in armonia con la tradizione accademica ecclesiale, si potrebbe definire di scienze ecclesiastiche.
La denominazione ‘scienze ecclesiastiche’, che può a prima vista suonare un po’ ostica, indica una ben precisa realtà. La formulazione è presa da un articolo della legislazione canonica. Recita infatti il canone 815: «La Chiesa, in forza della sua funzione di annunciare la verità rivelata, ha proprie università o facoltà ecclesiastiche per l’investigazione delle discipline sacre o connesse con le sacre, e per istruire scientificamente gli studenti nelle medesime discipline».
Discipline come teologia, filosofia, diritto, scienze sociali, arte, storia – così come eventualmente altre ‘ rientrano nella categoria delle ‘scienze ecclesiastiche o sacre’ «in forza della funzione (della Chiesa) di annunciare la verità rivelata». All’origine del compito accademico della Chiesa sta infatti la sua missione: lasciar trasparire Cristo Gesù come via alla verità e alla vita .
In questo senso ritroviamo un’immediata sintonia tra le scienze che sono oggetto di ricerca, di insegnamento e di studio presso lo Studium Generale Marcianum ed il compito di educare al «pensiero di Cristo» (1Cor 2, 16), quale dimensione essenziale e permanente della genesi e della vita delle comunità cristiane.

2. Chi ‘assicura’ oggi l’umanità?
Affrontando questo preciso compito, lo studio delle scienze ecclesiastiche che si pratica al Marcianum viene incontro al desiderio di integrale felicità e di piena libertà che anima l’uomo cosiddetto post-moderno, la cui autocoscienza va assumendo singolari tratti dopo il 1989.
Le decisive questioni che già Gaudium et spes formulava con grande chiarezza – «Cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?» (GS 10) – premono per venire allo scoperto anche quando, nel talora violento travaglio odierno, sembrano oscurate dal clima di confusa contraddittorietà provocato dal crollo delle utopie che hanno funestato il XX° secolo forse troppo sbrigativamente definito il secolo breve .
Oggi, sorprendentemente, ad urgere le domande che Comte ‘vietava di porre’ contribuisce un fenomeno del tutto particolare proprio del nostro panorama scientifico e culturale. Non sono più solo filosofi, teologi, studiosi di scienze etico-sociali ad arrovellarsi intorno a queste imprescindibili questioni. Esse fanno irruzione anche nei laboratori degli uomini di scienza, soprattutto di quelli che coltivano i saperi della biologia o delle cosiddette neuroscienze. Ma ‘ e questo è decisivo – le loro scoperte sono di tale importanza e radicalità che, senza più alcuna mediazione, nell’attuale società delle reti impongono alle stesse masse di esplicitare la domanda che con intensa pietas il Salmista rivolge a Dio: «Che cos’è un uomo perché te ne curi?» (Sal 143, 3). Non pochi sono infatti gli interrogativi e i dubbi circa l’identità e la natura dell’humanum che, abbandonando le aule scolastiche, vengono proposti dalle pagine dei quotidiani e dai talk-show televisivi raggiungendo capillarmente il popolo.
Per indicare la ragione dell’inedita radicalità di questo stato di cose proprio della post-modernità, il filosofo francese Rémi Brague, membro del Consiglio Scientifico Internazionale dello Studium Generale Marcianum, nella relazione tenuta al VI Forum del Progetto Culturale della Conferenza Episcopale Italiana, lo scorso 3 dicembre 2004, affermava che il secolo XXI° sarà il secolo di un’aspra contesa tra l’essere e il nulla. Ed esprimeva in termini crudi questa lotta: «Il problema centrale non è altro che l’esistenza dell’uomo sulla terra» . Il connubio scienze-tecnologie (soprattutto biologia, e neuroscienze tecnologiche), la precarietà in cui abbiamo lasciato precipitare lo stato del pianeta, il radicalizzarsi di una miseria endemica nel Sud del globo in particolare nell’Africa sub-sahariana, fanno percepire a larghissime masse di uomini che alle soglie del XXI° secolo è in gioco una questione di vita e di morte per l’esistenza stessa di ogni specie animata. In senso letterale e non per modo di dire. Lo scontro non è tra civiltà, e tanto meno tra religioni, non è tra diversi (di razza, popolo o cultura). La linea di demarcazione del conflitto passa dentro ciascun uomo, ciascun corpo intermedio, per estendersi alla società civile in un tutte le sue dimensioni locali e mondiali. Ogni giorno in ciascuno di noi irrompe con forza l’interrogativo: Chi mi assicura?, chi alla fine assicura l’umanità? L’angoscia di heideggeriana memoria assume dimensioni universali che ne ingigantiscono l’aspetto singolare. Soprattutto rischiano di strappargli quel compito di apertura all’Essere che il filosofo della Selva Nera le assegnava, per renderla pura avvisaglia del Nulla.
A che cosa si riduce, in questo quadro, l’affascinante compito che Paolo assegna ai cristiani: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Ts 5, 21)? Tanto più che, come sovente ci siamo ripetuti, non è agevole per il cristiano imparare il «pensiero di Cristo» cui rinvia questo richiamo paolino di metodo, dal momento che le nostre comunità vivono oggi un’ ‘appartenenza debole’, scarsamente attenta a questa decisiva dimensione ‘critica’ della fede.

3. Mostrare la rilevanza della fede cristiana
Per contribuire all’impegno della Chiesa a farsi carico di questa esigenza pastorale primaria è nato lo Studium Generale Marcianum.
In occasione di questo Dies Academicus 2004-2005 vorremmo semplicemente suggerire al quotidiano lavoro che docenti, studenti e personale addetto dei diversi enti accademici che formano il Marcianum, sono chiamati a svolgere in proposito, una pista di analisi.
In primo luogo mi sembra sia di fondamentale importanza che le diverse discipline qui coltivate, senza annullare la necessaria specificità di ciascuna di esse, facciano emergere esplicitamente ciò che le accomuna. Parafrasando il felice sottotitolo di una formidabile opera di Henri de Lubac ‘ Catholicisme: les aspects sociaux du dogme – mi viene da dire che il terreno comune del lavoro scientifico del Marcianum è quello di mostrare le implicazioni antropologiche, ecologiche e sociali dei misteri cristiani.
I misteri del cristianesimo, come ci ha insegnato lo Scheeben, non identificano il non-ancora-noto, bensì il fondamento vivificante di tutto il reale ‘ in ultima analisi la Santissima Trinità ‘ che si comunica alla nostra libertà finita. La Trinità si dona a noi, ma lo fa con tale riguardo che noi non ne restiamo annientati. Il Roveto arde – e per questo attira – ma non si consuma. Continuamente arde a nostro beneficio. Il mistero è inesauribile. Ci alimenta, ma per noi viandanti resta mistero. Perché ci attira? Perché intercetta in noi il desiderio costitutivo. In concreto ciò significa che il mistero ci offre la via per cercare, in comunione con i nostri fratelli uomini, le risposte alle domande costitutive e al modo inedito con cui il nostro tempo le propone.
Nei misteri cristiani, che la liturgia illuminata dalla Parola di Dio ci fa vivere quando la Chiesa ci convoca, è implicata la possibilità di affrontare le questioni radicali che, come abbiamo visto, appaiono oggi come condizione di vita o di morte per l’uomo (antropologia), per il cosmo (ecologia), per i popoli (giustizia sociale).
Realmente la straordinaria somiglianza del DNA di tutte le specie viventi che le neuroscienze stanno mettendo in evidenza ci dice che non si dà più differenza di qualità tra i generi vegetale, animale ed umano? Realmente esistono solo differenze quantitative dentro l’unico continuum della vita?
L’unità che, attraverso il corpo, l’uomo ha da sempre percepito col cosmo ‘ in una parola, il suo costitutivo essere-nel-mondo ‘ ma che tuttavia non ci ha impedito la dissennata riduzione dell’ambiente a semplice contenitore di materiali a nostra disposizione, ci salverà dal rischio di distruggere il pianeta?
La fame, la guerra, il terrorismo, la volontà di potenza di popoli su altri popoli è un’ineluttabile conseguenza del progresso come molti uomini del Nord del pianeta sembrano dare per scontato?
Questioni antropologiche, ecologiche, sociali, che nel secolo scorso sembravano del tutto svincolate tra loro e addirittura irrilevanti, appaiono oggi indissolubilmente legate ed imponenti. La società della rete e della globalizzazione mostra l’interdipendenza stretta di questi fattori nello stesso momento in cui rivela nella questione antropologica (l’uomo continuerà ad esistere?) la miccia di un esplosivo ad alto potenziale.
Rendere ragione della nostra speranza ‘ scopo ultimo dello Studium Generale Marcianum ‘ significa mostrare come la vita in Cristo, in tutti i suoi misteri, consente alla libertà di coloro che lo seguono di porsi al lavoro per affrontare, con i fratelli uomini, queste brucianti questioni. Mettersi all’opera come chi, per grazia, conosce la meta del proprio cammino. Conoscere la meta non significa conoscere tutti i modi ed i mezzi concreti per raggiungerla. Il cristiano non cerca nella Rivelazione risposte preconfezionate alla triplice domanda antropologica, ecologica e sociale. Nei misteri del Dio vivente egli cerca anzitutto la ragion d’essere della ricerca che ha in comune con tutti e trova inoltre, nella quotidiana esistenza della comunità, l’alveo in cui i misteri del cristianesimo gli aprono orizzonti di senso da condividere quale fertile terreno per la propria specifica indagine.
Qualche rapido esempio potrà forse aiutare a comprendere quanto intendo affermare.
Le delicate e complesse questioni bioetiche che riguardano la vita umana dal concepimento alla sua morte naturale possono forse supporre come acquisita una volta per tutte la risposta a domande del calibro di chi e che è l’uomo? o quale vita e quale morte? Non è forse non solo auspicabile, ma necessaria una rinnovata riflessione di antropologia svolta nel quadro delle scienze filosofico-teologiche per indicare la strada di una retta comprensione della dignità dell’essere umano dal concepimento alla morte naturale? In proposito, il mistero (dogma) della risurrezione della carne dicendo il destino definitivo dell’uomo, non mette forse lo scienziato cristiano, pur nel pieno rispetto dell’oggetto e del metodo della sua ricerca, di fronte ad una affascinante ipotesi regolativa del proprio lavoro?
Il nostro Istituto San Lorenzo Giustiniani dovrà quindi impegnarsi in una ricerca ed in un insegnamento adeguato della teologia e della filosofia, che veda al centro il mistero della risurrezione della carne per mostrare i limiti di un’antropologia spiritualista che considera il corpo umano alla stregua di qualsiasi strumento di un ‘io disincarnato’.
Le vicende che la società italiana si trova a vivere in questi giorni mostrano con drammatica concretezza che questioni delicate come quelle legate alla bioetica si giocano alla fine negli ordinamenti giuridici. Il linguaggio del diritto è diventato la koiné delle troppo formalistiche democrazie odierne. Un rigoroso studio del diritto canonico, saldamente ancorato alla logica dell’incarnazione, in forza della funzione obiettivamente critica che questa scienza possiede nei confronti di tutto il sistema del diritto, potrebbe aprire nuove strade per favorire una democrazia sostanziale elaborando più solide riflessioni su giustizia, diritto e legalità. Non a caso il Papa Benedetto XVI ha recentemente affermato che «soltanto in un’ordinata armonia delle libertà, che dischiude a ciascuno il proprio ambito, può reggersi una libertà comune» . Al servizio di una tale ordinata armonia delle libertà si deve porre il diritto come scienza e, ancor di più, la legislazione degli Stati.
Vale la pena ricordare oggi, in questa sede, alcune parole del futuro San Pio X tratte dalla lettera del 19 ottobre 1902 al Venerando Clero dell’Archidiocesi con la quale annunciava la creazione di una Facoltà Giuridico-Canonica presso il Seminario Patriarcale di Venezia. Diceva il Patriarca Sarto: «Se senza la legge non si può avere che il disordine, senza la scienza di essa non può aspettarsi che la confusione». E più avanti con preveggenza ammirevole affermava: «e poi non viviamo in un tempo in cui le questioni giuridiche e sociali pur implicate hanno il sopravvento su tutte le altre’?».
Mi rallegro pertanto che l’Istituto di Diritto Canonico abbia scelto come tema di riflessione «L’eredità giuridica di Pio X». E ciò non solo perché con la creazione di questo Istituto abbiamo ripreso un’iniziativa dell’allora Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, ma anche perché il suo grande amore alla Chiesa l’ha portato a percepire, con ammirevole sensibilità pastorale, il valore del diritto canonico al servizio della missione della Chiesa e quindi per il bene delle anime.
Un ultimo cenno alla tanto dibattuta questione ecologica, per la quale è stata esplicitamente citata in giudizio la rivelazione cristiana accusata di favorire un antropocentrismo contrario alla salvaguardia dell’ambiente . Essa può trovare un’adeguata comprensione se si considera l’ambiente vissuto all’interno dell’esperienza umana elementare. In quest’ottica Giovanni Paolo II ha parlato dell’ambiente come casa e dell’ambiente come risorsa . I due termini dicono il valore dell’ambiente per l’uomo. Quando la tecnologia, l’economia e la politica smarriscono questo concreto orizzonte perdono di umiltà. E se si staccano dalla ‘terra’ (umiltà viene da humus) cadono inesorabilmente nell”ideologia’. Allora l’ambiente come risorsa minaccia l’ambiente come ‘casa’.
Storia, filosofia, teologia, diritto, scienze sociali, artistiche non possono cogliere nell’orizzonte cristiano retto dalla ratio sacramentalis elementi decisivi per mostrare l’universale rilevanza di un simile equilibrato concetto di ambiente?

Mi sono permesso di offrire tre semplici ‘assaggi’ del tutto incompiuti (quasi degli ‘improvvisi’) dell’orizzonte del lavoro di insegnamento e di ricerca che ci sta davanti. Un lavoro basato, in piena sintonia con la tradizione di tutto il pensiero cristiano, su un attento ricorso al principio analogico e nello stesso tempo un lavoro che a me pare stimolante ed innovativo.

4. Un soggetto all’opera
Vi è una seconda questione che, sia pur molto brevemente, vorrei mettere in evidenza. Essa non riguarda tanto le discipline praticate al Marcianum quanto il soggetto che le pratica. È urgente, infatti, che i diversi enti che compongono questo polo pedagogico-accademico si interroghino, insieme e sempre di più, circa il significato ed il modo ordinario di svolgere il loro specifico lavoro. Occorre, quindi, approfondire ulteriormente il cammino di paragone iniziato tra i diversi soggetti in campo sull’insegnamento, sulle modalità di studio, sulla ricerca, così da far maturare quell’unità del soggetto educativo che è il nucleo dell’intuizione che ha dato vita allo Studium Generale Marcianum. Un primo passo fu compiuto nella giornata di lavoro del 16 ottobre 2004. Ma si tratta di una strada ancora tutta da percorrere.

5. Una casa piena di porte aperte
Se lo Studium Generale Marcianum saprà affrontare con pacata ma decisa fermezza il lavoro qui appena abbozzato, esso potrà essere un umile esempio di quanto la comunità cristiana possa essere di aiuto e conforto al cammino dei nostri fratelli uomini e di tutta la società civile.
Lo Studium Generale Marcianum diventerà una casa piena di porte aperte, dove l’identità della fede cristiana sarà occasione di incontro pubblico e cordiale con chiunque è in sincera, dialogica ricerca. I cristiani non possono mai dimenticare che il Figlio Unigenito è diventato il primogenito perché noi si possa essere figli nel Figlio. Figli di un Dio che, come ha scritto Balthasar, «’ non è una fortezza rinchiusa che noi con le nostre macchine da guerra (ascesi, introspezione mistica, ecc.) dobbiamo espugnare, è invece una casa piena di porte aperte, attraverso le quali noi siamo invitati a entrare» .